Aiuto al penitente (guida per la confessione)

 
Aiuto al penitente (guida per la confessione)
Edizione del Monastero del Paraclito – Oropos 1997
Carissimi in Cristo, fratelli e sorelle, questa piccola guida che vi offriamo serve ad aiutare il penitente, e soprattutto chi sta per venire alla prima santa Confessione, a prepararsi correttamente e con cura sufficiente a questo mistero.La Confessione è tanto necessaria quanto il santo Battesimo, perché questi misteri sono di pari forza. Come con il battesimo siamo purificati da tutti i nostri precedenti peccati, così nella penitenza riceviamo il perdono dei peccati che confessiamo. Così come prima del Battesimo, non siamo in grado di ricevere il santo corpo e sangue di Cristo, allo stesso modo se non confessiamo i peccati commessi dopo il Battesimo, non siamo degni di essere partecipi di questo grande dono. Come il battesimo ci fa entrare nel regno dei cieli, così una volta battezzati la confessione ci fa eredi della vita eterna.

Il peccato è una malattia dell’anima. Pertanto, per capire come confessarci correttamente, ricordiamo come ci comportiamo quando siamo malati nel corpo: ci preoccupiamo di vedere un medico. Come, senza nascondere il minimo dettaglio, descriviamo le circostanze della malattia e tutti i sintomi. Come cerchiamo di seguire tutti i consigli dati dal medico. Allo stesso modo, ancor di più dovremmo avere cura dell’anima, che è eterna, a differenza del corpo, che è mortale.

E il perdono dei peccati da parte di Dio è dato per mezzo di un sacerdote che compie il sacramento. Non dobbiamo dunque vergognarci di un servo di Dio, non dobbiamo nascondergli le nostre piaghe spirituali, perché Dio, presente in modo invisibile nel sacramento, non ci privi della guarigione.

Anche i grandi santi fino all’ultimo respiro hanno pregato per il perdono dei peccati, riconoscendo se stessi come grandi peccatori. E noi dunque chiediamo al Signore di aiutarci a diventare consapevoli dei nostri peccati e confessarli, perché la consapevolezza del peccato è il primo passo verso la salvezza. Per facilitare la preparazione alla confessione presentiamo qui sotto forma di una breve lista di domande i peccati più comuni nella nostra vita quotidiana.

Tu e Dio

1) Credi in Dio, glorificato nella Santa Trinità, nella divinità di Gesù Cristo e del Santo Spirito? Credi nella Chiesa e nei suoi Santi Misteri? Credi nell’esistenza del Paradiso e dell’Inferno?

2) Ti affidi sempre, e specialmente nei momenti difficili della tua vita, alla provvidenza di Dio e, o ti scoraggi mostrando mancanza di fede?

3) Forse nelle afflizioni, malattie e prove della vita mormori contro Dio e perdi fede e coraggio?

4) Forse credi nei sensitivi, nei cartomanti, negli indovini, nei maghi e nelle fattucchiere, nei chiromanti e negli astrologi?

5) Forse credi nelle superstizioni, e ritieni cattivi segni lo scricchiolio del legno, le orecchie che fischiano, l’ululare di un cane, l’incontro con un prete o il cosiddetto malocchio?

6) Forse credi nella fortuna?

7) Preghi al mattino e alla sera, e ai momenti dei pasti? Forse ti vergogni di fare il Segno della Croce davanti ad altre persone, per esempio al ristorante, o mentre passi accanto a una chiesa?

8) Studi le Sacre Scritture, e così pure gli altri libri di contenuto religioso?

9) Vai in chiesa alla Domenica e alle grandi Feste?

10) Partecipi alla Divina Liturgia dall’inizio alla fine, senza arrivare in ritardo né andartene prima della fine?

11) Vai in chiesa indossando abiti modesti? Fai attenzione a non ridere e a non fare conversazioni con gli altri durante le funzioni, anche se si sta celebrando un Matrimonio o un Battesimo?

12) Forse rendi difficile andare in chiesa al tuo coniuge e ai tuoi figli? Forse dici ai tuoi conoscenti di non frequentare la chiesa?

13) Ti comunichi regolarmente, o solo una volta all’anno, e magari senza confessione?

14) Forse prendi impegni solenni senza ragione o falsamente, e non hai mantenuto un impegno o un voto che hai fatto?

15) Forse bestemmi il nome di Cristo, della Tuttasanta o dei santi?

16) Digiuni al Mercoledì e al Venerdì e negli altri periodi quaresimali, anche se non hai seri problemi di salute?

17) Forse getti via i libri o periodici religiosi in luoghi indegni?

Tu e il tuo prossimo

1) Forse nutri odio o rancore verso qualcuno che ti ha maltrattato o insultato in un momento di rabbia?

2) Forse sei sospettoso e diffidi di tutti senza ragione, perché ti sembra che parlino male di te, che non ti vogliano, che non ti amino, che non desiderino vederti, e così via?

3) Forse ti senti geloso e turbato del progresso, della felicità, della bellezza e dei beni degli altri?

4) Forse resti indifferente di fronte alle sfortune o necessità del tuo prossimo?

5) Nei tuoi affari con i tuoi colleghi, collaboratori o clienti, sei onesto, leale, sincero e retto?

6) Forse hai accusato o calunniato qualcuno?

7) Forse parli in modo sarcastico e deridi le persone pie, quelle che digiunano e si sforzano di vivere una vita cristiana? O quanti hanno qualche debolezza fisica o spirituale?

8) Quando hai udito qualche informazione o accusa contro qualcuno, forse l’hai comunicata ad altri danneggiando, senza volerlo, la reputazione e l’onore di un tuo simile?

9) Forse pronunci giudizi sul comportamento, le azioni, gli errori o le mancanze degli altri in loro assenza, anche se quanto dici è vero?

10) Forse hai maledetto qualcuno che ti ha fatto un torto, oppure, in circostanze difficili della tua vita, hai maledetto te stesso o il giorno e l’ora in cui sei nato?

11) Forse hai mandato qualcuno al diavolo o hai fatto gesti di ingiuria?

12) Rispetti i tuoi genitori? Ti prendi cura di loro? Sopporti le debolezze della loro vecchiaia, se ne hanno? Li aiuti nelle loro necessità fisiche e spirituali? Ti assicuri che possano andare in chiesa e ricevere la Comunione? Forse li hai abbandonati senza cuore?

13) Forse hai importunato i tuoi genitori per farti assegnare la parte del leone nell’eredità, facendo in questo modo un torto ai tuoi fratelli?

14) Forse nell’ira hai picchiato qualcuno o lo hai offeso a parole?

15) Compi con scrupolo il tuo lavoro o la tua vocazione?

16) Forse rubi? forse hai incitato o aiutato qualcuno a rubare, o hai accettato di coprire un ladro, o hai coscientemente accettato beni rubati?

17) Forse sei ingrato o privo di riconoscenza verso Dio e in generale verso quanti sono gentili nei tuoi confronti?

18) Forse mantieni cattive compagnie o relazioni peccaminose? Forse hai spinto qualcuno al peccato, con le parole o con il tuo esempio?

19) Forse hai commesso qualche falsificazione? Forse ti sei preso vantaggio del pubblico? Forse hai chiesto in prestito denaro o altri oggetti e hai mancato di restituirli?

20) Forse hai mai commesso un omicidio, in qualsiasi modo?

21) Forse ti immischi nelle vite, nel lavoro o nella famiglia degli altri, e diventi l’occasione per litigi e turbamenti?

22) Dai elemosine ai poveri, agli orfani, agli anziani, e alle famiglie povere e numerose che conosci?

Te stesso

1) Forse sei attaccato alle cose materiali e ai beni terreni?

2) Forse sei avaro e amante del denaro?

3) Forse sei preso dall’avidità?

4) Forse sei uno spendaccione (dato che tutto ciò che hai in sovrappiù appartiene ai poveri)?

5) Forse sei un megalomane?

6) Forse ami mostrare in giro i tuoi vestiti, la tua ricchezza, i tuoi successi, e l’istruzione dei tuoi figli?

7) Forse desideri l’ammirazione e la gloria degli uomini?

8) Accetti le lodi con piacere, volendo essere adulato dagli altri e sentirti dire che non ci sono altri come te?

9) Ti offendi quando gli altri ti fanno vedere i tuoi sbagli, e ti risenti quando i tuoi superiori ti riprendono e ti criticano?

10) Forse sei testardo, ostinato, egoista, orgoglioso e individualista? Fai attenzione a questi peccati, perché è difficile diagnosticarli.

11) Forse giochi a carte – anche senza scopo di lucro – con i vicini e i parenti, tanto per “ammazzare il tempo”, come si dice?

12) Forse i peccati carnali hanno inquinato il tuo corpo e la tua anima?

13) Guardi spettacoli osceni alla televisione e al cinema?

14) Forse leggi libri e spettacoli osceni?

15) Forse in qualche momento hai pensato di toglierti la vita?

16)  Forse sei schiavo del tuo stomaco?

17) Forse sei pigro, negligente e indolente?

18) Forse pronunci parole improprie, oscene o insolenti, sia per apparire comico, sia per insultare o umiliare un’altra persona?

19) Hai uno spirito di negazione di te stesso?

20) Espelli dalla tua mente ogni pensiero cattivo che viene a inquinare il tuo cuore?

21) Fai attenzione a che i tuoi occhi non scrutino immagini o persone che ti possano provocare?

22) Fai attenzione a ciò che ascoltano le tue orecchie?

23) Forse ti vesti in modo indecente? Se sei una donna, forse ti vesti con abiti maschili o provocatori, e causi scandalo con il tuo aspetto, soprattutto quando entri nei luoghi sacri? Se sei un uomo, forse hai un aspetto provocatorio?

24) Forse prendi parte a danze oscene o frenetiche? Canti o ascolti canzoni oscene?

25) Forse ti ubriachi?

26) Forse fumi? Il fumo distrugge la nostra preziosa salute. È uno spreco peccaminoso di denaro, e un’ossessione.

La vita di coppia

1) Mantieni la fedeltà coniugale? È una cosa terribile quando mariti e mogli hanno relazioni illecite.

2) Forse uno dei due coniugi ha offeso o rattristato l’altro in presenza di altri o in privato?

3) Forse uno non sopporta le possibili debolezze dell’altro? Forse mostrate insensibilità?

4) Forse, come marito, incoraggi tua moglie a seguire le mode e ogni pazza novità che contraddice la Legge di Dio? Forse, come moglie, trascini tuo marito alle feste e gli chiedi i fondi per seguire le mode e le vie del mondo?

5) Tenete conto delle difficoltà che uno ha fuori di casa e l’altra in casa, in modo da aiutarvi l’uno con l’altra fornendo riposo psicologico e fisico?

6) Come marito, fai forse eccessive richieste che sviliscono le tue relazioni coniugali? Pratichi la continenza alla vigilia delle Domeniche e delle Feste e nei giorni di digiuno in generale?

7) Forse non permetti a tua moglie o tuo marito di andare in chiesa, o a riunioni e incontri religiosi?

8) Cresci i tuoi figli “nell’educazione e nella disciplina del Signore” (Efesini 6:4)? Forse ti interessi solo della loro formazione intellettuale e sei indifferente alla qualità del loro carattere?

9) Li porti in chiesa, alla Santa Confessione, alla frequente Divina Comunione, al catechismo? Insegni loro la virtù con le tue parole e il tuo esempio? Insegni loro a pregare al mattino e alla sera, così come al momento dei pasti, con attenzione e devozione?

10) Fai attenzione a ciò che leggono? Ti assicuri di dare loro libri e riviste che insegnino il rispetto per la patria e per la religione?

11) Sei attento a coloro che frequentano e ai loro amici?

12) Li porti forse a spettacoli peccaminosi e permetti loro di guardare la televisione indiscriminatamente e senza controllo?

13) Insegni loro l’umiltà? Ti assicuri che vestano con modestia?

14) Forse li insulti quando ti infastidiscono? Forse li mandi al diavolo?

15) Forse hai avuto aborti o hai evitato di avere figli?

16) Forse sei stato ingiusto verso i tuoi figli nella distribuzione delle tue proprietà?

17) Forse, come marito, pensi che il dovere di crescere e istruire i tuoi figli spetta solo a tua moglie? Anche tu sei responsabile di ammonirli, leggere per loro, e passare tempo con loro, per dare riposo a tua moglie, e anche perché i figli possano sentire la tua presenza e in questo modo essere protetti dal mettersi nei guai.

18) Forse insulti i tuoi figli e li rimproveri con parole indecenti?

19) Onorate entrambi i genitori e i parenti dell’altro? Forse lasci che i tuoi genitori e parenti interferiscano nella vostra vita familiare e che diventino causa di dissenso e di incomprensione tra voi?

20) Forse interferisci nella vita domestica dei tuoi figli?

21) Forse il tuo coniuge bestemmia? Abbi pazienza e sforzati perché smetta con l’orribile abitudine delle bestemmie.

La vita come sacramento

Padre Sergej Sveshnikov: La vita come sacramento
 
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Un intervento alla St. Herman Orthodox Youth Conference il 24 dicembre 2011 a Ottawa, Canada

Introduzione

Tutti conosciamo i sacramenti della Chiesa e li riconosciamo come eventi o pietre miliari nella nostra vita cristiana: siamo battezzati, ci prepariamo per la confessione e la comunione, ci sposiamo, alcuni possono essere ordinati al santo sacerdozio… Questi importanti episodi ci forniscono il tempo e il luogo per essere faccia a faccia con Dio, per unirci a lui nella sua santa Chiesa, il suo corpo. Ma per quanto riguarda il resto della nostra vita? Bene, preghiamo per alcuni minuti la mattina e anche la sera. Ma che dire del resto? Troppo spesso, le nostre vite sono fratturate: c’è la parte cristiana – i sacramenti e le funzioni, le preghiere e le letture della Chiesa, e c’è la parte secolare – la scuola, il lavoro, una festa a casa di un amico, un film al venerdì sera, e la due parti sembrano essere tanto lontane quanto il levante dal ponente. In effetti, cosa c’è di tanto spirituale nel cucinare la colazione? Oppure, come si può essere (o non essere) un cristiano mentre ci si lava i denti? La stessa separazione molto meccanicistica tra la Chiesa e il resto della vita sembra tanto comune nel cristianesimo moderno, quanto la separazione tra la Chiesa e lo Stato. Ma ci può essere un altro modello? Esiste un modo per riconciliare i pezzi rotti della vita moderna fratturata e di vivere un’integra e semplice vita cristiana? Qui discuteremo il significato della parola “sacramento”, il ruolo che svolgono i sacramenti nella nostra vita, e anche alcuni modi in cui possiamo guidare e plasmare la nostra vita di ogni giorno verso una maggiore connessione con Dio e con la sua Chiesa.

Che cos’è un sacramento?

Prima di iniziare la nostra discussione sui sacramenti, cerchiamo prima di definire che cos’è un sacramento in realtà. Questo compito non è del tutto in linea con la tradizione della Chiesa ortodossa. In realtà, la Chiesa ortodossa nel suo insieme non ha mai formulato una definizione precisa. Ciò nonostante, alcuni singoli teologi hanno cercato di definire la parola “sacramento”. Il beato Agostino di Ippona, per esempio, ha scritto che “La Parola viene all’elemento; e quindi un sacramento, per così dire, è una sorta di parola visibile”, o, in altre parole, “un sacramento è un segno visibile di una realtà invisibile “Un’altra definizione può essere trovata nel Catechismo esteso della Chiesa ortodossa cattolica orientale di san Filarete (Drozdov): “Un mistero o sacramento è un atto sacro, attraverso il quale la grazia, o, in altre parole, la potenza salvifica di Dio, opera misteriosamente sull’uomo”.

Queste definizioni sono accettabili? In molti modi, lo sono. Tuttavia, queste definizioni lasciano aperte alcune domande. Per esempio, una brioche che possiamo aver mangiato a colazione è un segno visibile di una realtà invisibile? Certo! È un segno molto visibile, tangibile, e gustoso delle benedizioni che Dio dona alle fatiche dei contadini e dei panettieri. E che dire della preghiera che abbiamo fatto prima dell’inizio di questa Conferenza – è un sacramento? Secondo la definizione di San Filarete, sì, dal momento che è un atto attraverso il quale la grazia di Dio opera misteriosamente sull’uomo.

“Ma aspettate”, si può dire: “non ci sono solo sette sacramenti?” Torneremo a questa domanda, ma prima, oserò offrire l’ennesima definizione di ciò che è un sacramento. Cerchiamo di definire un sacramento come un luogo e un tempo in cui un atto deliberato di Dio si intreccia con un atto deliberato dell’uomo. In altre parole, un sacramento è quando Dio e l’uomo lavorano insieme. Cosa stanno cercando di realizzare? Beh, sappiamo ciò che Dio sta cercando di realizzare, la salvezza dell’uomo, e ancor più precisamente, la theosis. Così, quando Dio e l’uomo collaborano nel processo di deificazione, quest’atto è un sacramento. Perché questa dualità è così importante? Perché, senza la volontà e la partecipazione di Dio, tutto quello che otteniamo sono atti o opere di uomini. E senza la volontà e la partecipazione dell’uomo, ciò che otteniamo è un miracolo operato da Dio solo. È solo quando i due atti si uniscono che abbiamo un sacramento.

Quanti sacramenti ci sono?

Nel XVI secolo, il Concilio cattolico di Trento stabilì che c’erano sette sacramenti, [1] e sono gli stessi sacramenti che troviamo nei libri ortodossi della Legge di Dio o nel Catechismo di san Filarete [2]: battesimo, cresima, confessione, comunione (o eucaristia), unzione, matrimonio, e ordinazione. Questo elenco è venuto nella tradizione ortodossa dall’Occidente latino, ed è diventato un punto di riferimento comodo e ben confezionato per libri di testo delle scuole domenicali e dei catechismi popolari. Tuttavia, a differenza della Chiesa cattolica romana, che scomunica chi dice che ci sono meno o più di sette sacramenti, [3] gli autori ortodossi hanno parlato da un minimo di due fino a dieci sacramenti [4], senza pretese di esclusività. In effetti, se un sacramento è un atto collaborativo di Dio e dell’uomo nel processo di deificazione, allora anche i voti monastici, per esempio, sono un sacramento, [5], e così è la benedizione dell’acqua.

Purtroppo, dopo diverse generazioni di bambini che imparano l’elenco dei sette sacramenti nelle loro lezioni della scuola domenicale, molti ortodossi equiparano i sacramenti a una lista di sette riti o rituali della Chiesa, che non sono solo relativamente rari (quanto spesso, per esempio, ci si fa battezzare o ci si sposa?), ma possono anche non essere per tutti (per esempio, le donne non possono essere ordinate, e i monaci non possono sposarsi). Quindi, cerchiamo di passare a parlare di alcuni dei sacramenti in modi che li rendono importanti per tutti noi, in tutta la nostra vita.

Il battesimo

Molti ortodossi laici e anche alcuni sacerdoti credono che una volta che una persona è stata battezzata da bambino, rimane ortodossa per il resto della sua vita. In realtà dovrebbe essere così, ma spesso non lo è. Il battesimo è l’ingresso nella Chiesa, sia come corpo mistico di Cristo che come istituzione umana stabilita da Dio. Ma nessuno di questi è un carcere, e chiunque è libero di uscire in qualsiasi momento. In realtà, ognuno di noi lascia la Chiesa per mezzo del peccato e non è più nel corpo di Cristo. Ricordiamo le parole di una preghiera che si sente durante la confessione: “Riconcilialo e uniscilo con la tua santa Chiesa…” Così è perché, a causa del peccato, diventiamo nemici della Chiesa, non siamo più nel corpo di Cristo, infrangiamo i nostri voti battesimali e contaminiamo la nostra veste battesimale. E dobbiamo riconciliarci e unirci di nuovo attraverso il pentimento. Così, il battesimo, mentre è di fatto un evento singolare, pone obblighi in tutto il corso della nostra vita; così come piantare un seme è un evento singolare, ma far crescere un albero richiede impegno e pazienza.

La confessione

Molte persone vedono anche la confessione come un evento singolare e talvolta raro. Alcuni vanno a confessarsi solo una volta l’anno (cosa che, per inciso, io considero un abominio). Altri possono confessarsi più spesso e anche più o meno regolarmente… ma cerchiamo di sostituire la parola “confessione” con la parola “pentimento”. Qual è la differenza? Immaginate un ladro che racconta con orgoglio a un suo amico di tutte le cose che ha rubato, e poi va a rubare ancora. Ha appena confessato i suoi peccati, senza dubbio. Ma è pentito? Ora immaginate un cristiano che si confessa, enumera tutti i suoi peccati, ne è ben consapevole, e poi va e continua a vivere nel peccato. Questo può essere considerato un sacramento? Ovviamente no. Mentre Dio è pronto a cancellare i peccati della vita di questa persona, la persona stessa non vuole cancellarli, vuole tenerseli. Li confessa senza alcuna volontà di cambiare la sua vita, vale a dire, senza pentimento.

La parola “pentimento” ha una radice latina che non riflette il pieno significato del concetto ortodosso. L’equivalente greco – μετάνοια – significa cambiare la propria mente, non farla restare la stessa. [6] Perciò, pentirsi è decidere di allontanarsi dal peccato e di fare uno sforzo per non tornare a peccare. Ed è qui, all’interno dell’unione della volontà di Dio di agire per cancellare i nostri peccati e della nostra volontà di agire per allontanarci dal peccato – che il sacramento ha luogo. Così, il sacramento della penitenza non si limita a elencare i nostri peccati davanti a un prete e a ricevere un’assoluzione, ma continua nei seguenti minuti, ore, giorni, settimane e nel resto della nostra vita mutata e mutevole.

La comunione

Allo stesso modo, la comunione non è solo quel momento in chiesa quando riceviamo di fatto il corpo e il sangue di Cristo nella nostra bocca e inghiottiamo. Il termine latino communio significa “mettere in comune”, [7], cioè la partecipazione alla natura e alla vita del Corpo di Cristo, diventando tutt’uno con esso, come disse l’apostolo Paolo, “non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me “(Gal 2,20). Si noti che l’Apostolo usava la parola “vive” – non “viene in visita” o “si ferma per un breve momento”, ma “vive.” Conoscete il famoso detto popolare, “Tu sei quello che mangi”. Partecipiamo al corpo di Cristo per diventare corpo di Cristo. In una preghiera durante la Liturgia, il sacerdote chiede a Dio di effondere il suo Spirito Santo su di noi (in primis!) e quindi sui Santi Doni già presentati. E questo – il nostro divenire corpo di Cristo – non deve essere solo per un minuto o per un giorno, ma letteralmente per l’eternità. In questo modo, la comunione è al di fuori del tempo, e noi dobbiamo essere in comunione con Cristo non solo quando ci comunichiamo in chiesa, ma anche il giorno successivo, e il successivo, e il successivo, e proprio ora mentre siamo seduti qui ad ascoltare questo discorso.

Il matrimonio

Questo stesso principio dei sacramenti, non limitato dai vincoli dei riti ecclesiastici e dai rituali ad essi associati, ma che invece permea la totalità di una vita cristiana, può essere applicato al resto dei sacramenti della lista “ufficiale”, anche se non li discuteremo tutti qui. Ma, come ultimo esempio, diamo un’occhiata a un sacramento che non è apparentemente per tutti, il matrimonio. Infatti, alcune persone si sposano, e altre no.

Secondo le Scritture, un matrimonio tra un uomo e una donna è un’icona del grande mistero di Cristo e della Chiesa (cfr. Ef 5,32). In realtà, per parlare di questo mistero, l’apostolo Paolo usa le stesse parole con cui Dio ha stabilito il sacramento del matrimonio tra un uomo e una donna: “…e i due saranno una carne sola ” (Ef 5:31, cf Gn 2,24). Questo dovrebbe immediatamente ricordarci il sacramento che abbiamo discusso in precedenza, la santa comunione, ma anche il battesimo e la confessione, perché essi ci aiutano a entrare e a rimanere nel corpo di Cristo – i due saranno una carne sola. Infatti, unirsi a Cristo è l’obiettivo centrale della vita cristiana, ed è, per estensione, lo scopo principale dietro ogni sacramento della Chiesa. Il sacramento del matrimonio è un’icona del mistero di Cristo e della Chiesa, ma ce ne sono altri. Anche il monachesimo, per esempio, è un’icona vivente dell’unione di un uomo o di una donna con Cristo, e allo stesso modo è una vita dedicata al servizio disinteressato e di sacrificio per gli altri, cosa che, per inciso, è anche l’essenza spesso dimenticata del matrimonio tra un uomo e una donna.

Tutti i cristiani sono chiamati al banchetto di nozze dell’Agnello, non come ospiti o spettatori, ma come partecipanti, come membri della sposa santa e senza macchia, la Chiesa, per essere uniti con lo Sposo divino in una sola carne, il corpo di Cristo. Sia che ci si sposarsi o si rimanga singoli, che si segua il percorso del monachesimo o si rimanga nel mondo, ognuno di noi è chiamato a essere partecipe del matrimonio sacramentale di Cristo e della sua Chiesa. E la nostra partecipazione terrena nell’icona di questo sacramento divino non è limitata ai pochi minuti in cui indossiamo le nostre corone nuziali nel corso di una cerimonia in chiesa, ma è un impegno lungo una vita che continua nell’eternità con Cristo.

“La vita non esaminata non è degna di essere vissuta …” [8]

Mentre abbiamo parlato dei vari sacramenti della Chiesa, avrete notato che abbiamo continuato a dire la stessa cosa, spesso usando le stesse parole. Non sto cercando di parlare a vuoto, ma può sembrare così. Forse, questo è perché esiste davvero un solo sacramento, il sacramento di essere nel corpo di Cristo risorto, il sacramento della theosis. Ogni sacramento della Chiesa, ogni preghiera, ogni rito e rituale, ogni lettura e inno ha l’obiettivo di mostrarci la via, di darci la forza di essere nel corpo di Cristo. In effetti, la nostra stessa vita, dal primo “Benedetto il nostro Dio …” all’ultimo “Amen!” – ha una sola domanda: “Ti unisci a Cristo?” E una sola risposta corretta: “Mi unisco a Cristo!” Queste parole non sono solo né principalmente una parte del rito del catecumenato, ma devono risuonare nel corso di tutta la vita cristiana. È questa continua unione con Cristo, che ha permesso all’apostolo Paolo di dire: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20) e a san Giovanni di Kronstadt di parlare della sua vita in Cristo. Questa non è un’espressione buonista – la sua era letteralmente una vita in Cristo. Allo stesso modo, vi è solo una vera virtù – essere nel corpo di Cristo, e solo un vero peccato – essere separati da Cristo. Qualunque cosa nella nostra vita ci differenzia da Cristo, distorce la Sua immagine in noi – è peccato.

Purtroppo, molto spesso la domanda “che cosa farebbe Gesù” diventa molto confusa. In realtà, alcune persone hanno una tale immagine bidimensionale di Cristo nella loro mente che diventa assolutamente impossibile anche solo immaginare che cosa avrebbe fatto questo personaggio bidimensionale di fronte a un vero e proprio mondo a quattro dimensioni. Ma non dimentichiamo che Cristo ha preso la nostra natura umana su di sé non per santificare delle icone bidimensionali di se stesso, per quanto sante possano essere, ma per guarire, ripristinare e santificare la stessa natura umana in tutta la sua complessità. Quando Cristo entra in noi, nello stesso modo in cui Egli è entrato nell’apostolo Paolo, in san Giovanni di Kronstadt, e in tutti gli altri santi cristiani, questa unione ha effetto sulla totalità della vita umana: i nostri ingressi e uscite, le nostre preghiere a Dio e le conversazioni con gli amici, la nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo in chiesa e la cena di famiglia di tutti i giorni.

Secondo Platone, Socrate una volta disse che la vita non esaminata non è degna di essere vissuta. Che cosa è una vita non esaminata? Immaginate di non fare assolutamente nulla e di stare solo in attesa della fine di un giorno… un giorno, due giorni… O immaginate di vivere da una festa a un’altra, da divertimento a divertimento, con niente in mezzo – il lavoro, la scuola, la solita roba noiosa, l’attesa della fine di un anno, per poter fare le prossime vacanze. Una vita meccanica, spensierata con il pilota automatico: cibo-lavoro-sonno. Ora immaginate di pensare a Dio solo una volta o due al giorno, o una volta o due alla settimana, o anche una volta o due all’anno.

Ma cosa dovremmo fare? Cantare salmi in slavonico ecclesiastico sotto la doccia? Beh, questa non è davvero una cattiva idea. In ogni caso, a mio gusto, è meglio che cantare l’ultima canzone di Justin Bieber. Ma il punto più importante è che qualsiasi cosa nella vita può e deve essere fatta con intenzione e preghiera. E questa non è solo una questione di una certa condizione spirituale interiore, ma anche una azione molto esterna e viscerale. Noi non siamo una raccolta meccanica di parti – corpo, anima, spirito – tutte messe insieme con alcune viti e colla. Piuttosto, siamo esseri integrali – ciò che fa il nostro corpo influisce sulla nostra anima, e la bocca parla di ciò di cui è pieno il cuore (Mt 12:34; Lc 6:45).

Consideriamo, per esempio, le parole di Gesù figlio di Sirach: “In tutte le tue opere, ricorda il tuo fine ultimo, e non peccherai mai” (Sir 7:40). Questo versetto parla di tutto l’essere umano – corpo, anima e spirito. “In tutte le tue opere” – con le mani, i piedi, persino la tua bocca; “ricorda il tuo fine ultimo” – ricordalo con la tua mente, lascia che il ricordo della morte guidi la tua anima “e non peccherai mai” – la tua bussola spirituale, quella parte di te che punta verso Dio, rimarrà fedele.

Allo stesso modo, l’apostolo Paolo scrive: “Pregate incessantemente” (1 Ts 5:17). A volte, le persone interpretano questo versetto come se non parlasse della preghiera nel modo in cui di solito la maggior parte delle persone la capisce – l’atto di comunicare con Dio attraverso il culto, le petizioni, o le contemplazioni, ma come se parlasse di livelli più alti dell’arte delle fatiche noetiche, e quindi irraggiungibile per la maggior parte delle persone, proprio come i più alti livelli della maggior parte di altre arti. Forse, questa è una interpretazione valida – non lo so, non ho raggiunto i più alti livelli delle arti noetiche. Ma leggendo l’epistola di Paolo, viene in mente un’altra interpretazione. Non è probabile che l’apostolo sta parlando di semplici cose quotidiane riguardanti la vita di ogni cristiano, semplicemente della vita e della mentalità cristiana? Ecco il contesto più ampio (14-18):

14 Vi esortiamo, fratelli: correggete gli indisciplinati, confortate i pusillanimi, sostenete i deboli, siate pazienti con tutti.

15 Guardatevi dal rendere male per male ad alcuno; ma cercate sempre il bene tra voi e con tutti.

16 State sempre lieti,

17 pregate incessantemente,

18 in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi.

Naturalmente, il rendere grazie potrebbe essere visto come un’altra delle arti noetiche, o può essere una cosa semplice come ringraziare Dio per tutto – non solo quelle cose che ci sembrano piacevoli, ma anche quelle che sono amare come le medicine e dolorose come la chirurgia. In effetti, un medico prende un coltello e taglia la nostra carne, e tuttavia gli diciamo: “Grazie, dottore!” E in realtà ci sentiamo riconoscenti, seppure un po’ doloranti.

Ma diamo un altro sguardo alle parole della Scrittura: “in ogni cosa”, ” cercate sempre”, “incessantemente…” Non è questo forse un monito a prestare molta attenzione a ogni singolo momento della nostra vita? Suona scoraggiante, non è vero? In realtà, è piuttosto semplice e comincia con piccoli passi. Per esempio, molte persone usano il telefono – chiamano i loro amici e familiari, rispondono quando squilla senza darsi troppo pensiero. In realtà, si tratta di una esperienza così comune che non ci pensiamo due volte. Conosco una persona che si fa il segno della croce ogni volta prima di prendere in mano il telefono. Com’è bello e significativo! Com’è semplice! – Una pausa, una breve preghiera, una realizzazione che l’interazione che avverrà è all’interno dello spazio e del tempo sacro della vita umana. La vita esaminata… Noi facciamo tutti la doccia, vero? Una volta ho letto di una persona che recitava un solo breve versetto del Salmo 50 (51 nella numerazione masoretica): “Purificami con issopo e sarò mondo: lavami, e sarò più candido della neve” (verso 7). Anche in questo caso, quant’è bello nella sua semplicità!

Una vita santificata, una vita come sacramento, non è questo ciò che la Chiesa ci insegna? I nostri corpi e anime sono lavati nelle acque del santo battesimo; le nostre auto e case sono santificate con l’acqua santa, i nostri occhi, orecchie e bocche sono sigillati con santo crisma – un cristiano è uno speciale contenitore separato, messo da parte per il servizio di Dio (cfr. 1 Pietro 2:9). Perché pensate che indossiamo una croce in ogni momento? Per la stessa ragione per cui vi è una croce su ogni chiesa per significare che non si tratta di un fienile o di un magazzino, ma un tempio di sacro di Dio. Chiaramente, in questo breve discorso non possiamo discutere di una vita umana in ogni dettaglio, ma in conclusione, vorrei citare solo due aspetti della nostra routine quotidiana che sono già contrassegnate dalla Chiesa come sacre.

Le ore dei pasti

Noi tutti mangiamo, spesso senza dare molta considerazione all’atto di mangiare, abbiamo fame, perciò mangiamo. Tuttavia, mangiare è uno dei più antichi atti sacri noti agli uomini. Attraverso il cibo Adamo ed Eva caddero lontano da Dio, e attraverso il cibo Cristo entra in noi nella comunione. Caino e Abele offrirono cibo che avevano elevato come sacrificio a Dio. Abramo nutrì i tre visitatori divini. Quando il figliol prodigo è tornato a casa, il padre ha ordinato che si preparasse un pasto. È l’unione di Cristo e dell’uomo è spesso simboleggiata da un banchetto.

Noi preghiamo prima e dopo ogni pasto. Le preghiere segnano il sacro e lo separano dal profano. Così, il pasto è tempo sacro, un rito sacro. In parole povere, il pasto è un’icona: il pane terreno nutre e sostiene i nostri corpi come Cristo, il pane celeste, nutre e sostiene le nostre anime. E ogni pasto è in qualche modo sacramentale, in quanto ci dà un simbolo visibile di una realtà invisibile. E proprio come con le immagini dipinte ci sono le icone sacre e ci sono le caricature, così è con i pasti: ci sono tempi sacri e ci sono caricature.

Le preghiere quotidiane

A volte sentiamo che il tempo sacro ai nostri giorni è il tempo della preghiera. Trattiamo la preghiera come una forma d’obbligo: 15 minuti per Dio, il resto della giornata per me. Anzi, spesso fraintendiamo gli obblighi religiosi e li vediamo allo stesso modo dei nostri obblighi sociali. Diamo uno sguardo alle tasse, per esempio: diamo una certa parte del nostro reddito al governo perché ha bisogno di fondi per vari programmi, e teniamo il resto per i nostri bisogni. Chiaramente, con Dio non è la stessa cosa. Dio in realtà non ha bisogno delle nostre decime, e non ha bisogno di preghiere. Al contrario, offriamo le nostre primizie a Dio in modo che tutte le nostre fatiche terrene siano santificate. Tutto quello che possediamo e, a proposito, anche tutto quello che mangiamo è sacro perché è sacrificale, è stato santificato dalla nostra offerta dei primi e migliori frutti a Dio. Allo stesso modo, offriamo preghiere mattutine e serali a Dio in modo che tutta la nostra giornata possa essere santa, pacifica e senza peccato. In altre parole, il tempo sacro della giornata non è il tempo della preghiera, ma il tempo che è segnato, incorniciato, coronato dalla preghiera, vale a dire, tutto il giorno stesso. Un buon esempio può essere un bel calice: per quanto sacro e bello possa essere, è quello che c’è dentro che conta. O un bel tempio, perché è santificato non da oro e lustrini, ma dalla presenza di Dio, e senza Dio all’interno, è solo un museo di architettura e belle arti. Pensateci, la prossima volta che volete fare in fretta a finire le vostre preghiere in modo da poter andare avanti con la vostra giornata.

Un altro aspetto importante della preghiera è che ci tiene in contatto con Dio, da persona a Persona, ci ricorda che non siamo soli, che ciò che vediamo non è tutto ciò che esiste. Naturalmente, questo funziona solo se la preghiera è costante o almeno frequente. Per alcuni può essere una sorpresa, ma i primi cristiani non avevano i libri di preghiera stampati a Jordanville. Invece, recitavano regole di preghiera molto più brevi molto più frequentemente, fino a cinque volte al giorno o più, a orari specifici. La regola di preghiera probabilmente consisteva nella preghiera del Signore. [9] Forse, un interessante eco della pratica di preghiere brevi ma frequenti si possono trovare nella nostra regola di preghiera della sera – la preghiera di san Giovanni Crisostomo, con una breve supplica per ogni ora del giorno. Non è chiaro se san Giovanni seguisse sempre una regola di dire una petizione a ogni ora del giorno, o se ha fatto quello che facciamo noi oggi – leggere tutta una lista, in pochi minuti, ma anche i nostri servizi divini seguono un modello preordinato per tutto il giorno: l’ora prima (6:00), l’ora terza (9:00), l’ora sesta (12:00), l’ora nona (15:00), e poi il vespro (18:00).

Il mondo industriale moderno è stato costruito in modo tale che per la maggior parte dei lavoratori sarebbe impossibile recitare a dieci o quindici minuti di regola di preghiera tre o cinque volte al giorno. Ma gli antichi non facevano nemmeno questo. Che cosa succederebbe se cercassimo di fare quello che facevano loro, la Preghiera del Signore? O, forse, qualcosa di ancora più breve – la Preghiera di Gesù? Potremmo farla cinque volte al giorno?

Se sei un cristiano, allora non credi che la tua vita sia un incidente, privo di scopo, un picco casuale senza senso di un onda di probabilità cosmica. Voi sapete che il vostro scopo è quello di diventare il corpo di Cristo. Sapete che la vostra vita è un sacramento, non diversamente dall’eucaristia. I chicchi di grano crescono dalla terra, formati e modellati attraverso molto lavoro per essere offerti a Dio e diventare il suo corpo. Allo stesso modo una vita umana: presa dalla terra, è formata e modellata attraverso molto lavoro per diventare un’offerta a Dio e il suo corpo. E così come ci sono differenze tra le diverse tradizioni liturgiche, diverse persone hanno trovato diversi modi di vivere la loro vita come offerta sacra a Dio. Forse è meno importante se cantate o no salmi sotto la doccia, se recitate la Preghiera del Signore tre volte al giorno oppure cinque – ciò che è importante è che viviate la vostra vita come un sacramento, come un’icona, e non come una caricatura.

Note

[1] Il decreto del Concilio di Trento era una formulazione ufficiale di una precedente tradizione scolastica cattolica romana, che risale al XII secolo ed era già stata affermata due volte da due precedenti Concili della Chiesa cattolica romana: il Concilio di Lione (1274) e il Concilio di Firenze (1439).

[2] Cfr. anche la stessa lista nella Confessione ortodossa del metropolita Pietro Mohila (17 cent.).

[3] Settima sessione del Concilio di Trento, Decreto sui sacramenti, “Sul sacramento in generale,” Canon I.

[4] San Giovanni di Damasco ne cita due, san Cirillo di Gerusalemme 3, San Dionigi l’Areopagita 6, Joasaf di Efeso 10, solo per citarne alcuni.

[5] In realtà san Teodoro Studita, tra gli altri, elenca i voti monastici come uno dei sacramenti.

[6] Il concetto di pentimento cristiano può anche essere visto come una continuazione e la combinazione delle due parole ebraiche che rappresentano l’idea del pentimento: שוב-tornare, e נחם- sentire dolore. In altre parole, pentirsi non significa solo elencare i propri peccati e sentirsi dispiaciuti per loro, ma anche allontanarsi da ciò che è male e tornare indietro a ciò che è buono – pensiamo, per esempio, alla parabola del figliol prodigo.

[7] La ​​corrispondente parola greca κοινωνία è tradotta come “comunione” per indicare sia la comunione di Dio e dell’uomo, sia anche la comunione delle persone.

[8] “ὁ δὲ ἀνεξέταστος βίος οὐ βιωτὸς ἀνθρώπῳ” – Platone, Apologia 38a. Platone attribuisce queste parole a Socrate, ma, suppongo, è impossibile sapere con certezza se alcuni dei pensieri di Platone non siano stati presentati come quelli del suo famoso maestro.

[9] Cfr. Didaché 8.

L’Arciprete Andrew Phillips .Domande e risposte sulla Pentecoste.(pravoslavie.ru 25 giugno 2013)

 
Lei direbbe che la Pentecoste è la festa più importante dopo la Natività di Cristo?

Penso che se si desidera avviare una diatriba tra gli ortodossi, questa domanda potrebbe essere un buon modo!

Prima di tutto, c’è la festa delle feste, la Pasqua, la festa della Risurrezione, che è superiore a tutte le altre feste.

Poi ci sono altre feste, come la Natività di Cristo, o Natale, il Battesimo di Cristo, o Teofania, e il giorno della Trinità, o la Pentecoste. Io non sono sicuro dell’ordine di importanza, ma dal momento che il Natale di Cristo è la festa dell’Incarnazione e la Pentecoste è la festa della Santissima Trinità e dello Spirito Santo, questo forse è un buon ordine di importanza. Dopo tutto, le due rivelazioni più importanti per noi sono l’incarnazione del Figlio di Dio e la Trinità.

Tuttavia, forse si potrebbe sostenere che l’Annunciazione, ovvero la concezione di Cristo, è la vera festa dell’Incarnazione. Anche se è una festa della Madre di Dio, dovrebbe quindi precedere la Natività di Cristo in ordine di importanza – la Natività non avrebbe potuto aver luogo senza il consenso della Madre di Dio al concepimento. Tuttavia, alla fine, tali considerazioni, anche se interessanti, non sono certo di vitale importanza per la nostra salvezza. La cosa principale è andare in chiesa per tutte queste feste e prendervi parte, piuttosto che occuparsi di così tanti dettagli.

Che cosa significa la parola Pentecoste?

Prima di tutto, dovrei dire che il nome più comune per questa festa è ‘giorno della Trinità’, piuttosto che il nome più formale di ‘Pentecoste’. Questo perché questa festa è la rivelazione dello Spirito Santo, e quindi la rivelazione della pienezza della Santissima Trinità, perché fino a questo giorno, avevamo conosciuto solo il Padre e il Figlio. Il Figlio ci aveva promesso il ‘Consolatore’ e oggi è disceso, in adempimento di quella promessa.

Pentecoste è semplicemente la parola greca per cinquanta. La Pentecoste viene 50 giorni dopo la Pasqua. Il significato di questo è che anche nell’Antico Testamento (Levitico 25), il numero 50 era speciale. Questo perché sette è il numero della pienezza o del completamento (Dio si riposò il settimo giorno, dopo i sei giorni della Creazione). 7 x 7 è quindi un particolare segno di pienezza e 50 è, naturalmente, 7 x 7 + 1. Pertanto, nel Vecchio Testamento, ogni cinquantesimo anno era chiamato anno giubilare. L’anno giubilare era non solo la fine del vecchio periodo giubilare, ma anche l’inizio di quello nuovo. Così, c’erano 49 anni di intervallo tra ogni un anno giubilare.

Con l’aggiunta di 1 a 7, otteniamo 8. Otto è visto come il numero di ciò che è al di là della pienezza di questo mondo, al di là della creazione, oltre il tempo e lo spazio creato, ciò che fa parte del tempo che verrà, ‘l’ottavo giorno’. Così, la Pentecoste, la discesa dello Spirito Santo sulla terra, è la pienezza della rivelazione della Santissima Trinità. Questo è il motivo per cui si chiama giorno della Trinità. La Discesa dello Spirito Santo dal cielo è il segno di un altro mondo, l’età a venire, ‘l’ottavo giorno’, che penetra in questo mondo. Ecco perché i battisteri erano, e sono tuttora, ottagonali. Essi simboleggiano l’ingresso del battezzato in un altro mondo, dove diventa un cittadino del Regno che verrà, ‘l’ottavo giorno’.

Può dirci qualcosa sui giorni immediatamente prima e dopo la Pentecoste?

La notte di Pasqua, la Chiesa inizia le funzioni di un libro speciale di servizi per questa stagione dell’anno. Si chiama Pentecostario o, in lingua slavonica, ‘Triodio fiorito‘. Questo testo contiene tutti i servizi che portano alla Pentecoste.

Al trentanovesimo giorno dopo la Pasqua, che è un mercoledì, abbiamo il congedo della Pasqua. In quel giorno, se possiamo celebrare una Liturgia, cantiamo il servizio di Pasqua per l’ultima volta. Poi deponiamo tutto ciò che è associato con la festa e rimettiamo la Sindone di Cristo, raffigurante la sua sepoltura, e che abbiamo venerato il Grande Venerdì, di nuovo su un muro del santuario.

Il quarantesimo giorno dopo la Pasqua, che è un giovedì, abbiamo la festa dell’Ascensione. Cristo ritorna al cielo e a suo Padre. Tuttavia, egli non ritorna così come è disceso dal cielo. Egli è disceso senza la natura umana, ma ritorna al Padre insieme con la natura umana. Quindi, la nostra natura umana siede alla destra di Dio Padre. Naturalmente, si tratta di una natura umana del tutto pura e senza peccato, crocifissa e risorta. Precedentemente, la nostra natura umana è stata separata da Dio, ma ora la nostra natura si unisce con lui.

Il giorno prima della Pentecoste, il sabato, ricordiamo i nostri antenati, perché lo Spirito Santo visiti e conforti quelli che si sono addormentati. Il giorno stesso di Pentecoste stessa, chiamato giorno della Trinità, dopo la Liturgia, abbiamo i Vespri con le preghiere in ginocchio, preghiere speciali di invocazione dello Spirito Santo su di noi e sui defunti. Questa è la prima volta in cui ci inginocchiamo a partire dalla Pasqua, in tutto questo periodo stiamo in piedi, perché siamo risorti con Cristo. Stare in piedi celebra la grazia della Risurrezione.

Il Lunedì dopo il giorno della Trinità, o Pentecoste, abbiamo il giorno del santo Spirito. Questo corrisponde al vecchio Whit-Monday, come si chiamava il lunedì di Pentecoste in Inghilterra. Questo è un altro esempio dell’uso ortodosso di celebrare la persona responsabile di una festa nel giorno dopo la festa. Così, si celebra la Madre di Dio il giorno dopo la Natività di Cristo, il Precursore Giovanni il Battista il giorno dopo la Teofania, san Simeone e sant’Anna il giorno dopo la Presentazione di Gesù al tempio, l’Arcangelo Gabriele il giorno dopo l’Annunciazione, san Gioacchino e sant’Anna il giorno dopo la Presentazione della Madre di Dio al tempio, sant’Andrea il folle in Cristo il giorno dopo la santa Protezione della Madre di Dio, e così via.

Il martedì di Pentecoste è noto come il terzo giorno di Pentecoste. In effetti, tutta la settimana dopo la Pentecoste è una settimana festosa, priva di digiuno. La Domenica dopo Pentecoste è la Domenica di Tutti i Santi. Questo perché i santi sono il frutto dello Spirito Santo. Lo possiamo vedere con chiarezza, perché una volta che i discepoli ricevettero lo Spirito Santo, sono diventati apostoli, cioè, sono stati ‘inviati’ da Dio, sono diventati santi.

Durante il secolo scorso, in un tempo di generale apostasia, è divenuto costume in diverse Chiese ortodosse locali di commemorare anche i loro santi locali la seconda domenica dopo Pentecoste e in effetti anche nelle domeniche successive. Così, la Chiesa russa ha iniziato a celebrare tutti i santi glorificati nella Rus’. Il servizio è stato scritto dal nostro metropolita Anastasij ed è stato introdotto come una misura per la salvezza della Russia. Altri paesi o regioni, come la Romania, il Nord America o le isole britanniche, hanno imitato questo uso. C’è anche sul Monte Athos una commemorazione di tutti i santi del Monte Athos.

La terza Domenica dopo la Pentecoste i greci hanno un officio per tutti coloro che hanno sofferto sotto il giogo turco. Poi ci sono altri offici locali, come tutti i santi della Bielorussia o di Novgorod e così via. In generale, tutto questo periodo dopo il giorno della Trinità è quindi una serie di celebrazioni locali dei frutti dello Spirito, i santi, e questo è anche il motivo per cui, in luglio e agosto, commemoriamo molti dei più grandi santi della Chiesa.

Perché decoriamo la chiesa con fiori e teniamo fiori durante la funzione di Pentecoste?

I fiori e il verde denotano la vita e come noi diciamo e cantiamo nel Credo: ‘credo nello Spirito Santo, datore di vita…’, e di nuovo nella preghiera ‘Re celeste’, che tutti noi dovremmo conoscere a memoria, chiamiamo il Santo Spirito ‘dispensatore di vita’. Questo è il motivo per cui il clero di solito indossa paramenti verdi. Il verde significa la vita, e senza lo Spirito Santo, noi siamo spiritualmente morti.

Nella preghiera che lei ha citato, ‘Re celeste’, chiediamo la salvezza. Ma non è solo Cristo, e non  il santo Spirito, il nostro Salvatore?

Noi usiamo molte preghiere, brevi e lunghe, in cui chiediamo la salvezza. Per esempio: ‘Santissima Trinità, salvaci’. ‘Santissima Madre di Dio, salvaci’. E tuttavia, come ha detto, c’è solo un Salvatore, Cristo nostro Dio. Com’è allora che possiamo essere salvati dalla santa Trinità? Risposta: per mezzo del Salvatore, per mezzo di Cristo, fatto scendere su di noi dalla santa Trinità. Come possiamo essere salvati dalla Madre di Dio? Certo, lei non può salvarci? Sì, lo può – attraverso le sue preghiere di madre al Salvatore. Cristo ci salva attraverso gli altri. Così pure, il Cristo Salvatore ci salva per mezzo dello Spirito Santo, o, se volete, lo Spirito Santo ci salva per mezzo di Cristo. Dopo tutto, è stato solo attraverso il Salvatore, che abbiamo ricevuto lo Spirito Santo e la conoscenza della santa Trinità. È stato solo attraverso la Madre di Dio che il Salvatore è diventato uno di noi, tranne che nel peccato.

Nell’Epistola di oggi, si dice che gli apostoli sembravano ubriachi quando hanno ricevuto lo Spirito Santo. Eppure nella Chiesa si parla sempre di sobrietà spirituale. Perché questa differenza?

Prima di tutto, non credo che dovremmo osare paragonare noi stessi agli apostoli, che con i propri occhi hanno visto la crocifissione, hanno visto il Cristo risorto. Quando hanno ricevuto lo Spirito Santo, hanno visto lingue di fuoco visibili. Questo è stato un evento unico. Noi lo commemoriamo, ma poiché non siamo santi, non possiamo aspettarci di vedere lingue di fuoco o di essere ‘ubriachi’ nello Spirito, come lo erano loro. Pensare che noi siamo in grado di sperimentare quello che hanno vissuto loro sarebbe incredibilmente pretenzioso da parte nostra. Questo è come l’illusione di ‘essere salvati’ che hanno alcune persone. Neppure uno solo di noi che abbia la minima dose di umiltà può pensare che siamo già salvati. Sarebbe un segno di orgoglio spaventoso pensare una cosa del genere.

In generale, dobbiamo diffidare di emozioni, emotività ed eccitazione fisica. Ci sono persone che si riducono in stati fisici ed emotivi esaltati e immaginano di essere quasi santi. Nel XIX secolo, questo era chiamato revivalismo tra i protestanti, ed è stato utilizzato in seguito il termine ‘pentecostalismo’, mentre oggi di parla di movimento carismatico. Questo accade sempre tra i protestanti o tra i protestantizzati. Ad esempio, vi è un forte movimento carismatico nel cattolicesimo romano e le persone in esso coinvolte sono molto protestantizzate. Non è un fenomeno ortodosso, perché non è spirituale. È una cosa molto pericolosa confondere i movimenti del corpo o le sensazioni emotive con la spiritualità. Sono cose molto diverse. Alcune sensazioni corporee ed emozioni possono essere ispirate dal demonio. Dobbiamo stare attenti.

Il pericolo di tutta questa emozione ed eccitazione fisica è che crea stati auto-indotti di illusione, di orgoglio spirituale. Il modo per combatterli è la sobrietà, ed è per questo c’è una tale enfasi sulla sobrietà nella Chiesa ortodossa. È per questo che non ridiamo in chiesa, non facciamo scherzi, rimaniamo seri. A un pasto dopo le funzioni, è un’altra storia, siamo più liberi. Nel corso di una festa parrocchiale, tutti possiamo raccontare barzellette e ridere. Ma ogni bambino (o adulto) che si fa prendere da un attacco di risate in chiesa deve andarsene subito, calmarsi e tornare quando è pronto a pregare. È una cosa che non si addice alla chiesa, che è la casa di Dio. C’è un tempo e un luogo per ogni cosa.

Nel giorno di Pentecoste, è scritto che gli apostoli parlarono in lingue. Perché non lo vediamo oggi nella Chiesa ortodossa?

La prima parte della mia risposta è la stessa di quella alla domanda precedente. Perché non siamo gli apostoli. Noi siamo indegni, non siamo al loro livello. Provate a immaginare se uno di noi iniziasse veramente a parlare in lingue, quanto orgogliosi saremmo diventati. Non si verificherà tra noi, perché il segno della presenza dello Spirito Santo non è l’orgoglio, ma naturalmente l’umiltà e la modestia, l’assenza di peccato. Cosa che noi oggi non abbiamo.

Tuttavia, penso che ci sia un secondo motivo: ovvero, che gli apostoli dovevano parlare in lingue per farsi capire. Oggi, se vogliamo imparare una lingua, siamo in grado di andare a scuola, prendere lezioni da un insegnante di un altro paese, comprare un CD, un libro o un traduttore, imparare da Internet. Ma gli Apostoli dipendevano dallo Spirito per comunicare. Molti di loro, come cantiamo nel tropario della festa, erano semplici pescatori, resi ‘più sapienti’ dallo Spirito Santo. Al giorno d’oggi, nei nostri tempi internazionali, non sono sicuro che il dono più utile dello Spirito sia quello di parlare in lingue. Piuttosto, potrebbe essere proprio il dono di continuare a praticare la nostra fede in un tempo in cui quasi nessuno lo fa. Le nostre chiese sono relativamente vuote. La testimonianza dello Spirito risiede nei pochi che ancora le frequentano. Non mi dite che quelli che non vanno in chiesa sono cristiani. Non lo sono.

Su questa questione del parlare in lingue, molti anni fa mi è stato raccontato un episodio da una persona che aveva partecipato a una riunione carismatica in cui c’era una sessione in cui si parlava in lingue. Alcune persone si alzarono e cominciarono a fare strani rumori, quasi animaleschi, come abbaiare. Poi una persona si alzò e cominciò a parlare in una lingua sconosciuta. Poi un altro si alzò in piedi e gridò: ‘fermatelo, sta bestemmiando la Madre di Dio’. A quanto pare, l’uomo che aveva interrotto aveva lavorato come scienziato in Sud America e aveva riconosciuto la lingua: l’altra persona aveva parlato in una lingua nativa dell’Amazzonia. Di fatto, la persona che parla aveva davvero bestemmiato la Madre di Dio. Qui vi è un chiaro caso di interferenza demoniaca, un demone che prende possesso di un essere umano, al fine di bestemmiare.

Penso che ci sia un punto molto importante qui. Come facciamo a distinguere gli esseri umani dagli animali? Una delle cose più importanti è la parola. Gli esseri umani hanno la parola. Questo è perché siamo fatti a immagine e somiglianza della Parola, che è Cristo. Gli animali non lo sono. Ridurre gli esseri umani a uno stato senza parole, o senza il Verbo, è un atto demoniaco. Non siamo animali, sebbene costantemente al momento attuale vediamo alcuni esseri umani comportarsi bestialmente gli uni con gli altri.

Io non voglio sembrare presuntuoso, ma dovremmo davvero prenderci cura della nostra lingua, del nostro modo di parlare, del modo di scrivere. Questo è più di una questione di salvaguardia della cultura umana: si tratta di salvaguardare la scintilla divina dentro di noi, le nostre origini e un destino divino. Così, quando gli esseri umani sono ridotti a stati animaleschi o di trance in un cosiddetto incontro carismatico, io non voglio essere presente. Ho anche sentito dire che molte persone che hanno vissuto il movimento carismatico ne sono stati resi malati mentali, cioè, sono stati privati ​​della loro ragione, il loro ‘logos’ o ‘parola’.

I demoni vogliono togliere da noi ‘la Parola’. Immaginate come si prendono gioco di esseri umani che strisciano intorno a quattro zampe e abbaiano, e che allo stesso tempo realmente credono che stanno lodando Dio. Tale stato era noto ai Padri latini come ‘illusio’ (da dove abbiamo la parola illusione), ai Padri greci come ‘plani’, ai Padri slavi come ‘prelest’. È molto difficile uscire da questo stato di illusione, una volta che catturato, perché uno è così convinto, per quanto ridicolmente si comporti, di avere ragione e di essere pure virtuoso. È l’orgoglio della mente.

Chi è la figura con un manto rosso nello spazio nero, sotto gli apostoli, in fondo all’icona della Discesa dello Spirito Santo?

Se si guarda attentamente, si vedrà, di solito in lettere greche, la parola ‘Il cosmo’ sopra di lui nello spazio nero. Questa figura coronata simboleggia tutta la conoscenza dell’universo, o ‘cosmo’. Questo include tutto il sapere del mondo antico, dei pagani greci, romani, egizi, babilonesi, indiani, cinesi, tutta la conoscenza che era nel mondo, fino alla discesa dello Spirito Santo. Gran parte di questa conoscenza era in sé puramente neutrale e riguardava tecnologie per produrre cibo e ottenere acqua, fare vestiti e strumenti, costruire barche e case, curare il corpo umano, scrivere documenti e storie, creare calendari, riflettere su Dio ecc. Il giorno di Pentecoste, tutte queste conoscenze utili sono state santificate e sono divenute utili alla Chiesa e alla costruzione di una civiltà cristiana ortodossa.

Così, tutta la nostra civiltà ha avuto inizio con la Pentecoste, la rivelazione della Santissima Trinità, la venuta dello Spirito Santo sull’umanità. Da quel giorno, tutta la nostra civiltà è diventata trinitaria. Come uno scrittore religioso messo: ‘Non c’è nulla tra la Santissima Trinità e l’inferno’. Se rifiutiamo la Santissima Trinità, rivelata il giorno della Pentecoste, rifiutiamo quindi tutta la nostra civiltà e la nostra vita diventa infernale. Questo dovrebbe far pensare tutti noi.

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Come trovare un padre spirituale

Come trovare un padre spirituale: Una conversazione con p. Nikolaj Vedernikov
L’arciprete Nikolaj Vedernikov, uno dei sacerdoti più anziani a Mosca, ha recentemente parlato con Pravmir sul senso della paternità spirituale nella vita spirituale. Nato a Mosca nel 1928, è stato ordinato diacono nel 1958 dal patriarca Alessio I e al sacerdozio nel 1961 dall’arcivescovo (poi patriarca) Pimen. Ha ricevuto una formazione in teologia e musica, è ben noto sia come predicatore (nel cui il ruolo condivide molte somiglianze con il suo caro amico, il metropolita Anthony di Surozh) che come compositore di musica, sia di chiesa che classica (in aggiunta a una moltitudine di brani ecclesiastici, ha anche composto due sinfonie). Serve presso la chiesa di san Giovanni il Guerriero sulla Jakimanka a Mosca.

Padre Nikolaj, è necessario, secondo lei, per un cristiano avere un padre spirituale?

È auspicabile confessarsi a un solo sacerdote. Va da sé che è il Signore che accetta la nostra confessione e che il sacerdote è solo un testimone. Se uno si pente sinceramente dei propri peccati, allora il mistero è valido indipendentemente dal fatto che egli conosca il sacerdote al quale si è confessato o da quanto è pio il sacerdote. Ma è meglio se il sacerdote conosce il parrocchiano, e vi è un vero e proprio rapporto di fiducia reciproca.

Se qualcuno prende sul serio la sua vita spirituale, trova di solito un sacerdote con il quale questo rapporto può prendere forma – forse non subito, ma ne troverà uno. Questo è molto importante per la crescita spirituale. Quando una persona sconosciuta viene da me per la confessione, gli chiedo sempre se ha un istruttore spirituale. Con la maggior parte delle persone, si scopre che non ce l’hanno, anche se si sono confessati e vengono in chiesa da anni. Questo mi rattrista sempre. È un peccato che le persone coinvolte nella vita della Chiesa da molti anni non abbiano fatto lo sforzo di trovare qualcuno che li istruisca nelle questioni spirituali.

L’arciprete Nikolaj Golubtsov (1963)

Mia moglie ed io siamo sempre stati fortunati con i padri spirituali. Padre Nikolaj Golubtsov [1900-1963] la benedisse per avere dei figli, anche se ha sofferto di ipertensione fin dall’infanzia, e i medici hanno convenuto all’unanimità che non doveva partorire, e che questo l’avrebbe messa in pericolo di vita. Ma ci sono nate tre figlie, si potrebbe dire, con la benedizione di padre Nikolaj.

La relazione tra un figlio spirituale e il suo padre spirituale di solito dura fino a quando uno di loro muore. Padre Nikolaj è morto nel 1963, dopo di che il nostro padre spirituale è stato padre Vladimir Smirnov [1903-1981] della chiesa del profeta Elia a Obydenskij [Mosca]. Dopo la sua morte, è stato padre Vasilij Serebrennikov [1907-1996], un discepolo degli anziani e un batjushkachiaroveggente. Consigliava di scrivere i propri peccati in un diario ogni giorno. Non in dettaglio, solo: “Ho giudicato, ho invidiato…” Abbiamo cercato di seguire il suo consiglio. Era malato, ragion per cui normalmente andavamo a casa sua per la confessione, e non molto spesso, ma ci limitavamo a leggere i nostri appunti senza cercare di ricordare qualcosa.

L’arciprete Vladimir Smirnov (1981)

Padre Vasilij è vissuto per quasi novant’anni, ed è morto nel 1996. Poi, il recentemente defunto padre Gerasim Ivanov [1918-2012] e io ci siamo confessati l’uno all’altro. Era una persona straordinaria, un artista di talento, e un buon pastore, aveva dieci anni più di me, ma, con tutto il rispetto per lui, io non lo consideravo il mio padre spirituale. È stato gravemente ammalato negli ultimi mesi prima della sua morte, e non serviva.

L’arciprete Vasilij Serebrennikov (1996)

Nella Chiesa di San Giovanni Warrior Yakimanka, dove ora servo in soprannumero, ci sono molti sacerdoti, quindi c’è sempre qualcuno a cui confessarsi. Mi fido di loro e sento che trattano il loro ministero in modo responsabile, ma finora non ho un padre spirituale. Mi auguro che, se, per volontà di Dio, la mia vita continuerà (ho già 84 anni), che il Signore mi manderà un padre spirituale. Anche il Patriarca ha un padre spirituale, così come gli altri vescovi. Tutti coloro che prendono sul serio la vita spirituale, cercano un istruttore spirituale.

Per un prete, forse, questo è davvero necessario, in quanto egli deve consigliare gli altri.

L’arciprete Gerasim Ivanov (2012)

Ciò è necessario per tutti, perché siamo tutti peccatori: perché non c’è uomo che non pecca (2 Cronache 6:36). Potreste non fare nulla di sbagliato, potreste comportarvi degnamente nella società e ottenere rispetto, ma ci sono pensieri a cui non prestate attenzione – e non è senza ragione che nei monasteri si pentono di pensieri.

Nel corso della giornata, molti pensieri differenti e chiaramente peccaminosi vengono in testa a tutti. Arrivano involontariamente, dal diavolo, che sta cercando di instillare in noi avidità, invidia, condanna e altri cattivi sentimenti. Cerco di scacciare questi pensieri con la preghiera di Gesù. Padre Vasilij generalmente raccomandava di dirla costantemente.

Questa breve preghiera – “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi misericordia di me peccatore” – contiene tutta la nostra confessione di fede ortodossa, ogni dogma è costruito su di essa. Se la dite con attenzione, allora il Signore gradualmente purificherà il vostro mondo interiore. Ma quando i pensieri mi travolgono, inquinano questo mondo, e, anche se non faccio nulla di male a nessuno, il mio mondo interiore inquinato agirà sui miei vicini, su quelli con cui interagisco, anzi su tutti intorno a me. Questo è molto importante da ricordare: siamo salvati insieme. San Serafino di Sarov ha detto: “Acquisisci lo spirito di pace e a migliaia saranno salvati intorno a te.”

Siamo in grado di raggiungere la purezza del pensiero e la modifica del nostro mondo interiore, se seguiamo il consiglio dell’apostolo Paolo: Rallegratevi sempre: pregate senza sosta: in ogni cosa rendete grazie (1 Tessalonicesi 5:16-18). Non vi è alcun motivo di perderci d’animo o di disperarci se Cristo è con noi. Perciò io consiglio a tutti di leggere almeno un capitolo del Vangelo del giorno. Questo è ancora più importante che osservare una regola di preghiera, perché il Vangelo è una lettera di Cristo stesso, ma è attraverso il Vangelo che entriamo in contatto con lui.

Alcune persone pensano che la cosa più importante sia accendere candele davanti alle icone e fare prosternazioni complete. Ma la cosa più importante nel cristianesimo è il nostro amore per Cristo, il nostro incontro con Cristo. Il Signore valorizza gli appelli personali: ognuno può trovare un minuto libero (per esempio, prima di dormire) e dirgli quello che è successo nella sua vita di oggi, le difficoltà che ha dovuto affrontare, o chiedere perdono e aiuto – e certamente il Signore ci risponderà. Forse non subito, ma risponderà. È per questo motivo che consiglio a tutti di leggere un capitolo del Vangelo al giorno.

La vita spirituale richiede una guida. Un padre spirituale è un sacerdote che guida la vostra vita spirituale. Può essere molto semplice, molto poco attraente, senza alcuna particolare l’istruzione – ma se mi fido di lui, questo significa che il Signore può dirmi qualcosa di molto importante per mezzo di lui.

Come può un nuovo parrocchiano capire che si può fidare di questo sacerdote, che quest’ultimo sta cercando di capire la volontà di Dio per noi, e non sta imponendo la propria volontà?

In effetti, alcuni impongono la loro volontà in piena fiducia che la volontà di Dio sia stata loro rivelata. Un sacerdote che è appena stato ordinato, che non ha né esperienza né conoscenza, potrebbe immaginare di essere una guida spirituale. Questo si chiama “anzianità giovane” [mladostarchestvo], un fenomeno malsano che era molto diffuso negli anni novanta. Ora si sta diradando, ma a poco a poco.

Solo l’esperienza interiore può dire se ci si può fidare abbastanza di un sacerdote per chiedergli di guidare la vostra vita spirituale. Questo è difficile, soprattutto per chi è appena agli inizi nella vita della Chiesa, ma non c’è altro modo. A tali domande non si possono dare risposte formali; io non posso dare alcun consiglio generale.

I sacerdoti stessi probabilmente non dovrebbero affrettarsi a diventare padri spirituali. Io, per esempio, non mi considero degno di essere un padre spirituale. Ci sono parrocchiani che si confessano da me regolarmente: ci sono forse 10-15 persone che sono abituate a venire da me. Ma quando la gente mi chiede di diventare il loro padre spirituale, in linea di principio mi rifiuto. Io sono sempre pronto a confessare qualcuno, a confortarlo, a offrire una sorta di consiglio – ma la relazione di un figlio spirituale con il suo padre spirituale presuppone obbedienza.

Se un prete accetta di essere mio padre spirituale, credo che non si limiterà a darmi consigli umani, ma il Signore mi consiglierà per mezzo di lui e dovrei mostrargli obbedienza. Che io manifesti o no obbedienza dipende dalla mia libera scelta. Nel caso dell’obbedienza a un padre spirituale, il Signore concede il suo aiuto pieno di grazia. Ma se io non ascolto i suoi consigli, il padre spirituale non è responsabile. Senza obbedienza, tali relazioni sono prive di significato.

Alcuni parrocchiani ascoltano i miei consigli e si sforzano di seguirli, e questo mi compiace sempre, ma non mi sono mai formalmente chiamato padre spirituale di qualcuno. Non mi sento preparato per tale responsabilità.

L’obbedienza si riferisce solo a questioni spirituali? Un padre spirituale dovrebbe dare consigli di tutti i giorni, come per esempio se cambiare o no lavoro o dove andare in vacanza?

Un padre spirituale esperto che conosce i suoi figli spirituali può anche affrontare i loro problemi quotidiani con comprensione. Per esempio, sorgono conflitti sul luogo di lavoro e la gente spesso sbatte immediatamente la porta e se ne va. Le modifiche che vengono in seguito non sono sempre per il meglio. Quando qualcuno agisce volontariamente, si rammarica spesso in un secondo momento. Al contrario, se non cede immediatamente alle sue emozioni, e dà retta ai consigli di qualcuno, poi alla fine tutto torna alla normalità.

In questi casi, io di solito consiglio alle persone di non correre, ma di attendere – il tempo guarisce molte cose, molti conflitti si risolvono con il tempo. Non solo al lavoro, ma anche in famiglia. Un marito potrebbe avere delle avventure extraconiugali. Che cosa dovrebbe fare la moglie? La Chiesa permette per il divorzio in questi casi, ma se lei è disposta a essere paziente e tollerante, allora la loro vita familiare potrebbe essere salvata e tornare alla normalità. Non deve necessariamente avvenire in questo modo, ma so di casi in cui è successo. Il divorzio, tuttavia, è sempre una tragedia.

L’arciprete Nikolai Vedernikov e la sua matushka, 1998

Per inciso, l’obbedienza è necessaria anche nella vita familiare – obbedienza vicendevole. Inoltre, non si può esigere obbedienza dagli altri e non lo mostrarle noi stessi. Diciamo che vostra moglie vi dice qualcosa con cui non siete d’accordo. Contraddirla, volere le cose a modo vostro, creare conflitti – questo è sbagliato. Si deve sempre essere in grado di ascoltare.

Obbedienza [poslushanie] deriva dalla parola “ascolto” [slukh]; inizia con la capacità di ascoltare ciò che l’altra persona sta dicendo. Non ci piace tacere. Il nostro amico metropolita Anthony di Surozh ci ha insegnato: “Siamo tutti in grado di parlare bene, ma non siamo in grado di ascoltarci l’un l’altro. Perciò è molto importante ascoltare con attenzione”. Questo è molto importante anche nella vita familiare. Il marito deve essere in grado di ascoltare la moglie, e la moglie il marito, e tutte le questioni dovrebbero essere decise con una discussione. Se vostra moglie non vi convince – non vi preoccupate. A volte, per il bene della pace, è meglio essere d’accordo con lei. La pace in famiglia è più importante di qualsiasi nostra ambizione.

Con un padre spirituale, il rapporto è diverso: qui mostro obbedienza. Ma un prete può dare i consigli giusti – non da sé, ma da Dio – solo se capisce qualcuno. E per capirlo, ha bisogno di ascoltarlo con attenzione. E io, a mia volta, ho bisogno di ascoltare attentamente le parole del mio padre spirituale, al fine di comprendere il suo consiglio.

Ci sono state occasioni nella sua vita in cui, dopo aver chiesto consiglio al suo padre spirituale, le è sembrato di non avere la forza di manifestare obbedienza, o che questa era troppo pesante per lei?

No, non mi ricordo niente di simile. Ma mi è accaduto di cadere in un peccato da cui era difficile liberarmi. Per liberarmene, ho avuto bisogno di tempo e di aiuto nella preghiera da parte del mio padre spirituale. I sacerdoti a cui ho confessato i miei peccati hanno sempre pregato per me e sentivo il loro sostegno spirituale, grazie al quale sono stato in grado di uscire da questa condizione e di essere liberato dal peccato. Questa è una grande cosa: la libertà dal peccato!

Avere a che fare con se stessi può essere difficile. Il nemico più implacabile della vita spirituale è il mio egoismo, l’orgoglio, e l’incapacità di esercitare me stesso. Le persone seguono percorsi diversi. Riusciamo a vincere un peccato, questo se ne va, ma poi qualcos’altro appare nell’anima. Questo richiede una grande attenzione. È qui che un padre spirituale può incoraggiarci, a volte anche con le lacrime.

Ricordo che, una volta in cui confessai i miei peccati, da giovane, il prete pianse. Mi sembra che il suo nome fosse padre Veniamin. Mi avvicinai a lui con timore e tremore reale e lui, ascoltando la mia confessione, pianse. Pianse per i miei peccati. Ognuno ha la sua strada, alcuni un po’ più difficile e altri un po’ più facile, ma in entrambi i casi abbiamo la necessità di esercitare noi stessi. Non ci piace quando dobbiamo passare per la porta stretta. Ma cerchiamo prima il regno di Dio (Matteo 6:33). È dentro di noi.

Se il consiglio di un padre spirituale non ha senso, glie lo si dovrebbe dire onestamente e chiedere chiarimenti? Oppure lo si dovrebbe accettare per fede?

Penso che sia meglio chiedere chiarimenti. A volte è sufficiente una spiegazione, ma a volte c’è bisogno di tempo per capire un consiglio che uno non è ancora pronto a ricevere.

Un sacerdote non dovrebbe vantarsi di essere esaltato al di sopra dei suoi parrocchiani. Ammettiamo che abbia più esperienza, proprio come un professore ha più conoscenza di suoi studenti. Ma quando questa esperienza viene convogliata modestamente allora, volenti o nolenti, ascolteremo e capiremo che non siamo ancora abbastanza maturi per capire questo consiglio, che non siamo pronti a seguirlo, in quanto siamo ancora inesperti e immaturi nella vita spirituale. Quando si capisce questo, sarà più facile essere umili e comunque cercare di seguire il consiglio.

Non bisogna fidarsi completamente del proprio cuore. Va da sé che bisogna ascoltarlo, ma è necessario mantenere la sobrietà. L’apostolo dice: Siate sobri, vegliate, perché il vostro avversario, il diavolo, come un leone ruggente va cercando chi possa divorare (1 Pietro 5:8). I poteri spirituali operano anche attraverso il cuore umano, per cui è necessario il controllo spirituale.

Quanto sono cambiati i parrocchiani durante i suoi cinquant’anni di ministero sacerdotale? Ce ne sono chiaramente molti di più rispetto al periodo sovietico, ma alcuni preti dicono che oggi le persone in maggior parte non vengono in chiesa con domande spirituali, ma con problemi psicologici.

Le persone vengono con vari problemi. Ma, in ogni caso, cerchi di aiutarle a ricordare di pensare a ciò che è più importante. Parli con loro del senso della vita, di come la morte è sempre dietro l’angolo, e di come sia sempre necessario ricordare l’ora della morte. Se effettivamente ricordassimo sempre la morte e che dobbiamo rispondere a Dio, allora dovremmo smettere di peccare. Ma non ce ne ricordiamo questo. Siamo così consumati dalla preoccupazione per il nostro bene in questa vita terrena, che la cosa più importante, quella per la quale vive l’uomo, sfugge dalla nostra mente.

“Nelle tue mani, Signore Gesù Cristo mio Dio, affido il mio spirito. Benedicimi, abbi misericordia di me, e concedimi la vita eterna. Amen”. Così noi preghiamo prima di dormire. “Nelle tue mani, o Signore,” perché io non so se mi alzerò la mattina. Ricordare questo non nega la gioia della vita. Si può gioire e interagire con le persone, ma ricordando per tutto il tempo che non sappiamo per quanto tempo vivremo e rendendo grazie al Signore per tutti i giorni della vita.

Io consiglio sempre di chiedere al Signore la mattina che il giorno passi senza peccato, e, alla fine della giornata, ringraziarlo per tutto, sia per ciò che è stato buono e per ciò che è stato difficile. La gente di solito lo fa.

Ci sono stati esempi nella sua pratica pastorale di un pentimento così profondo che l’ha confermata nella fede?

Il metropolita Anthony di Surozh mi ha parlato di un pentimento del genere. Un sacerdote a cui una volta si era confessato beveva molto e soffriva di una dipendenza da alcol. Il metropolita Anthony ha detto: “Ma durante la confessione non piangeva con lacrime da ubriaco, ma con lacrime per i miei peccati”. Inutile dire che non ha fatto il nome di questo sacerdote, ma quella confessione lo scosse come nessun altro – e lui era un esperto padre spirituale che aveva confessato migliaia di persone. Io non ho mai sentito una simile confessione.

Ma lei ha confessato condannati a morte.

Sì, ma è stato quasi venti anni fa e ho già dimenticato i dettagli. Ricordo solo che queste persone si sono pentite sinceramente. Erano in attesa di esecuzione, ma fu presto introdotta una moratoria sulla pena di morte e la loro esecuzione è stata commutata in ergastolo. Alcuni di loro scrivono ancora a mia figlia lettere dalla Mordovia e si rivolgono a me con domande.

In un primo momento tutti cercavano la libertà, ma io ero contrario. Se non erano capaci di sopportare il carcere, poi avrebbero potuto ricadere in qualcosa di ancora peggio di prima. Ma là hanno una vita spirituale stabile e sono visitati da un sacerdote. Non li ritengo miei figli spirituali, ma prego per loro ogni giorno – questo è molto importante. E fintanto che continuano a scrivere e a fare domande, questo significa che c’è ancora un po’ di movimento spirituale verso di me.

Per quanto mi pare di capire, sente che un prete non dovrebbe cercare di diventare un padre spirituale?

Sì, non dovrebbe. Consiglio soprattutto ai giovani sacerdoti di trovare un padre spirituale per se stessi. Questa non è un’esortazione, ma un consiglio di un compagno anziano. Senza l’esperienza dell’obbedienza, mi sembra, sarà difficile istruire gli altri nella vita spirituale.

Io stesso non ho cercato di diventare una guida spirituale, ma, come ho già detto, ci sono forse una quindicina di persone che sono abituate a venire da me e che regolarmente si confessano da me. La nostra interazione non si limita alla confessione in chiesa. Il lunedì, quando è possibile, vengono a casa mia. Parliamo della lettura del Vangelo della domenica, le persone condividono i problemi, e cercano di dare un senso a tutti per mezzo del Vangelo, per mezzo di Cristo, e poi beviamo il tè. Vedo che incontrarsi l’un l’altro ed essere in grado di condividere le esperienze rende felici molte persone. E sono felice di essere in qualche modo in grado di aiutare la gente.

Dove dovremmo ascendere? Sacerdote Dmitrij Shishkin

 
Dove dovremmo ascendere?
Sacerdote Dmitrij Shishkin

 

Il Signore ha abitato sulla terra per quaranta giorni dopo la sua risurrezione. Ma non è rimasto con i discepoli di continuo: è apparso e ha parlato con loro di tanto in tanto, a volte in un’altra forma, per cui gli apostoli non potevano esteriormente riconoscere il loro maestro (Marco 16:12). Così, sulla strada di Emmaus i discepoli riconobbero il Signore solo alla frazione del pane, lamentandosi poi di non aver dato ascolto alla voce del loro cuore che ardeva mentre Gesù parlava con loro lungo la strada. Il Signore, per così dire, ha abituato gli Apostoli a un altro tipo di comunicazione, non come quando parlava e li esortava direttamente, ma una comunicazione trasfigurata e più alta in spirito e verità (Giovanni 4:23).

La vita terrena non può andare avanti per sempre; non è l’obiettivo delle nostre aspirazioni. Noi siamo solo ospiti e vagabondi qui, mentre compiamo la nostra processione verso l’eternità. Ora, quaranta giorni dopo la sua risurrezione, il Signore ci mostra il percorso di questa ascesa attraverso la sua sscensione.

A quanto sembra, il Signore avrebbe potuto semplicemente scomparire, una volta che si era separato dai discepoli, svanendo improvvisamemente nell’aria. Ma ha comandato ai suoi discepoli di salire sul Monte degli Ulivi, dove si è presentato a loro prima di ascendere. Immaginate i discepoli in piedi con la testa rovesciata all’indietro, dimentichi di ogni cosa terrena, che guardano estasiati verso il cielo. Probabilmente non hanno potuto né disperdersi né staccare i loro occhi dal cielo per molto tempo…

Penso che ci sia un significato nascosto, più profondo in questa ascesa, in questo sforzo totale verso l’alto. I cieli spirituali non sono situati, ovviamente, sopra le nostre teste. Dopo tutto, il Signore, non è salito nel cosmo, dove i cosmonauti in seguito “non lo hanno visto”, ma in altre altezze insondabili – nel regno che è “dentro di noi.” Ma questa differenza con la nostra consueta vita orizzontale si esprime verso l’esterno attraverso un’ascensione verso l’alto, come un promemoria che abbiamo bisogno di sforzarci di andare in alto verso Dio.

Ascensione del Signore

Noi tutti dobbiamo elevarci al di sopra della vanità, al di sopra dell’agitazione, al di sopra delle preoccupazioni quotidiane, e scavalcare le nostre paure umane – la paura, in generale, è falsa – che ci ripetono: “Ma quali preghiere? Ma quale ascensione? Guardatevi intorno: dovete affondare i denti in questo firmamento terrestre, scavarlo con le vostre unghie, per vivere, per esistere, per riprendere il vostro posto sotto il sole!” Questo è un sentimento perfettamente naturale. Ma c’è un motivo per cui l’apostolo Paolo ha detto che l’uomo naturale non eredita ciò che viene dallo Spirito di Dio. Ciò che è “naturale” per noi si trova in conflitto inconciliabile con la chiamata “soprannaturale” alla perfezione.

Il Signore ci dice: Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia (Matteo 6:33). Quanto a quello che mangerete o berrete, o come vi vestirete, tutto questo vi sarà dato in aggiunta. Ma noi facciamo esattamente il contrario: siamo costantemente e diligentemente in cerca di cosa mangiare, cosa bere e come essere vestiti. Ma quanto al Regno di Dio – ebbene, pensiamo, ci sarà in qualche modo dato in aggiunta… Ahimè! Giriamo il comandamento di Dio sottosopra senza nemmeno rendercene conto! Invece di salire a Dio, noi vogliamo che lui scenda nelle nostre tenebre e le “benedica” senza cambiarle o diperderle, le “approvi” e le sanzioni, lasciando le cose esattamente com’erano … facciamo costantemente e ostinatamente “dèi” a nostra immagine e somiglianza e vogliamo vivere solo come ci piace, nel modo in cui vogliamo, in qualsiasi modo ci sembra giusto e conveniente.

Ricordiamo il canone eucaristico: “Eleviamo i nostri cuori.”

Naturalmente, abbiamo bisogno di mettere tutto da parte, almeno qualche volta, e di sollevare il nostro sguardo e il nostro cuore.

Quando guardiamo verso l’alto, non possiamo ossertrvare nulla di terreno; in quel momento, non possiamo nemmeno fare un singolo passo. Ma questo arresto, questa preghiera, questo stare in piedi nello Spirito non è uno spreco inutile di tempo quando potevamo, a quanto sembra, di fare tante cose utili e necessarie. Questo è un momento di incontro, di comunione con Dio. In questa comunione siamo in grado di acquisire la cosa più importante: una chiara visione e comprensione di ciò che dobbiamo fare e come lo dobbiamo fare. E’ questa consapevolezza che spesso manca quando ci rigiriamo a fare mille cose contemporaneamente, ma senza veramente fare qualcosa di necessario. Alla fine ci ritroviamo al punto di partenza.

Forse era per portarci a un punto morto, per farci guardare in alto, per dirigere la nostra attenzione verso l’alto, verso Dio, che il Signore ci ha esortato con parole di straordinaria ispirazione quando è asceso al cielo: Ecco, io sono con voi ogni giorno, fino alla fine del mondo (Mt 28,20). Questo significa che l’Ascensione non è né un ritiro né una rottura, ma una chiamata alla trasfigurazione, alla nostra ascesa attiva verso Dio, alla nostra umile ascesa verso l’alto. Seguiamo il Signore nel suo Regno!

Quando e come possiamo battezzare i bambini

Quando e come possiamo battezzare i bambini
Ieromonaco Petru (Pruteanu)

 

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Anche se la maggior parte pensa di conoscere la risposta a questa domanda, in realtà noi lottiamo in una grande ignoranza gemellata con indifferenza, e come risultato abbiamo pochissimi cristiani ortodossi che prendono coscienza del loro battesimo e della responsabilità assunta quando lo ricevono. Proprio per questo mi sono proposto di sottolineare alcune idee importanti che penso che ogni cristiano abbia bisogno di sapere, in particolare i genitori, i padrini e le madrine che portano i bambini per essere battezzati, ma anche i preti che compiono questi battesimi.

1. Prima di dire che cosa è il battesimo, dobbiamo ricordare che cosa non è, perché tra i cristiani circolano troppi miti e falsi insegnamenti sul battesimo e sui suoi effetti. La maggior parte porta i propri figli al battesimo in virtù di una abitudine che non desidera neppure capire, e un buon numero di “ortodossi” considera che un bambino dovrebbe essere battezzato al più presto possibile per dormire bene, per essere in buona salute, per non essere sfortunato, per non sputare dal biberon o per poter lasciare la casa. Ma Cristo non ci ha lasciato il Battesimo come sonnifero o come biglietto per uscire fuori di casa, e le persone che la pensano così, se ancora non hanno deciso di aprire la Bibbia per capire che cos’è il battesimo, provino magari a pensare in modo logico che solo in Cina e in India ci sono oltre due miliardi di persone non battezzate, e tutti dormono normalmente, vivono più a lungo di noi, non sono sfortunati, né hanno problemi a uscire di casa. Perché mai un bambino nato da un papà e una mamma battezzati e incoronati dovrebbe temere queste cose? E per quanto tempo ancora avremo fantasie così spregevoli di fronte ai Misteri della Chiesa?

2. Cristo ha ordinato il battesimo come un’opportunità, una possibilità e un dono divino, non come un obbligo o un’abitudine. Quando i genitori concepiscono un bambino non si propongono il solo scopo di darlo alla luce, “perché così va fatto” o perché il papà del bambino si faccia una bella bevuta in quel giorno, ma pensano alla sua crescita e alla sua vita negli anni a venire, e il bambino stesso, anche inconsciamente, non concepisce l’esistenza se non a fianco dei genitori. E come il parto non è un fine in se stesso, ma è una tappa attraverso la quale l’uomo passa dallo sviluppo embrionale alla vita propriamente detta, così il battesimo, come nascita spirituale “da acqua e da Spirito” (Gv 3,5) non è fine a se stesso, ma è solo l’inizio della vita spirituale. Il battesimo non è il termine di alcuni riti legati al parto, come spesso esprimono i genitori: “L’abbiamo battezzato e abbiamo fatto il nostro dovere”, ma è solo l’inizio della vita in Cristo e nella Chiesa. Tutto ha inizio solo a quel punto, e se chi ha portato il bambino al battesimo non ha un rapporto vivo e permanente con la Chiesa è quasi certo che neanche il loro bambino avrà alcun tipo di rapporto, e se lo avrà, non sarà a causa di genitori e padrini, ma di alcuni fattori esterni che non giustificano i genitori, ma piuttosto li accusano.

Quelli che fanno battezzare i neonati e dopo li strappano dal loro padre e dalla loro madre, ovvero da Dio e dalla Chiesa, sono simili a quelli che generano i bambini e poi li gettano nella spazzatura, senza preoccuparsi della loro vita. E guai ai sacerdoti che si fanno partecipi di un tale genere di crimine spirituale, non avendo spiegato ai loro genitori e padrini che cosa significa il battesimo e di quale giogo si fa carico chi garantisce per la fede e l’educazione cristiana di un bambino. Ma è ancora peggio quando la gente vorrebbe davvero sapere tutte queste cose, ma i preti non si affaticano a spiegargliele, e poi danno tutta la colpa ai genitori, come se il prete  fosse un mercenario che officia atti magici o un funzionario di banca che concede prestiti, ma non si preoccupa se i clienti hanno i mezzi per pagare, e non parla loro neppure delle conseguenze della mancata testituzione del prestito al tempo dovuto.

3. La condizione più importante per il battesimo è la sincera fede in Dio, il rifiuto di Satana e di tutte le sue opere, e la sequela di Cristo. Quando il Salvatore ha inviato gli apostoli nel mondo, mi hanno detto di battezzare tutti insieme, ma soprattutto di ammaestrare le nazioni (Matteo 28:19-20), e quindi di battezzare quelli che credono nel Vangelo (Marco 16:15-16). I neoprotestanti, limitandosi al significato diretto del testo, battezzano solo le persone mature che possono credere coscientemente nel Vangelo, ma la fede è vista da loro più come una caratteristica di alcuni versetti interpretati a volontà. Tuttavia, l’enfasi sulla fede è corretta, e la necessità della fede è altrettanto valida nella Chiesa ortodossa. La differenza tra noi e i neoprotestanti non è che alcuni richiedono la confessione di fede e altri no. Anche la Chiesa ortodossa chiede una confessione di fede al candidato al battesimo, ma accetta per eccezione (divenuta ora generale) che la confessione sia fatta dai genitori con un’altra persona, che noi chiamiamo padrino. Battezzare senza indagare sulla fede e sulla conoscenza religiosa dei genitori e dei padrini è un empietà e una presa in giro dei Misteri della Chiesa, e i sacerdoti, come “amministratori (e non distributori) dei misteri di Dio” (I Corinzi 4:1) non dovrebbero permetterlo, a prescindere dalla situazione!

Diamo una breve occhiata al caso dell’eunuco etiope, che ci viene raccontato in Atti 8:26-39. Lo Spirito Santo invia Filippo all’eunuco (v. 26-29), trovandolo mentre  legge la Scrittura (v. 28). Filippo gli spiega il passo biblico che lui non comprende e gli parla della salvezza venuta per mezzo di Cristo (v. 30-35). L’eunuco vede l’acqua e dice: “Ecco dell’acqua! Che cosa mi impedisce di essere battezzato? “(V. 36). Ma vediamo che la reazione di Filippo è stata del tutto diversa da quella dei sacerdoti di oggi. Egli dice: “Oh, lo Spirito Santo mi ha mandato, e quest’uomo è lontano dall’Etiopia, e deve essere urgentemente battezzato, perché potrebbe accadergli qualcosa per la strada o perfino di morire”, anche se c’erano numerosi pericoli. Anche il fatto che l’etiope è leggesse le Scritture e fosse desideroso di comprendere la lettura non era sufficiente perché Filippo accettasse di battezzarlo. Naturalmente, lo status sociale e la ricchezza di quell’eunuco, “ministro dell’Economia” nel regno dell’Etiopia, non ha costituito alcun privilegio per lui. Pertanto, Filippo risponde alla domanda dell’eunuco in questo modo: “Se tu credi con tutto il cuore, è possibile.” Ed egli, rispondendo, disse: «Io credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio” (v. 37). Solo a quel punto si fermò il carro e Filippo lo battezzò (v. 38).

Pertanto, non esistono altre giustificazioni per fare diversamente da come ha proceduto Filippo con l’etiope, e quando i genitori si rivolgono al prete per battezzare il bambino, il prete è obbligato a iniziare un lungo processo di catechesi per spiegare i principali insegnamenti della Chiesa e il loro fondamento biblico, e solo dopo si può parlare di battesimo. Per esempio, i canoni 46 del concilio di Laodicea e 78 del Concilio trullano (VI Ecumenico) prevedono il catechismo obbligatorio dei candidati al battesimo e perfino il loro esame settimanale. Solo se il catecumeno è gravemente malato, il sacerdote può celebrare il battesimo senza catechesi, ma anche allora è obbligato a chiedere al candidato (o a colui che confessa al suo posto), se crede nella Santa Trinità, nella salvezza per mezzo di Cristo, nella risurrezione dei morti e nella vita eterna. E se il neofita rimane in vita, il sacerdote è obbligato a fare la catechesi dopo il Battesimo (Canone 47 di Laodicea). E, naturalmente, questi casi sono estremamente rari, e il più delle volte, non c’è motivo di affrettare il battesimo e di non fare una catechesi.

4. Molti sacerdoti invitano i genitori a battezzare i neonati quanto prima, ma non parlano loro di fede, responsabilità, vita eterna, e così via. Tutto è visto in termini di benefici immediati. Dobbiamo precisare che la Chiesa accetta e raccomanda il battesimo dei neonati, ma non lo impone mai, soprattutto se non è fatto con una corrispondente preparazione. Nel terzo secolo, Tertulliano insisteva sulla ritardo del battesimo dei bambini (cfr De Baptismo, cap. 18) in disaccordo con i battesimi fatti con una fretta immotivata. Nel IV secolo, san Gregorio il Teologo, figlio di un vescovo, ma battezzato solo a 30 anni, raccomanda il battesimo dei bambini all’età di almeno tre anni, “in modo che essi possano più o meno sentire e ripetere le parole del Mistero, e se non è così, almeno, capirle nella loro immaginazione” (cfr Omelia 40, PG 36, col. 400). Questa raccomandazione è stata rispettata nella Chiesa fino al IX secolo, quando si è generalizzato il battesimo a un anno o a 40 giorni, ma mai senza la catechesi. Attualmente, tuttavia, anche a causa del periodo della turcocrazia, tutto si è trasformato in “servizi religiosi automatici”, ponendo attenzione solo sulla quantità e senza nemmeno parlare di qualità. Almeno nella Chiesa Ortodossa Romena non conosco alcun ierarca che chiede ai sacerdoti una serie di catechesi battesimali e che monitora la loro qualità e regolarità. La situazione è ancora peggiore nella Chiesa ortodossa in Moldova, anche se il Concilio dei  Vescovi della Chiesa Ortodossa Russa del 2011 ha preso decisioni molto chiare in merito. E allora perché ci sorprendiamo dei “cristiani” che abbiamo o di fatto che alcuni di loro, battezzati e comunicati da piccoli nella Chiesa ortodossa, sono divenuti attivisti omosessuali o atei rabbiosi, per non parlare delle carceri tutte piene di “ortodossi”! E come non arrivare a questo punto se diamo loro il Vangelo solo da baciare, ma non lo leggiamo e non lo spieghiamo, per accendere da questo la fiamma della fede e dell’amore per Dio e per il prossimo, poiché “La fede dipende dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo” (Romani 10:17). Essere nati da genitori credenti non significa nulla, se questi non ci spiegano nulla di ciò che dovremmo credere e perché crediamo in un certo modo e non in un altro.

5. La fede di cui parla il vangelo e che è richiesta al battesimo non è la convinzione che Dio esiste o, come dicono alcuni, “credo che ci sia qualcosa, un potere, una ragione suprema e così via.” Tutti questi elementi hanno nulla in comune con la vera fede. Anche i demoni credono che Dio esiste, ma non si può dire che siano “credenti”, anche se “temono e tremano” di fronte grandezza di Dio. Essere credenti significa, da un lato, fidarsi di Dio più di tutto e tutti in questo mondo, e d’altra parte, la fede significa fedeltà a Dio. Una moglie fedele al marito non è una che crede che suo marito esista o che ha bisogno solo dei soldi del marito, ma chiamiamo “fedele” la moglie che ha piena fiducia nel marito, lo ama con tutto il cuore e non lo inganna nemmeno col pensiero, ma vuole solo stare con lui e soddisfare ogni suo desiderio ed è disposta anche a morire per lui. Dio esige da noi una simile fedeltà, e l’analogia con la vita familiare in realtà appartiene all’apostolo Paolo, che paragona Cristo a uno sposo e la Chiesa a una sposa fedele (Efesini, capitolo 5). Ogni cristiano battezzato diventa sposa di Cristo, ma non in modo personare, ma attraverso la Chiesa. E’ lei la sposa di Cristo, solo nella misura in cui siamo membra vive della Chiesa. Pertanto, san Cipriano di Cartagine ha detto che “fuori della Chiesa non c’è salvezza” perché Dio-Amore, triplice nelle persone, non riversa il suo amore su coloro che “credono solo nell’anima”, ma solo sulla congregazione fedele e che ama Cristo. E amare Dio significa osservare i Suoi comandamenti (Giovanni 14:15,21) e desiderare la vita eterna con Lui.

6. Perché un bambino conosca e obbedisca ai comandamenti di Dio, questi gli devono essere insegnati da chi li conosce. Genitori e padrini che non hanno mai letto il Vangelo, né partecipano alla vita e alle funzioni della Chiesa non potranno mai insegnare a un bambino se non a giustificarsi e a scusarsi come fanno loro d’abitudine. Viviamo in tempi in cui la maggior parte dei cristiani ha completato almeno la scuola superiore, è in grado di leggere, è in grado di gestire un computer e un telefono cellulare, ma non conosce i 10 comandamenti, il Simbolo della fede (Credo) e le altre cose di base, per non parlare degli insegnamenti più profondi delle sacre Scritture. Pertanto, soprattutto se i genitori del bambino sono ancora “lontani dalla Chiesa”, essi dovrebbero scegliere alcuni padrini idonei preparati e adatti ad aiutare l’educazione spirituale del loro bambino. I padrini non sono gli sponsor del bambino, e non devono essere scelti sulla base di amicizie puramente umane, ma per motivi spirituali. Quando si sceglie il padrino di battesimo non ci possono essere questioni di legami di lavoro, di status sociale, di gradi di parentela o di paura di turbare qualcuno. Quando un paziente ha un problema di salute, va dal miglior medico, e se ha un amico medico, ma che non è un buono specialista, metterà in primo piano la propria salute e non un’amicizia che gli può far male. Infatti, se un’amicizia è sano, non sarà influenzata da un tale approccio, al contrario: un amico medico, se non è un buono specialista, si rifiuterà di sperimentare su un amico e consiglierà un altro collega ben preparato. E il battesimo è infinitamente più importante della rimozione di un dente o di un’operazione di appendicite. Da noi, però, tutto è a testa in giù e c’è da meravigliarsi di quanto facilmente le persone accettino di essere padrini (o cosiddetti compari). Penso che quando alcuni di loro sono divenuti pionieri e komsomolisti erano più responsabili rispetto a quando accettano di diventare padrini di battesimo. Proprio per questo, fin dalle prime lezioni di catechismo, i padrini devono ricevere il consenso della Chiesa, e possono essere rifiutati se non soddisfano le qualifiche della Chiesa. E se i genitori insistono su alcuni padrini non credenti, la Chiesa può rifiutare la celebrazione del battesimo e questo sarà un rifiuto obiettivo e motivato. Ma se il sacerdote accetta di impegnarsi al Battesimo senza conoscere i genitori o padrini, concordando la data e l’ora del battesimo per telefono o per tramite della donna che vende le candele, tutta la colpa per il destino del bambino che cade su quel sacerdote che è un “lupo travestito da agnello”. Alcuni diranno che esagero, ma Cristo e gli apostoli sarebbero certamente dalla parte questo approccio senza compromessi e non accetterebbero che il sacerdote si trasformarsi in un cameriere che non sa come servire meglio i clienti per non perdere la mancia.

7. In pratica, i genitori devono scegliere uno o al massimo due padrini (non necessariamente i loro padrini di nozze), che siano buoni cristiani ortodossi e “gente di Chiesa”, con un alto senso di responsabilità. Da questi padrini non ci si devono aspettare benefici materiali, ma solo che facciano il loro dovere con coscienza, perché il padrinato non è un’usanza popolare che si riassume nel dare o ricevere alcuni regali, ma una questione di vita o di morte. Pertanto, al battesimo devono esserci uno o al massimo due padrini, non decine di compari, che non hanno alcun ruolo, ma vengono a fare le belle statuine, e qualche volta non partecipano neppure al battesimo, ma vogliono essere ricordati nelle preghiere “senza frequentare”. E se un prete dice loro che questo non è davvero giusto, in nome del “cumatrismo nazionale” (che tra i moldavi è diventato un dogma) vanno da altri sacerdoti, che li pelano di soldi, citando i nomi di persone che effettivamente non sono compari e non hanno alcun nesso con il battesimo!

 

Secondo l’insegnamento della Chiesa, tutto è molto più semplice: nel caso di un bambino si prende come padrino un uomo, e nel caso di una bambina, una donna. Questa persona professa la fede in nome del bambino e solo questa persona gli è legata spiritualmente; tutti gli altri che desiderano frequentare la funzione del battesimo sono semplici credenti (se lo sono), che si rallegrano dell’ingresso di un nuovo membro nel corpo della Chiesa. E il Battesimo deve essere considerato in questo modo, come una celebrazione di tutta la Chiesa, con un legame con la Liturgia della domenica o della festa, non come un servizio religioso officiato in modo privato, perché i partecipanti non vogliono essere disturbati dalla presenza di tutta la comunità.

8. Nel caso in cui i genitori o il padrino del bambino rifiutino la frequenza alle lezioni di catechismo o non si mostrino responsabili dell’ulteriore educazione del bambino, la Chiesa è obbligata a negare la celebrazione di quel battesimo, e le frasi del genere: “Che colpa ne ha il bambino?” devono essere rivolte contro i genitori, non contro il Vangelo. Il battesimo non si fa per per misericordia, ma solo sulla base della confessione della fede, poiché anche Cristo non ha detto che saranno condannati i non battezzati, ma chi non crederà (Marco 16:16). Il nostro calendario è pieno di santi che non hanno avuto modo di essere battezzato (non che non lo volessero), ma non abbiamo alcun santo che non abbia avuto fede o che abbia fatto parte della Chiesa solo formalmente, sperando di potersi salvare mangiando uova rosse a Pasqua. Ecco perché quando non si soddisfano tutte le condizioni stabilite per il Battesimo, la Chiesa può e deve rifiutare la celebrazione di quel battesimo, e nessun altro sacerdote può passare sopra alle condizioni stabilite da Cristo il Salvatore. Nei casi in cui un sacerdote non battezza un bambino a causa di mancanza di denaro, un altro sacerdote è obbligato a celebrare quel Battesimo e a riferire l’operato del suo “collega” al vescovo. Ma se il sacerdote rifiuta un battesimo per mancanza di fede, nessun altro sacerdote può intromettersi in questo caso, perché non si tratta di una decisione soggettiva del sacerdote, ma di un atteggiamento obiettivo della Chiesa, enunciato da un prete che non mette in vendita i Misteri della Chiesa. E che il Signore ci conceda molti sacerdoti di questo tipo… Questo è l’unico modo in cui il gregge di Cristo guarirà dal formalismo e dall’ipocrisia, professando la fede e vivendola consapevolmente.

Beninteso, tutte queste idee non sono affatto protestanti, ma quanto mai ortodosse e progettate per salvare gli ortodossi e per rafforzare la Chiesa ortodossa. Gli aspetti positivi e negativi della storia della nostra Chiesa lo confermano.

Così ci aiuti Iddio!

Sul ventesimo anniversario degli omicidi di Optina

Tre Sorrisi: Sul ventesimo anniversario degli omicidi di Optina
Georgij Mikhajlovich Gupalo

 

Il 18 aprile del 1993, tre monaci sono stati uccisi durante la notte pasquale a Optina Pustyn: lo ieromonaco Vasilij (Rosljakov, n. 1960) e i monaci Ferapont (Pushkarev, n. 1955) e Trofim (Tatarnikov, n. 1954). Georgij Gupalo, che conosceva tutti e tre i monaci ed era lì la notte della loro uccisione, offre i seguenti ricordi.

Da sinistra a destra: monaco Ferapont, monaco Trofim e ieromonaco Vasilij

Venti anni sono passati dagli omicidi a Optina Pustyn, quando tre uomini buoni sono morti e sono nati tre santi martiri. Mi è capitato di essere in quel giorno a Optina, a vedere la morte di padre Trofim, e di calare le tre bare nella terra umida di primavera a Kaluga. Molto è accaduto negli anni successivi, ma mi sembra di poter ricordare in dettaglio ogni momento di quella tragedia, dal momento che ha scosso tutti i testimoni.

Il mio breve resoconto parlerà di diversi momenti di quel grande giorno.

Non vivevo più a Optina, ma ero venuto per una visita a Pasqua. La sera prima di Pasqua era bella e tranquilla: il tramonto del sole rosso, diffondendo incantevoli, colori caldi, non lasciava alcun presentimento a riguardo. Era anche strano che, nonostante il rossore, non poteva essere chiamato un tramonto di sangue, tanto era dolce e piacevole agli occhi. Nulla faceva presagire guai, anche se il problema era già nelle vicinanze, vicino a ciascuno di noi. L’assassino aveva preparato il suo crimine e aspettava solo una spinta dalla “voce a cui non poteva disobbedire.” Era a Optina, vicino, molto vicino, e cercava la sua preda. Ma nessuno lo sapeva, nessuno ne aveva alcuna idea.

Lo ieromonaco Vasilij

Passeggiando intorno al monastero, ho notato padre Vasilij che lasciava la cattedrale dell’Ingresso al tempio della Madre di Dio. Era in piedi all’ingresso nord della chiesa e ammirava la bellezza del tramonto. E io, a mia volta, mi sono fermato e ho cominciato ad ammirare il paesaggio con lui incluso: un bel monaco a fianco della chiesa candida come la neve. Russo, magro, atletico, tranquillo e silenzioso, saggio al di là dei suoi anni, chiaramente la gloria futura di Optina.

Molti anni dopo, diventerà ancora più saggio e più esperto. Migliaia di persone verranno a lui per consiglio e conforto. Diventerà un nuovo anziano di Optina. Dopo tutto, ci era stato promesso che ci sarebbero stati sette luminari. Forse sarà uno di loro. “Oh, quanto è bravo, questo guerriero di Cristo”, ho pensato. “Voglia Dio, mio caro, che tu non abbandoni il sentiero, che tu rimanga un uomo, e che accumuli sapienza e amore, donandoli al popolo di Dio”. Padre Vasilij, intuendo che qualcuno lo stava osservando, si è voltato, sorridendo quando mi ha visto. Non ci vedevamo da qualche mese. Ci siamo scambiati un inchino da lontano e abbiamo deciso di rimanere tranquilli. Ma il suo sorriso, il suo sorriso radioso, è affondato nella mia memoria e ora vivrà con me fino alla mia morte.

È iniziata la funzione. I fratelli del monastero sono entrati in chiesa, padre Ferapont tra di loro. Nessuno aveva fatto amicizia con padre Ferapont. Questo non era affatto perché fosse una persona cattiva o meschina. Era semplicemente perché, nonostante la sua giovane età e poca anzianità nel monachesimo, era riuscito a diventare un vero monaco: non apparteneva a nessuno dei gruppi o circoli di interesse che spesso si formano nei monasteri, ma viveva una vita monastica molto nascosta e genuina, senza litigi o conflitti, senza conversazioni vuote attorno a tazze di tè o pettegolezzi durante le obbedienze. La vita di questi monaci è di solito descritta dalla bella parola russa sokrovennoj [nascosto], come indicato nell’apostolo: cercate piuttosto di adornare l’interno del vostro cuore con un’anima incorruttibile piena di mitezza e di pace: ecco ciò che è prezioso davanti a Dio (1 Pietro 3:4).

Monaco Trofim

Padre Trofim è entrato in chiesa. Era arrivato un po’ tardi al servizio, in quanto aveva lavorato molto alle pulizie. Dalla mattina fino a tarda sera poteva essere visto su un trattore o dietro a una motozappa. Era sempre allegro, energico, e incredibilmente vivo – l’esatto contrario del riservato e silenzioso padre Ferapont. Intorno a padre Trofim ribolliva sempre la vita e il lavoro erain piena attività. Aveva molti amici, era una persona molto socievole e ottimista. Si è avvicinato al kliros [coro] di sinistra, dove mi trovavo, ha sorriso con il suo sorriso aperto, e abbiamo calorosamente scambiato abbracci e baci. Un rapido scambio di notizie, strette di mano ferme. Chi avrebbe immaginato che in poche ore non sarebbe più stato tra i vivi? Vivace, energico, allegro. Beh, non poteva morire giovane. Aveva ancora molti, molti anni davanti a lui. Ma l’uomo propone e Dio dispone.

Così questi tre sorrisi si sono bloccati nella mia memoria. Così diversi, ma ognuno tanto bello a modo suo. Più tardi ci sono stati sorrisi diversi, e si sono impressi ancora più saldamente nella mia memoria.

La liturgia pasquale si è conclusa. Tutti i fratelli sono andati al refettorio, hanno rotto il digiuno, la maggior parte è andata a riposarsi un po’, e i campanari Trofim e Ferapont sono andati al campanile, mentre padre Vasilij è andato alla Liturgia presso lo skit a confessare la gente. Io ero allo skit in questo momento, e mi riposavo nella cella del superiore. La liturgia allo skit era appena iniziata quando qualcuno ha bussato alla porta. I colpi sono divenuti più insistenti e ho deciso di aprire la porta. Sulla soglia stava la guardia della foresteria dello skit in uno stato terribilmente nervoso. Mi ha detto che c’era stato un omicidio nel monastero – che alcuni monaci erano stati uccisi. Aveva ricevuto una telefonata dalla guardiola del monastero e gli era stato chiesto di avvisare il superiore e tutti i fratelli dello skit. Ho portato la guardia in chiesa, ho raccolto le mie cose e sono andato al monastero. C’era qualcosa di assurdo nella notizia: come poteva esserci un omicidio nel monastero, a Optina?! Era un’evidente assurdità e uno scherzo di cattivo gusto. Chi poteva sapere che l’assassino era in quel momento sul marciapiede con me, solo nascondendosi tra i cespugli e diretto dalla parte opposta?

Optina era deserta. Nessuno poteva nemmeno aver visto l’assassino, in quanto tutti se n’erano andati. Avendo sentito parlare del delitto, i fratelli hanno cominciato a radunarsi. La prima cosa che ho visto è stato padre Ferapont. Era sdraiato sul campanile, trafitto da una spada corta costruita da paraurti di automobili. Come si è poi scoperto, “lavorare” con una tale arma è molto difficile – si deve possedere una forza enorme o un grande addestramento.

Il killer, Averin, era gracile, ma qui era stato chiaramente assistito dal vero ed eterno assassino dell’uomo. Solo questa forza disumana può spiegare la forza del colpo di Averin: oltre al corpo, la cintura monastica di cuoio era stata trafitta in tre punti. Dopo aver inflitto un unico colpo direttamente nel fegato, ha lasciato cadere il corpo di Ferapont a terra e gli ha coperto la testa con il suo klobuk. Lui stesso non ha saputo spiegare perché lo ha fatto. Poi si è rapidamente alzato e, con un secondo colpo, ha ferito a morte padre Trofim. Non è nemmeno riuscito a capire che cosa stava succedendo: entrambi i monaci erano in piedi quasi schiena a schiena e Trophim non aveva visto quello che era successo. Ha sentito solo che il suono delle campane si era fermato e si è voltato verso il suo compagno, ma era già troppo tardi – la lama fredda, insanguinata, aveva trafitto il suo fegato. Averin ha lasciato cadere anche Trofim, ha coperto anche a lui la testa con il klobuk, e poi con calma si è diretto verso lo skit, sulla scia di padre Vasilij. Un terzo colpo, e una terza persona è caduta a terra. Poi l’assassino è corso dietro la casa vicino alla torre dello skit, ha gettato lì la sua terribile spada, ha scavalcato la recinzione ed è corso nel bosco. Tre pellegrine hanno potuto appena distinguere una figura in fuga vestita con un cappotto grigio. Non c’erano altre tracce o segni (a parte la spada). Ma il terzo giorno un’imboscata stava aspettando Averin nella sua casa e una caccia all’uomo era in corso nei boschi vicini. (Da allora ho saputo per certo che se le nostre autorità vogliono risolvere un omicidio, allora possono farlo in fretta. Lo possono fare (e lo potevano fare allora), se lo vogliono.

I monaci Ferapont e Trofim

Non ho visto l’omicidio in sé, ma padre Trofim è spirato tra le mie braccia. Il suo volto era pieno di tristezza e di dolore. Era evidente che stava provando una grande sofferenza. Si è dipartito tranquillamente. Si è semplicemente fermato – ed è stato tutto. Padre Vasilij è sopravvissuto più lungo, morendo in ambulanza sulla strada per Kozelsk. Il suo corpo atletico ha fatto di tutto per resistere alla morte, ma la ferita era troppo profonda.

Più tardi è arrivata la polizia, sono iniziate le indagini, e tutti i morti sono stati portati via per le autopsie. Dopo qualche ora sono stati portati alla Chiesa di sant’Ilarione. Per quanto mi ricordo, ero l’unico laico presente a queste prime preghiere presso i corpi dei fratelli uccisi; ho visto i loro corpi, mentre ancora scoperti, senza paramenti. Secondo la tradizione, i laici non dovrebbero essere presenti alla vestizione dei monaci, ma è stata fatta un’eccezione per me. E sono grato di essere stato presente a queste preghiere. Credetemi, non ho mai più visto o sentito niente di simile. Prima di tutto, dovrei dire qualcosa sui volti dei fratelli uccisi.

Sapete cosa mi ha colpito allora? Tutti e tre sono morti in terribile agonia, di dolore inimmaginabile, e al momento della morte, questo dolore è rimasto sui loro volti. Ma poi sono passate un paio d’ore e ho visto facce completamente diverse. Potrebbero anche essere chiamati volti iconici [liki], tanto erano brillanti e luminosi. Questa non era solo la mia percezione esaltata: tutti hanno notato la strana trasfigurazione dei loro volti. C’era un sorriso luminoso, silenzioso, pacifico su ognuno di esse. Molto riposante e fiducioso. C’era la sensazione che avessero visto qualcosa di gioioso. La cosa sorprendente è che lo spirito ha lasciato il corpo, ma lo ha trasformato dopo la morte. Questi sono i tre sorrisi di cui ho parlato all’inizio del mio racconto. Sono questi i sorrisi che non dimenticherò mai. Qui c’è una prova evidente dell’esistenza della vita dopo la morte.

È difficile esprimere a parole lo stato dei fratelli del monastero. Penso che qualcosa di simile deve essere stato provato dagli Apostoli dopo l’esecuzione di Cristo e dai discepoli degli anziani di Optina dopo le morti di questi ultimi. Da un lato, orrore per quanto era avvenuto e l’amarezza della separazione, ma, d’altro canto, gioia per loro fratelli. Dopo tutto, erano ormai tutti davanti al Trono di Dio. Hanno iniziato a celebrare la Pasqua sulla Terra e l’hanno completata nel Cielo. E crediamo che là la loro gioia pasquale sarà eterna. Hanno meritato con la loro vita terrena, di essere fatti degni di accettare la corona del martirio.

Quella sera molti hanno pronunciato queste parole: Non sono stato trovato degno, a causa dei miei peccati.

***

Prima di scrivere queste brevi memorie, ho trovato una trascrizione del discorso tenuto dallo ieromonaco Teofilatto di Optina al funerale dei monaci di Optina uccisi. Non so quanto sia accurata la trascrizione, ma è molto fedele nella sostanza e trasmettere molto bene le nostre esperienze di quei giorni:

Il funerale dei tre monaci uccisi

“Oggi stiamo compiendo qualcosa di insolito, miracoloso, e meraviglioso… Ogni cristiano che conosce bene l’insegnamento della Chiesa sa che chi muore a Pasqua non si limita a morire, che non vi è nulla di casuale nella nostra vita. Andare al Signore nel giorno della Santa Pasqua è un particolare onore e una misericordia del Signore. Dal giorno in cui sono stati uccisi i tre fratelli, la campana di Optina Pustyn ha suonato in modo diverso. Preannuncia non solo la vittoria di Cristo sull’Anticristo, ma anche che ora la terra di Optina Pustyn è stata abbondantemente irrigata non solo con il sudore di asceti e monaci, ma anche con il sangue dei fratelli di Optina. Questo sangue è una speciale protezione e di testimonianza per la storia futura di Optina Pustyn. Ora sappiamo che abbiamo intercessori speciali davanti al trono di Dio “.

Il ricatto globale delle Pussy Riot .Politologo e filosofo russo Aleksandr Dugin

Nei termini della storia delle Pussy Riot, abbiamo indubbiamente a che fare con un caso di guerra di informazione. Di fatto, questo è il tipo di guerra il cui scopo corrisponde con lo scopo di qualsiasi guerra: l’indebolimento dell’influenza del nemico, la distruzione alle radici del suo stato morale e psicologico e la sottomissione a una certa volontà esterna. Questo è il fine di ogni guerra. Ora guardiamo al bersaglio, al proposito, ai mezzi, agli strumenti e ai clienti di questa guerra di informazione. Prima di tutto, il bersaglio: secondo la mia opinione, il bersaglio è stato selezionato in modo piuttosto preciso. Quando il Patriarca di Mosca e tutta la Rus’, Kirill, ha accettato il suo ruolo di arcipastore della Chiesa Ortodossa Russa, ha annunciato un’idea molto significativa, e cioè che noi siamo guidati dall’ideale bizantino della sinfonia dei poteri. Questa è un’alleanza tra il potere spirituale e secolare. In altre parole, è un’idea secondo la quale a capo dello stato o società stanno un pastore ortodosso, il patriarca, che raffigura la Chiesa o il Regno oltremondano, il Regno dei cieli, e un capo di stato secolare. L’alleanza di questi due poteri costituisce il fondamento dell’esistenza conservatrice bizantina della statalità russa. È stato così allo stadio iniziale, allo stadio intermedio, e anche se guardiamo agli ultimi secoli della storia russa, è sempre stato così in un modo o in un altro. Questi due lati sono stati il bersaglio dell’attacco da parte di questa manifestazione blasfema nella chiesa di Cristo Salvatore. L’attacco era diretto a due bersagli. Uno di questi era l’attitudine seria e riverente verso la Chiesa da parte della nostra società, che è stata attaccata istigando una risposta inappropriata, facendosi beffe della Chiesa, dimostrandone il lato duro e autoritario, e cose del genere; è stato una profanazione, ciò che si definisce una bestemmia. Questo è il senso del “sacrilegio”: la violazione di una relazione sacra. In altre parole, questo è un colpo all’autorità della Chiesa, alla gerarchia e al patriarca. Non è una coincidenza che la campagna attorno alle Pussy Riot si sia dolcemente trasformata in un discredito dell’arcipastore della Chiesa Ortodossa Russa. Il bersaglio era stato scelto in modo preciso. E c’è stato un secondo bersaglio. Si tratta della nostra sovranità, dell'”asse  verticale del potere”, il presidente, che in questo caso capitava essere Putin. In realtà, il bersaglio è la “sinfonia”, quello stesso nucleo conservatore che costituisce una parte permanente e immutabile della storia russa. Ecco l’obiettivo dell’attacco. Passiamo ora allo strumento dell’attacco. Si tratta dello scontento politico nei confronti di Putin, allineato dietro queste meschine ragazze, che sono semplicemente il capro espiatorio di questa guerra molto seria di informazione. Il caso stesso è assolutamente disastroso dal principio alla fine. Nondimeno è dietro a queste porno-teppiste, bestemmiatrici e persone semplicemente oscene, immorali e prive di valore che si allinea tutta l’opposizione di Piazza Bolotnaja, gli oppositori dell’Ortodossia russa da ogni possibile regione, incluse le sette, e Michael McFaul (l’ambasciatore americano a Mosca, ndc) con il sostegno globale dell’occidente, che si intrufolano come il maiale nel fango. In altre parole, arriva l’attacco, e all’improvviso, si mobilita una forza considerevole, dopo una trascurabile puntura di zanzara. Queste ragazze diventano le eroine delle cronache occidentali: “Il maledetto Putin e la terribile Chiesa Ortodossa Russa iniziano a reprimerle, umiliarle e sopprimerle brutalmente”. Di fatto, questo crea una rappresentazione virtuale dell’intera società come un campo diviso a metà tra i “cattivi” e i “buoni”. I sostenitori del modello bizantino (diciamo, la Chiesa Ortodossa Russa e il nostro “asse verticale del potere” rappresentato da Putin) sono raffigurati come i “cattivi”. E allora chi sono i “buoni”? Aleksej Navalnyj, Ksenija Sobchak… che non hanno legami con queste ragazze punk. Michael McFaul, il “portatore di libertà”, Barack Obama, il presidente “libero”, attualmente impegnato a portare avanti guerre aggressive multiple e sanguinose e a pretenderne di nuove. Sono queste “gentili”, “buone” e “meravigliose” persone che fanno la fila dietro il caso di perversione quasi autenticamente psichiatrico, rappresentato da Nadezhda Tolokonnikova. Tutte queste “brave persone” la sostengono, innalzano le bandiere della libertà della democrazia, della libertà di una nuova etica e di una nuova morale, e di un nuovo progetto politico e spirituale, e queste teppiste diventano il simbolo dei “buoni”, il simbolo del bene, della luce, della verità, della libertà e della giustizia contro le “forze del male”, rappresentate dallo Spirito, da Cristo, dalla Chiesa, dalla Russia e dalla nostra storia millenaria. L’abbiamo già visto in numerose occasioni: la guerra delle idee, delle posizioni, delle ere e delle civilizzazioni è durata molte centinaia di anni. Gradualmente, l’Occidente ha distrutto la propria tradizione, i propri imperi e la propria religione, e ora si sta occupando del resto del mondo. Abbiamo a che fare con modernità e postmodernità, e la cosa è incredibilmente seria. E se non fosse stato per questo particolare incidente, ce ne sarebbe stato un altro, come il caso di Bono e dei boschi di Khimki, o come il nostro meraviglioso presidente con l’iPad che porterà il bene e la democrazia, mentre il resto della Russia diventerà immediatamente una difficile, sporca, corrotta, nera macchina di potere. Tutte queste sono parti dello stesso processo: il processo della lotta dell’Occidente e del liberalismo contemporaneo contro tutti i regimi, tutti i sistemi politici, statali, spirituali e religiosi che sono differenti dal modello occidentale di democrazia o che vi resistono con forza. In questo senso, penso che dobbiamo trattare questa manifestazione con assoluta serietà. Ci sono persone che ci odiano, che vogliono sopprimerci, conquistarci e distruggerci, farci cadere in ginocchio, annientare in noi gli ultimi tentativi di resistenza, tentativi che possono per la verità non essere molto coerenti, ma che sono incarnati in Putin e sono incarnati in quel riflesso della Chiesa eterna che è la nostra Chiesa Ortodossa Russa. È questa eternità conservatrice che costituisce il bersaglio di tutta questa campagna di attacchi. Perché la gente mette la sua firma a favore di questa campagna ovviamente disastrosa, inclusi i rispettati e cosiddetti liberali, come Vladimir Pozner o Nikolaj Svanidze? Lo fanno perché siamo alle prese con un serio duello esistenziale. Il governo potrebbe arrendersi sotto il peso di questo ricatto globale iniziato dalle Pussy Riot, e allora tutto sarà permesso, e questo genere di manifestazioni diventerà la norma: la penitenza e l’umiliazione delle istituzioni tradizionali travolte da questi gruppi liberali, postmoderni, aggressivi e nichilisti servirà come precedente. Di conseguenza, a chiunque sarà permesso fare ciò che vuole. Dopo di che, la Russia non esisterà ancora per molto tempo, perché le ultime vestigia di moralità, spiritualità, disciplina e ordine saranno semplicemente spazzate via. Questo avrà come risultato il caos globale. In alternativa, la Russia può resistere a questo assalto furioso, mantenendo un certo orientamento verso l’ordine, la statalità, l’etica, la moralità, la religione e la sacralità. Tuttavia, in questo caso, cosa rimarrà per personaggi come Pozner, Svanidze e molti liberali che siedono nel governo pronti all’imboscata? Questi ultimi non hanno tanta solidarietà per le Pussy Riot in sé, ma per l’incidente stesso, per l’altro lato, che sta sostenendo le Pussy Riot, mentre entrano in questa guerra ed esasperano come risultato la situazione. Le nuove forze del nichilismo, del caos, e quanto meno l’onda sonora della decomposizione, se non della rivoluzione, si stanno accumulando tra l’elite politica e l’intelligentsia urbana in Russia. In termini precisi, questo è stato il caso dei primi anni ’90, che ha portato al collasso del nostro stato. Questa “onda” è ora in fase di piena. Ha il proprio sostegno tra le elite economiche, politiche e mediatiche. È un vero e proprio esercito, che si è sollevato contro questo vago e appena visibile bizantinismo, contro questi deboli germogli di rinnovamento spirituale, ai quali non si permette di crescere, e contro ai deboli tentativi di costituire uno stato forte, potente, sovrano, incarnato nelle autorità secolari. Di conseguenza, considero questa manifestazione una sfida molto seria. Dobbiamo trattarla con tutta la nostra attenzione e cura e capire che le maschere sono cadute. Di fatto, se non esistessero queste Pussy Riot, ce ne sarebbero delle altre. Gli stessi Pozner e Svanidze si metterebbero la calzamaglia per andare a danzare da qualche parte in una chiesa russa. Tutto questo è irrilevante, e può continuare per un tempo indefinito. La questione reale è che un segmento della popolazione della Russia (naturalmente, un’assoluta minoranza) ha essenzialmente dichiarato guerra alla statalità della Russia. Questo è il segmento liberale e occidentale, che contava sul secondo mandato di Dmitrij Medvedev e sulla possibilità di seguire gradualmente la strada dell’Occidente. Il ritorno di Putin ha generato in loro un tale shock isterico che si sono riversati sulle strade e hanno lanciato lo scenario di un’opposizione controllata da Washington. Questa è una guerra: una guerra contro la Russia, una guerra con ogni mezzo. Una guerra di sterminio. La quinta colonna sta operando all’interno della nostra società e del nostro stato. Chi è questa quinta colonna? Sono quelli che hanno firmato petizioni di sostegno alle Pussy Riot. Non c’è dubbio, dato che queste persone hanno deciso di sostenere un affare così disastroso, che sono assolutamente capaci di ogni cosa.