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Alcuni nozioni essenziali di fede e pratica ortodossa

Alcune nozioni essenziali di fede e pratica ortodossa
Dell’igumeno Andrew (Wade)
Uno dei nostri parroci ortodossi, l’igumeno Andrew (nella foto), ha preparato questo testo introduttivo a uso di una parrocchia multietnica, con una maggioranza di fedeli serbi. Si tratta di un testo significativo dal punto di vista pastorale, perché riesce a creare familiarità tra le usanze tipiche di un determinato popolo ortodosso e le altre tradizioni ortodosse, e allo stesso tempo sa offrire un punto di partenza per la comprensione della vita di fede ortodossa per tutti coloro (ortodossi e non) che non ne sanno abbastanza. Ringraziamo padre Andrew per il cortese permesso di diffondere questo testo.Come entrare in chiesaQuando entriamo in chiesa, facciamo per tre volte il segno della croce con la mano destra, riunendo il pollice, l’indice e il medio allungati, mentre l’anulare e il mignolo sono ripiegati assieme in fondo al palmo. Le tre dita allungate significano la Santa Trinità (il Padre, il Figlio e il santo Spirito). Le altre due dita simbolizzano le due nature di Cristo (perfetto uomo e perfetto Dio). Quindi, veneriamo l’icona in mezzo alla chiesa, l’icona di Cristo a destra e l’icona della Madre di Dio a sinistra. Facciamo ogni volta il segno della croce e ci inchiniamo prima di baciare l’icona.

In seguito acquistiamo dei ceri. Le candele sono le stesse per i vivi e per i morti. Poniamo le candele per i vivi in ogni punto della chiesa, davanti all’icona di nostra scelta, ma quelle per i morti si pongono a sinistra, al tavolo della parastasi (panichìda)

 

 

Come comportarsi in chiesa

Non si deve mai discutere in chiesa: nessuno ha diritto di mettersi tra un’altra persona e Dio! Soprattutto, nessuna discussione politica! Se è inevitabile dire qualcosa, allora bisogna essere molto rapidi e parlare a bassa voce. Bisogna ascoltare attentamente la Liturgia, le preghiere, il Vangelo e l’omelia. Bisogna pure attendere la fine della Liturgia e venire a baciare la Croce nella mano del prete. Dopo la Croce, baciamo la mano del prete, non perché sia migliore della nostra, ma perché attraverso l’ordinazione ha ricevuto la grazia di Dio che ci trasmette. Se ci siamo comunicati, abbiamo cura di ascoltare attentamente le preghiere di ringraziamento che si leggono alla fine della Liturgia. Dunque bisogna assolutamente evitare di cominciare a fare conversazione in chiesa alla fine della Liturgia: per queste cose ci sono il cortile, il giardino, la sala parrocchiale…

Inclinazione del capo: Con questo gesto durante la lettura del Vangelo i fedeli esprimono il loro ascolto attento. La stessa cosa si fa quando i santi dono sono portati dal tavolo della preparazione (proscomidìa) al Santo Altare nel corso del Grande Ingresso, che simbolizza Cristo che va alla sua passione volontaria.

Prosternazioni: Ci mettiamo in ginocchio e abbassiamo il capo fino a terra per esprimere la penitenza. Queste prosternazioni (o grandi metanie) sono previste in tutte le chiese ortodosse nei giorni feriali della Grande Quaresima, alla fine dei vespri dopo la Liturgia della Domenica dei Latticini (alla vigilia della Grande Quaresima) quando chiediamo perdono gli uni agli altri, e alla Domenica della Venerazione della Croce (terza domenica di Quaresima). È sbagliato immaginare che le prosternazioni siano state copiate dall’islam, poiché i cristiani ortodossi le facevano ben prima che l’islam apparisse nel settimo secolo.

Inoltre, quando alla sera della domenica che precede l’inizio della Grande Quaresima tutti i fedeli delle nostre chiese si prosternano fino a terra, possiamo essere sicuri che lo stesso gesto viene fatto contemporaneamente da sua Santità il Patriarca Pavle di Serbia e da tutti i preti ortodossi serbi con i loro fedeli nelle loro chiese e, di certo, anche da tutti i preti e fedeli nel corso degli offici in tutte le chiese ortodosse del mondo intero.

Alcuni dei nostri fedeli si sorprendono quando sentono nel Simbolo di fede in lingua italiana l’espressione seguente: credo nella Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Da dove viene questa parola cattolica quando in lingua serba lo stesso passo è verujem u jednu, svetu,vaseljensku (oppure sabornui apostolsku Crkvu? Qui si tratta semplicemente della traduzione del temine greco katholikì, che vuol dire «universale» nel senso che ogni chiesa locale è è ortodossa se è conforme a tutte le altre chiese ortodosse. Questo è il senso delle due possibili traduzioni serbe vaseljenska o saborna, e questo è il senso della parola italiana cattolica. È dunque perfettamente ortodosso utilizzare il termine cattolica in questo contesto. In ogni caso, non vuol dire che crediamo nella Chiesa cattolica romana o nel Vaticano!

 

La Divina Liturgia

La Liturgia è composta di due parti: la Parola, e l’«Eucaristia» (evharistija). La Parola è composta di preghiere e di letture del Nuovo Testamento e del Vangelo. L’omelia spiega le letture. «Eucaristia» significa «rendimento di grazie». Il pane e il vino preparati prima dell’inizio sono portati all’altare. Si tratta del Grande Ingresso, che simbolizza la deposizione del corpo di Cristo sull’altare (la tomba). Il prete ricorda come Cristo ha dato pane e vino ai suoi discepoli nella notte prima della sua morte, dicendo: « Prendete, mangiate, questo è il mio corpo» ; «Bevetene tutti, questo è il mio sangue», e chiede a Dio Padre di inviare lo Spirito Santo per cambiarli nel vero corpo e sangue di Cristo. Dopo il «Padre Nostro», tutti sono invitati a partecipare.

 

Confessione e Comunione

Noi ci confessiamo e ci comunichiamo almeno quattro volte l’anno. La confessione si fa la sera prima, o prima dell’inizio della Liturgia. Se uno vuole confessarsi, deve dirlo al prete prima dell’inizio della Liturgia. Ecco ciò che possiamo leggere in un opuscolo recentemente pubblicato dalla Chiesa Ortodossa Serba: «Purtroppo, il santo Mistero della confessione è troppo poco praticato nella nostra nazione, e può essere che l’assenza di disciplina penitenziale sia una delle ragioni del nostro declino morale e spirituale. Noi ci confessiamo in chiesa o in un luogo speciale, a fianco del prete. Il fedele confessa tutto ciò che lo tormenta nell’anima e che lo accusa nella coscienza: tutti i suoi peccati, compresi quelli commessi nel pensiero e nel desiderio. La grande importanza della confessione è evidente per quanti la praticano, poiché dopo la confessione essi provano un grande sollievo, come se un grande peso fosse stato sollevato dalla loro anima e dal loro cuore, e tutto il loro essere sembra invaso da una beatitudine ineffabile. Non si deve avere paura di confessarsi, poiché il prete è impegnato solennemente a non rivelare mai un singolo peccato che gli sia stato confessato nel corso della vita.»

L’ideale sarebbe potersi comunicare ogni volta (Cristo ha detto: «Bevetene tutti»), ma ciò non è possibile per tutto il mondo. Per quanto vi sia da lungo tempo il costume nelle chiese serba, greca e russa di non comunicarsi che quattro volte all’anno, e di digiunare per sette giorni prima di ogni comunione, oggi sono sempre più numerosi in queste stesse chiese i fedeli che, con la benedizione del loro padre spirituale, ritornano alla pratica apostolica della comunione in tutte le domeniche, digiunando il mercoledì e il venerdì. In queste cose non dobbiamo avere conflitti o giudicarci gli uni gli altri. Ciascuno deve agire secondo la propria coscienza, in seguito alla benedizione del proprio padre spirituale. Bisogna sottolineare che chi si prepara a comunicarsi deve astenersi da pensieri e azioni malvagie, e riconciliarsi con il proprio prossimo. Non dobbiamo mangiare o bere nulla, né fumare, dalla mezzanotte fino al momento della comunione.

Come ci si comunica? Ci accostiamo umilmente al calice, con le mani incrociate sul petto. Quando ci troviamo davanti al prete dobbiamo dire il nostro nome a voce chiara. Apriamo la bocca perché il prete possa depositarvi la santa comunione, e non la richiudiamo prima che abbia ritirato il cucchiaio. In tal modo evitiamo il rischio che la santa comunione cada per terra. Le donne non devono avere le labbra truccate quando vengono alla comunione. Dopo avere ricevuto la comunione, baciamo il calice. Facciamo il segno della croce prima e dopo la comunione, ma lontano dal calice, per evitare ogni incidente. Dopo che ci siamo comunicati, mangiamo un boccone di pane benedetto (prosfora, anafora) e beviamo un poco di vino misto ad acqua calda per purificarci la bocca. La comunione non si «prende», si riceve.

 

Digiuno e Quaresime

Nei giorni di digiuno non mangiamo cibi di origine animale, quindi niente carne, pesce, uova, latticini (formaggio, latte). Non beviamo vino, e non usiamo olio d’oliva negli alimenti. Vino e olio d’oliva sono sempre permessi al sabato e alla domenica. Il pesce è permesso nelle feste dell’Annunciazione (Blagovesti) e della Domenica delle Palme (Cveti).
I quattro periodi di digiuno sono: La Grande Quaresima – 6 settimane prima di Pasqua La Quaresima dei Santi Apostoli – da 8 giorni dopo Pentecoste fino alla festa degli Apostoli Pietro e Paolo (29 giugno / 12 luglio) La Quaresima della Dormizione – due settimane prima della Dormizione della Madre di Dio (Velika Gospojina) (15 / 28 agosto) La Quaresima del Natale – sei settimane prima della Natività (25 dicembre / 7 gennaio).

Noi digiuniamo tutti i mercoledì e venerdì dell’anno, e in alcuni altri giorni come la vigilia dell’Epifania (Krstovdan). Non c’è digiuno tra Natale e la vigilia dell’Epifania  (Bogojavljenje), né nella Settimana Luminosa (la settimana che segue la Pasqua). I periodi di digiuno più importanti, in cui va fatto il più grande sforzo, sono la prima e l’ultima settimana della Grande Quaresima, e i venerdì di tutto l’anno. Il digiuno non consiste solo nell’astinenza dagli alimenti d’origine animale: come sottolinea sovente sua Santità il Patriarca Pavle di Serbia, si tratta di un tempo particolarmente consacrato alla preghiera intensa, all’astinenza dai pensieri malvagi e alla riconciliazione con tutti.

 

Frequentazione della chiesa

La norma è di andare in chiesa tutte le domeniche e tutte le grandi feste. È considerato un grave peccato lasciare passare un mese senza partecipare alla Liturgia. Vi è dunque un minimo assoluto di una volta al mese, e nelle grandi feste. Gli offici della Grande Settimana prima della Pasqua sono ugualmente molto importanti.

Non dimentichiamoci che essere cristiani ortodossi significa amare e perdonare gli altri. Non si deve giudicare il prossimo, né andare in collera. Si deve discutere con calma ed evitare gli insulti e le espressioni offensive. Non si deve reagire agli insulti. Non si deve desiderare o commettere adulterio.

 

Krsna Slava

La Krsna Slava è una particolarità serba, sconosciuta tra gli altri ortodossi. Quando San Sava ha battezzato il popolo serbo, ha donato loro la krsna slava in onore dei santi del giorno del loro battesimo. Vi sono diversi costumi locali, ma ogni famiglia ortodossa serba deve celebrare la propria slava. Quando il figlio lascia la casa paterna per stabilirsi in un’altra casa, il padre gli «trasmette la slava» (predaje slavu). In seguito, il figlio celebrerà la slava, così come il proprio padre. Per la slava, si portano i colivi (zhito) (un piatto di grano bollito e zuccherato che simbolizza la risurrezione dei morti) per farli benedire in chiesa. In casa, si prepara anche il pane (kolach), il vino, e il cero. Si possono benedire pane e vino e spezzare il pane a casa assieme al prete, ma anche in chiesa – soprattutto nei nostri paesi, dove i fedeli vivono tanto lontano gli uni dagli altri.

 

La casa

Ogni casa nuova deve essere benedetta dal prete. In casa si tengono in posizione d’onore le icone di Cristo, della Madre di Dio, e del santo patrono (quello della slava presso i serbi). In una casa ortodossa, le icone si trovano in ogni stanza salvo i bagni. I cristiani ortodossi devono pregare in casa tutti i giorni, al mattino e alla sera. Queste preghiere comprendono il ringraziamento a Dio per tutto quanto ci ha donato, la richiesta di perdono per le nostre colpe, le preghiere per i vivi e i morti, e la richiesta di aiuto per la nostra vita.

 

Nascita e Battesimo

Quando nasce un bambino, si deve chiamare il prete. Vi sono preghiere per la madre e il neonato al primo giorno, l’imposizione del nome all’ottavo giorno, e le preghiere di purificazione della madre il quarantesimo giorno. In seguito, si può battezzare il bambino, di preferenza entro i primi tre mesi. Noi battezziamo per immersione completa per significare la morte e la risurrezione di Cristo, alle quali partecipiamo. Quindi, l’infante viene unto con il Santo Crisma o Myron (sveti mir) per confermare il dono dello Spirito Santo. I padrini e madrine (kumovi) professano la fede ortodossa a nome dell’infante – ed è per questo che devono obbligatoriamente essere cristiani ortodossi. Presso i serbi, l’istituto di padrino si trasmette di generazione in generazione. Se il padrino (kum) ha problemi ad arrivare (dalla Bosnia o dall’Australia…), può essere rappresentato da altri – se è d’accordo –, rimanendo lo stesso il kum. Non bisogna ritardare per questa ragione i battesimi o i matrimoni. Il terzo Mistero (sveta tajna) dopo il Battesimo e la Cresima (miropomazanje) è la Santa Comunione. È per questo che noi preferiamo battezzare prima della Liturgia. Il battesimo è identico sia per i bambini che per gli adulti.

 

Matrimonio

Si deve preparare con molta serietà, poiché è una scelta per tutta la vita. Quando i due fidanzati sono ortodossi (questo è l’ideale proposto dalla Chiesa), saranno d’accordo per il battesimo e l’educazione dei bambini. Bisogna chiedere il permesso del vescovo per sposarsi in chiesa con un cristiano di un’altra chiesa (protestante o cattolico). Non ci si può sposare in chiesa con un non battezzato, o con un giudeo o musulmano. Se qualcuno prevede un tal matrimonio, è indispensabile consultare il prete. È contrario all’insegnamento della Chiesa che le persone vivano insieme senza essere sposati. Qui bisogna anche ricordare che la Chiesa Ortodossa considera l’aborto come omicidio. Non è sufficiente essere sposati in comune. Un matrimonio in una chiesa cattolica o protestante non ha alcun valore per la Chiesa Ortodossa. Non si celebrano i matrimoni nei giorni di digiuno, né di sabato. Se per una ragione eccezionale ci si vuole sposare di sabato, ci vuole il permesso del vescovo.

 

I malati

Se qualcuno cade gravemente ammalato, bisogna chiamare il prete. Il malato ha bisogno della confessione, della comunione, e dell’unzione dei malati (jelejopomazanje). È una cosa molto grave lasciare morire qualcuno senza questi misteri. Bisogna anche chiamare il prete subito dopo un decesso per il primo officio funebre (parastos) e per organizzare i funerali.

 

Alcuni pregiudizi

Spesso immaginiamo che certe usanze di vita cristiana siano leggi della Chiesa. Il banchetto funebre sulla tomba dopo le esequie (daca na groblju) è tipico della Serbia, ma non tra i serbi di Dalmazia, che appartengono alla stessa chiesa e che organizzano un pasto alla memoria del defunto in casa, dopo i funerali. Qui si tratta di costumi locali, che non significano in alcun modo che gli uni siano più ortodossi degli altri. Un’espressione serba lo dice molto bene: «Cento villaggi – cento costumi». La legge della Chiesa ci richiede solamente di portare i colivi (zhito) che esprimono la nostra fede nella risurrezione, poiché il grano sepolto nella terra porta una nuova vita come il defunto che rivivrà nella risurrezione. Così i colivi sono una legge per tutti gli ortodossi, mentre le altre usanze sono costumi locali.

Talvolta si sente questa domanda: «Uno che non è nato ortodosso ma lo è divenuto più tardi, o che è nato da un matrimonio misto, può divenire prete ortodosso?» Le ultime parole di Cristo prima della sua ascensione al cielo sono: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e del santo Spirito» (Mt 28:19). Il santo Apostolo Paolo dice: «Non vi è giudeo né greco…, ma tutti noi siamo uno in Cristo». È dunque chiaro che Cristo ha fondato la Chiesa universale per tutte le nazioni senza distinzione. Per di più, tutti i vescovi e preti ordinati dagli apostoli erano nati da genitori non cristiani. Di conseguenza, le origini nazionali o religiose non hanno alcuna importanza. Il grande vescovo serbo San Nicola Velimirovic ha detto: «Cristo era anti-nazionalista e anti-imperialista – contro il nazionalismo ebreo e contro l’imperialismo romano». Inoltre, il nazionalismo che pretende che una nazione sia superiore a un’altra è contrario allo spirito dell’Ortodossia ed è stato condannato come eresia al Concilio di Costantinopoli del 1871.

Un’altra domanda motivata da pregiudizi è la seguente: «Le donne possono comunicarsi durante il loro ciclo mestruale?» La risposta è molto semplice: «sì», anche se in molti paesi ortodossi le donne non entrano neppure in chiesa e non venerano le icone nei giorni del loro ciclo. San Gregorio il Grande scrisse nel settimo secolo che questo è un «costume giudaico», poiché i giudei considerano il sangue mestruale come impuro. San Gregorio dice che le donne possono comunicarsi liberamente nei giorni del ciclo, ma che non bisogna forzarle a farlo per rispetto della loro coscienza.

 

Igumeno Andrew (Wade), Belfort, 11.6.2000

La croce ortodossa Russa

Spiegazione della croce russa e del suo simbolismo
LA CROCE ORTODOSSA RUSSAAttraverso la Croce è giunta la nostra salvezza. L’immagine del Signore crocifisso ci ricorda costantemente che Cristo è morto per noi, e che è risorto dai morti. Qui sotto vedrete una spiegazione della Croce nella tradizione ortodossa russa, scoprendo a ogni passo il simbolismo in essa racchiuso.

Sulla Croce è raffigurato il nostro Salvatore, Gesù Cristo. Notate che non porta la corona di spine, e che i suoi piedi sono inchiodati con due chiodi.  Dietro il corpo di Cristo, sui lati, ci sono una lancia (quella che gli trafisse il costato) e una spugna (quella che fu imbevuta di aceto e fiele e fu offerta a Cristo da bere) su un palo fatto di canna. Sul fianco di Cristo sono raffigurati il sangue e l’acqua che escono dal suo costato. Sotto ai piedi di Cristo ci sono quattro lettere dell’alfabeto slavonico che significano: “Il luogo del cranio è diventato il paradiso”. Nascosto in una caverna sotterranea è il ‘cranio di Adamo’. In questo modo ci viene ricordato che Adamo, nostro progenitore, ha perduto il paradiso per mezzo dell’albero del quale ha partecipato ingiustamente; Cristo è il nuovo Adamo, che ci porta la salvezza e il paradiso attraverso l’albero della Croce. La città di Gerusalemme è raffigurata sullo sfondo, dato che egli fu crocifisso al di fuori delle mura della città.

La barra superiore

La barra superiore è la scritta che Pilato ordinò di appendere per scherno al di sopra del capo di Cristo sulla Croce. Su questa tavola era scritto: “Gesù di Nazaret, Re dei Giudei” in ebraico, greco e latino (abbreviato in greco con le iniziali ‘INBI’ o in latino con ‘INRI’ nella tradizione occidentale). Questa è talvolta rimpiazzata dall’iscrizione cristiana: “Il Re della Gloria” – che qui è sotto le ginocchia degli angeli. Sulla tavola qui sono iscritte le iniziali ‘IC XC’, che sono le prime e le ultime lettere del nome di Gesù Cristo in greco. In aggiunta, proprio al di sopra delle braccia di Cristo vediamo l’iscrizione: ‘NIKA’, che in greco significa: “Egli conquista” o “Egli è vittorioso.” Frequentemente, vediamo insieme queste due espressioni: ‘IC XC NI KA’, con il significato: ” Gesù Cristo vince” (cioè, vince la morte e il peccato).

La barra centrale

La barra centrale è quella sulla quale sono state inchiodate le mani del Signore. Sugli angoli superiori vediamo le raffigurazioni del sole (a sinistra) e della luna (a destra), che ci ricordano il verso del profeta Gioele, “Il sole si muterà in tenebra, e la luna in sangue.” (Gl 2:31) L’iscrizione: “Il Figlio di Dio” è posta ai lati del capo di Cristo, e sotto le sue braccia leggiamo l’iscrizione: “Ci prosterniamo davanti alla tua Croce, o Sovrano, e glorifichiamo la tua santa Risurrezione”. Sull’aureola di Cristo sono iscritte le lettere greche che significano “L’Esistente” o “Colui che è”, per ricordarci che Cristo è lo stesso Dio che si è identificato con queste parole a Mosè nell’antica legge.

La barra inferiore

La barra diagonale inferiore è il suppedaneo (piedistallo o supporto per i piedi). Ci sono alcune dispute se ce ne fosse davvero uno sulla Croce di Cristo, ma nella Croce ortodossa è riconosciuto come un attributo necessario della Croce, degno di venerazione, e a cui si fa allusione profetica nelle parole “Adoriamo lo sgabello dei suoi piedi… (Salmo 98:5).

Nelle preghiere dell’Ora Nona, la Chiesa assimila la Croce a una sorta di bilancia della giustizia: ” In mezzo ai due ladroni la tua Croce è stata bilancia di giustizia: per l’uno, che fu spinto all’inferno dal peso della sua bestemmia, ma anche per l’altro, che fu alleggerito delle colpe per la sua conoscenza della teologia; Cristo Dio, gloria a te.” I Padri della Chiesa hanno cercato di rendere tangibile l’idea che il ladrone infedele scende all’inferno a causa della sua bestemmia, attraverso il giusto giudizio di Dio (la punta inferiore della barra), e che il buon ladrone va in paradiso per il suo pentimento e la sua lode a Dio (la punta superiore).

 

La prima visita a una chiesa ortodossa

La prima visita a una chiesa ortodossa
Della presbitera Federica Matthewes-Green
 Le dodici cose che avrei voluto saperedella presbitera Federica Mathewes-Green1. “In piedi per Gesù.”
Nella tradizione ortodossa, i fedeli stanno in piedi praticamente per tutta la funzione. Davvero. In alcune chiese ortodosse, non troverete neppure una sedia, tranne alcune sparpagliate ai bordi della navata a beneficio di qualche ya-ya e papou (come i greci chiamano affettuosamente il nonno e la nonna). Ma aspettatevi ampie varianti nella pratica: alcune chiese, soprattutto quelle che hanno ottenuto il loro edificio da altre denominazioni, avranno banchi ben usati. In ogni caso, se trovate che tutto quello stare in piedi sia troppo per voi, sedetevi pure e riposatevi. Con la pratica, diventa più facile.
2. Come, niente inginocchiatoi?
In generale, non ci inginocchiamo. Talvolta ci prosterniamo. Questa non è come la prosternazione nella tradizione cattolica, dove ci si appiattisce a terra. Per fare una prosternazione ci inginocchiamo, poniamo le mani sul pavimento e tocchiamo la fronte a terra tra le nostre mani. È un po’ come in quelle foto delle preghiere pubbliche musulmane, dove sembra che ci sia un mare di schiene. All’inizio la prosternazione sembra imbarazzante, ma nessun altro si imbarazza, per cui dopo un po’ ci si sente a posto. Talvolta ci prosterniamo e ci rialziamo subito, come durante la preghiera di Sant’Efrem il Siro, che è usata frequentemente durante la Quaresima. Altre volte ci gettiamo a terra e rimaniamo così per un certo tempo, come durante una parte della Preghiera eucaristica. Non tutti si prosternano. Alcuni restano in ginocchio, altri stanno in piedi a capo chino, o siedono incurvando in dorso. Se si sta in piedi con aria imbarazzata, va bene lo stesso. Nessuno noterà se non vi prosternate. Nell’Ortodossia c’è un’accettazione molto più ampia di espressioni individualizzate di pietà, e molta meno sensazione che la gente ti osserva e si offende se fai le cose nel modo sbagliato. Un ex-prete episcopaliano ha detto che vedere la gente prosternarsi è una delle cose che lo ha reso più ansioso di diventare ortodosso. “Così è come dovremmo essere di fronte a Dio.”
3. Occhio ai gesti.
Nelle chiese ortodosse il bacio è un gesto molto usato. Quando entriamo in chiesa, per prima cosa baciamo le icone (idealmente, Gesù sui piedi e gli altri santi sulle mani). Noterete che alcuni baciano il calice, altri baciano il bordo dei paramenti del prete al suo passaggio, gli accoliti baciano la sua mano quando gli danno l’incensiere, e tutti ci mettiamo in fila per baciare la croce al termine della funzione. Ci baciamo reciprocamente prima di ricevere la Comunione. Quando i cattolici e gli anglicani passano il saluto di pace, danno un abbraccio, una stretta di mano o un accenno di bacio sulla guancia; questo è il modo con cui gli occidentali si salutano. Nel mondo ortodosso circolano culture differenti: i greci e gli arabi baciano su due guance, gli slavi tornano indietro per un terzo bacio. Seguite i gesti di chi vi circonda, e fate attenzione a non battere il naso. Il saluto consueto è “Cristo è in mezzo a noi”, e la risposta “Lo è, e lo sarà.” Non preoccupatevi se lo sbagliate. Il saluto non è quello familiare “La pace del Signore sia con te,” e neppure “Salve, che bella chiesa che avete…”
4. In hoc signo.
Dire che facciamo frequentemente il segno della croce vorrebbe dire sottovalutarci. Ci segniamo tutte le volte che la Trinità viene menzionata, e in altre occasioni: ci sono dozzine di opportunità nel corso della liturgia. Non ci si aspetta che la gente le azzecchi tutte. Alcuni (solitamente i greci) si fanno tre volte il segno della croce, e altri concludono il gesto con un movimento circolare della mano verso terra. Ci segniamo con la mano destra da destra a sinistra (spingendo, non tirando), l’opposto dei cattolici e anglicani. Teniamo la mano in un modo prescritto: pollice e prime due dita unite assieme, le altre due dita premute sul palmo. Qui come ovunque, l’impulso ortodosso è quello di fare tutto quello che facciamo per rafforzare la fede. Riuscite a figurarvi il simbolismo?
5. Pane benedetto e pane consacrato.
Solo gli ortodossi possono ricevere la comunione, ma chiunque può avere un pezzo del pane benedetto. Ecco come funziona: il pane rotondo della comunione, cucinato da un parrocchiano, è stampato con un sigillo; prima della liturgia, il prete taglia una sezione del sigillo e la mette da parte; questa è chiamata “Agnello”. Il resto del pane è tagliato e posto in un ampio cestino, e benedetto dal prete. È chiamato “antidoro”. Durante la preghiera eucaristica, l'”Agnello” è consacrato per diventare il Corpo di Cristo, e il vino nel calice è consacrato per diventare il suo Sangue. E qui c’è la parte straordinaria: il prete pone l'”Agnello” nel calice, dove si sfalda. Quando riceviamo la comunione, ci mettiamo in fila davanti al prete, stando in piedi e aprendo la bocca mentre egli ci dà un frammento del pane inzuppato nel vino con un cucchiaio dorato. Egli pronuncia anche per noi una preghiera, chiamandoci con il nostro nome di battesimo (o di cresima, se siamo stati ricevuti in tal modo nella Chiesa). In seguito, un chierichetto ci porge il cesto con i cubetti di pane benedetto. I fedeli ne prendono per sé e per i visitatori e per gli amici non ortodossi. Se qualcuno vi dà un pezzo di antidoro, non fatevi prendere dal panico: non è il Corpo eucaristico. È un segno di fraternità.
6. Dov’è la Confessione generale?
Nella nostra esperienza, non abbiamo alcun peccato generale; sono tutti piuttosto specifici. Non esiste alcuna preghiera completa di confessione nella liturgia. Ci si aspetta che gli ortodossi facciano una regolare e completa confessione al loro prete. Il ruolo del prete è molto più quello di un padre spirituale di quanto lo sia in altre denominazioni. Egli non è chiamato con il solo nome di battesimo, ma ci si rivolge a lui come “Padre Taldeitali.” Anche sua moglie ha un ruolo speciale come madre della parrocchia, e anche lei ha un titolo, che varia da un’area etnica all’altra: “Khouria Taldeitali” (arabo), “Matushka Taldeitali” (russo), o “Presbitera Taldeitali” (greco). Tutti questi non significano altro che “moglie del prete”. Inoltre, non ci inchiniamo né ci genuflettiamo durante il “e si è incarnato” del Credo niceno. Non ci asteniamo dall’uso della parola “Alleluia” durante la Quaresima. Di fatto, durante i Mattutini quaresimali, gli Alleluia sono più abbondanti che mai. Infine, quando nel Credo diciamo che lo Spirito Santo procede dal Padre, se qualcuno per forza di abitudine aggiungerà: “e dal Figlio”, sarà il solo a farlo.
7. Musica, musica, musica.
Circa il 75% della funzione è canto corale. Tradizionalmente, gli ortodossi non usano strumenti, anche se in qualche chiesa si troverà un organo. Di solito un piccolo coro porta i fedeli in un’atmosfera di cappella, con il livello di risposta della congregazione variabile da parrocchia a parrocchia. Questo canto costante dapprima è un po’ travolgente; ci si sente come sul primo scalino di una scala mobile, trascinati via di forza finché non si scende 90 minuti dopo. È stato detto a ragione che la liturgia è un unico canto continuo. Ciò che le impedisce di essere sfiancante è il fatto che il canto è lo stesso ogni settimana. Pochissimi cambi di domenica in domenica; le stesse preghiere e inni cadono allo stesso posto, e prima che sia passato molto tempo li si sa a memoria. Allora ci si ritrova alla presenza di Dio in un modo che non sarebbe possibile stando continuamente a saltare da un messale a un bollettino a un innale.
8. L’incubo degli editori
Esiste un modo conciso di dire qualcosa? Si possono eliminare gli aggettivi superflui? Si può concentrare la prosa più asciutta e più appropriata a un livello ancor più raffinato? Allora questo non è culto ortodosso. Se c’è un modo più lungo di dire qualcosa, gli ortodossi lo troveranno. Come disse una volta un prete anglo-cattolico, “Il Cristo Risorto richiede gioielli!” Nel culto ortodosso, c’è di più e sempre di più, in ogni area inclusa la preghiera. Quando il prete intona, “Completiamo la nostra preghiera al Signore,” aspettatevi di essere ancora lì in piedi 15 minuti dopo. La liturgia originale durava qualcosa di più di 5 ore; quella gente doveva essere infuocata per Dio. La Liturgia di San Basilio accorciò tutto questo a circa 2 ore e mezza, e in seguito (intorno all’anno 400) la Liturgia di San Giovanni Crisostomo lo ridusse ulteriormente a 1 ora e mezza. La maggior parte delle domeniche usiamo la Liturgia di San Giovanni Crisostomo, anche se per alcune ricorrenze (per esempio, le domeniche di Quaresima, o il Natale) interpoliamo alcune delle preghiere più lunghe di San Basilio. Quando arrivate per la Divina Liturgia alla domenica mattina, la funzione sarà già iniziata, e vi sentirete in imbarazzo per essere arrivati in ritardo. Ma non sarete in ritardo, significa solo che il prete e alcuni parrocchiani staranno officiando il Mattutino, che inizia un’ora prima. La Divina Liturgia segue a ruota, e il momento d’inizio fissato sugli avvisi è solo approssimativo. Prima del Mattutino, il prete compie altre funzioni preparatorie; starà all’altare per oltre tre ore alla domenica mattina, “immerso nella fiamma,” come disse un prete ortodosso. L’Ortodossia non è fatta per coloro che trovano la chiesa noiosa.
9. Pazzi per Maria
La amiamo, e si vede. che possiamo dire? È sua Mamma. Non che pensiamo che lei o qualsiasi altro santo abbiano poteri magici o siano semi-dei. Ma, così come chiediamo le preghiere gli uni degli altri, chiediamo anche le loro preghiere. Non sono morti, dopo tutto, ma solo dipartiti all’altra sponda. Le icone ci circondano, in parte, per ricordarci che tutti i santi sono invisibilmente uniti a noi nel nostro culto.
10. Dietro la porta numero tre.
Ogni chiesa ortodossa avrà un’iconostasi davanti al suo altare. “Iconostasi” significa “piedistallo per le icone”, e può essere tanto semplice come una grande immagine della Vergine e del Bambino su un cavalletto a sinistra, e una corrispondente immagine di Cristo sulla destra. In una chiesa più elaborata, l’iconostasi può essere letteralmente una parete, adornata di icone, che blocca la visione dell’altare, tranne quando le porte centrali si aprono. La sistemazione basilare di due grandi icone crea, se usate la vostra immaginazione, tre porte. Quella centrale, che incornicia lo stesso altare, è chiamata “Porta reale,” poiché è da qui che il Re della Gloria esce verso la congregazione nell’Eucaristia. Solo al prete, che porta l’Eucaristia, è permesso usare la Porta reale. Le aperture sugli altri lati delle icone, se c’è una iconostasi completa di porte, avranno figure di angeli; sono chiamate “Porte del diacono”. Le usano i chierichetti e altri che hanno compiti all’altare, anche se nessuno deve andare dietro le porte senza un’appropriata ragione. Il servizio all’altare – preti, diaconi e altri servitori – è ristretto ai maschi. Le femmine sono invitate a prendere parte in ogni altra area della vita della Chiesa, e il loro  contributo è stato onorato in modo uguale a quello dei maschi sin dai tempi dei martiri; non potete guardare un altare ortodosso senza vedere Maria e le altre sante donne. Nelle chiese ortodosse, le donne compiono tutti gli altri compiti che spettano agli uomini: dipingono icone, insegnano nelle classi, leggono l’epistola e servono nel consiglio parrocchiale.
11. Pensare al digiuno.
Quando i neoconvertiti apprendono le discipline ortodosse riguardo al digiuno, la loro prima reazione è “mi stai prendendo in giro.” Noi digiuniamo molto, anche se la parola “digiuno” non significa la totale astensione dal cibo della tradizione cattolica e protestante. Digiuniamo frequentemente dalla carne: quasi tutti i mercoledì e i venerdì, tra il 1 e il 15 agosto, tra il 15 novembre e il 25 dicembre, e in altri periodi; tutti insieme sono all’incirca metà dell’anno. La Quaresima è ancora più rigida. Nella prima settimana non mangiamo carne. Nelle sette rimanenti settimane digiuniamo da tutti i prodotti animali – carne, latticini, uova, etc. – così come dai pesci con lisca, dalle bevande alcoliche, e dall’olio d’oliva. Questo lascia fuori molluschi e crostacei, frutta, ortaggi, cereali, e tutta una gamma di spaghetti al pomodoro (aspettate un po’ per il parmigiano). Nella pratica, questi digiuni sono soggetti a enormi variazioni. I convertiti sono talvolta confusi dalla gamma di consigli e indicazioni che ricevono riguardo ai digiuni. Il punto importante da ricordare è che il digiuno non consiste in regole rigide che si rompono a grave rischio personale, né è una punizione per i peccati. Il digiuno è esercizio per rafforzarci e per superare i nostri limiti, una medicina per la salute dell’anima. Consultandovi con il vostro prete come con un medico spirituale, potrete arrivare a un regime di digiuno che vi terrà in esercizio senza spezzarvi. L’anno successivo potrete fare ancora di più. Noi arriviamo ogni domenica alla Divina Liturgia digiuni da ogni cibo o bevanda. Quando la Liturgia finisce siamo piuttosto affamati, così c’è di solito da mangiare in abbondanza al rinfresco parrocchiale.
12. Qual’è il ruolo degli occidentali?
Girando per i quartieri di una grande città vedrete una varietà di chiese ortodosse con qualche variante di targhetta: greche, romene, carpato-russe, antiochene, e via dicendo. Ma l’Ortodossia è davvero così tribale? Queste divisioni rappresentano scismi o litigi teologici? La migliore analogia si può fare con l’anglicanesimo. Così come la Chiesa d’Inghilterra, la Chiesa d’Uganda, e la Chiesa Episcopaliana sono tutte manifestazioni locali della stessa denominazione, quella anglicana, così pure tutte queste chiese ortodosse sono la stessa Chiesa. La designazione etnica si riferisce a quella che è chiamata “giurisdizione” della parrocchia, e identifica i vescovi che hanno autorità su di essa. Negli Stati uniti, per esempio, ci sono 4 milioni di ortodossi (a paragone di 2 milioni e mezzo di episcopaliani) e 250 milioni nel mondo, la seconda comunione cristiana in ordine di grandezza. La cosa incredibile riguardo a questa molteplicità etnica è la sua unità teologica. Mentre l’Ortodossia ricomincia a risorgere alla fine del ventesimo secolo, udiamo voci dall’Africa del Nord, dal Medio Oriente, dall’Europa dell’Est, dalla Russia e da tutto intorno al mondo: popoli che sono stati privi di comunicazione gli uni con gli altri per lungo tempo, o forse perfino in guerra gli uni con gli altri. Eppure parlano con una singola voce riguardo alla fede. I popoli isolati non hanno introdotto variazioni a proprio arbitrio. Si tratta anche di un’unità morale. Per esempio, il più antico documento che abbiamo che condanna l’aborto è datato circa all’anno 110 dopo Cristo, e questa posizione è rimasta inattaccata attraverso tutto il mondo e tutti i secoli. Noi non abbiamo alcun gruppo come i “Cattolici per una libera scelta” o la “Coalizione religiosa per i diritti dell’aborto” dei protestanti. La Chiesa ha una storia di fedeltà alle sue radici teologiche e morali attraverso i millenni, nella persecuzione o nel potere, e una moda della fine del ventesimo secolo non vi lascerà una grande traccia. Potrete attribuire questa unità a incidenti della storia. Noi la attribuiamo allo Spirito Santo. Perché allora la molteplicità di chiese etniche? Queste designazioni nazionali ovviamente rappresentano realtà geografiche, pertanto in America dovrebbe esserci una chiesa nazionale unificata: una Chiesa Ortodossa Americana. Questo era il piano originale. Poiché i russi che passarono lo Stretto di Bering per giungere in Alaska furono i primi a portare l’Ortodossia sul continente americano, ci si aspettava che continuassero tale missione. Le parrocchie formate in tale processo sono ora note con il nome giurisdizionale di “Chiesa Ortodossa in America”, ovvero “O.C.A.”. Ma la rivoluzione bolscevica del 1917 interruppe tale piano, e mentre gli immigranti continuavano a giungere nella nuova terra, ogni gruppo cercò il culto nella propria lingua nativa. Dovunque si radunavano, fondavano una chiesa a sé. Questa moltiplicazione di giurisdizioni ortodosse è un grande imbarazzo per i credenti di oggi, e molte preghiere e progetti vengono compiuti per smantellare queste muraglie non necessarie. Attualmente le più ampie giurisdizioni in America sono quella greca, la O.C.A. (radici russe), quella antiochena (radici arabe). Le più grandi differenze tra di loro sono le ricette dei pasticcini serviti all’ora del rinfresco parrocchiale. Vorrei che si potesse dire che ogni parrocchia locale è ansiosa di dare il benvenuto a nuovi arrivati, ma alcune sono ancora così legate alla loro esperienza di immigrati, che si chiedono perché degli “stranieri” dovrebbero interessarsene. Visitare diverse parrocchie ortodosse vi aiuterà a imparare dove vi trovate più a vostro agio. Probabilmente ne cercherete una che usi nelle sue funzioni molte parti nella vostra lingua. Alcune parrocchie, con un’alta percentuale di convertiti, avranno funzioni esclusivamente nelle lingue occidentali locali. L’Ortodossia sembra spaventosamente differente a prima vista, ma con il passare delle settimane lo è sempre di meno; per noi convertiti, inizia sempre più a farsi sentire come la nostra casa. Spero che la vostra prima visita a una chiesa ortodossa sia piacevole, e che non sia l’ultima.

Copyright © 1995 Frederica Mathewes-Green

Ringraziamo l’autrice per il cortese permesso di pubblicare su questo sito la traduzione italiana del suo articolo

La Presbitera Frederica Mathewes-Green, scrittrice e giornalista, fa parte della Chiesa Ortodossa della Santa Croce presso Baltimora, negli USA (Arcidiocesi Antiochena Ortodossa d’America), dove suo marito, Padre Gregory Mathewes-Green, è parroco.

La Presbitera Frederica ha scritto saggi di grande profondità umana sul tema del diritto alla vita dei nascituri (che rappresentano una delle voci più autentiche dell’Ortodossia di fronte al drammatico fenomeno dell’aborto), e ha raccontato la storia della sua conversione in numerosi libri, articoli e interviste. Alcuni articoli e la sua biografia si possono trovare sul sito Internet www.frederica.com.

I Racconti di un pellegrino Russo

Itinerari di preghiera tra la Russia e il monte Athos:

Racconti di un pellegrino russo

 Igumeno Ambrogio (Cassinasco) – Chiesa ortodossa russa – Torino

 

Candidi racconti di un pellegrino al suo padre spirituale (titolo originale russo: Otkrovennye rasskazy strannika duchovnomu svoemu otcu) è il titolo di uno dei più diffusi e amati libri sulla preghiera cristiana ortodossa.

L’opera è piuttosto recente: la sua prima edizione in lingua russa è stata stampata a Kazan’ intorno al 1860. Le sue traduzioni in altre lingue, che hanno reso celebri i Racconti di un pellegrino, risalgono agli anni successivi alla prima guerra mondiale.

Nonostante l’età relativamente giovane, e il suo stile narrativo popolare, i Racconti hanno un posto di rilievo tra i più stimati testi spirituali dell’Ortodossia russa. Altrettanto significativa è l’origine del testo. Per quanto immersi nell’atmosfera dell’Impero russo della seconda metà dell’Ottocento, iRacconti provengono dal Monte Athos, e precisamente da un manoscritto anonimo scoperto nel monastero athonita russo di San Panteleimone.

È probabile che il testo sia stato scritto in questo monastero, sotto forma di narrazioni di viaggio, dietro consiglio di uno dei suoi monaci o padri spirituali. Non è da escludere che l’autore (pellegrino per vocazione, e diretto dalla Russia alla Terra Santa) abbia deciso di fermarsi al monastero di San Panteleimone per terminarvi la propria vita come monaco. Lo stesso carattere anonimo del libro è in sintonia con lo stile di riservatezza sui dati personali che caratterizza il monachesimo del Monte Santo.

Una nota storica della terza edizione dei Racconti (1884) spiega come il testo originale sia stato trascritto, presso un monaco di grande abito (skimnik) del Monte Athos, dall’Archimandrita Paisio, del Monastero di San Michele dei Ceremissi presso Kazan’. Ancora nel 1951, lo scrittore russo Sergej Bolshakov ritrovò presso la biblioteca del monastero di San Panteleimone un manoscritto dei Racconti, verosimilmente l’originale, con alcuni passi che furono espunti dalla prima edizione stampata.

Il nucleo originale dell’opera consiste di quattro racconti, che corrispondono al contenuto della prima edizione a stampa. Altri tre racconti, ritrovati tra le carte dello starets Ambrogio di Optina, dal 1930 a oggi sono comunemente aggiunti alle edizioni del libro, anche se probabilmente si tratta di compilazioni di un altro autore. Inoltre, le edizioni attuali sono spesso corredate di una raccolta di testi patristici sul valore della preghiera, menzionati nel testo dei Racconti.

In questo breve saggio ripercorreremo i movimenti del pellegrino, cercando di captare gli indizi che dimostrano gli influssi spirituali del Monte Athos sulla Russia del XIX secolo, e attraverso quest’ultima sul mondo intero.

I viaggi del pellegrino

Durante la lettura in una chiesa della prima lettera ai Tessalonicesi, il passo che dice “pregate incessantemente” (1Ts 5,17) è di stimolo al protagonista dei Racconti per approfondire il proprio rapporto con la preghiera. Incuriosito, e quasi tormentato, dalla prospettiva di riuscire a realizzare uno stato di orazione continua, il protagonista si sforza di trovare una guida che lo introduca all’arte della preghiera.

Vale la pena menzionare un parallelo tra questo episodio della vita del pellegrino e la vocazione all’ascesi monastica di Sant’Antonio il Grande, chiamato alla vita nel deserto egiziano dall’ascolto in chiesa del brano evangelico sulla perfezione del discepolo di Cristo.

Ha inizio a questo punto un cammino che è al tempo stesso viaggio nello spazio dell’Impero russo e nelle profondità dell’anima del protagonista. L’inadeguatezza delle prime spiegazioni mette il pellegrino in uno stato di costante ricerca di un punto di riferimento spirituale, e la ricerca conduce in breve tempo all’incontro con uno starets (letteralmente, un anziano: in questo caso, si tratta di un monaco di un eremo isolato). Questi spiega al pellegrino i primi rudimenti della preghiera mentale continua, gli offre la formula della preghiera da recitare: “Signore Gesù Cristo, abbi misericordia di me” (nell’originale, “Gospodi Iisuse Hriste, pomiluj mja“), e lo guida nei suoi primi sforzi personali. Inoltre, gli dona un libro che gli sarà compagno di viaggio e manuale prezioso nel suo cammino. Si tratta della Filocalia (dal greco, “amore del bello”), la più celebre raccolta di testi patristici sulla preghiera.

Il contatto del pellegrino con il padre spirituale viene bruscamente interrotto dalla morte di quest’ultimo, ma prosegue sotto forma di segni, ispirazioni, visioni nel sogno, mentre il pellegrino vive una serie di eventi e di incontri, tutti letti nella chiave della crescita interiore. Sia gli incontri con saggi e benefattori, sia quelli con malviventi e avversità personali, sono tutti a modo proprio edificanti, e offrono un quadro avvincente della grandezza dell’anima russa.

Il libro, nel suo stile semplice e accattivante, ha un immenso valore di divulgazione della pratica ortodossa della preghiera, e per quanti sono all’oscuro della preghiera mentale, non esiste guida migliore. Una prova è l’accettazione quasi universale del valore di questo libro anche tra i cristiani non ortodossi, oltre che tra varie persone in travagliata ricerca spirituale: quasi un compito profetico di irradiazione di un preciso insegnamento spirituale in un tempo di globalizzazione delle proposte religiose.

Soprattutto, i Racconti valorizzano al meglio la pratica della preghiera nella vita dei laici: tutto il loro messaggio dimostra come si possa percorrere un cammino di ascesi cristiana anche se non si vive sotto una stretta regola monastica.

Gli strumenti nelle mani del pellegrino sono quelli che qualsiasi cristiano può riuscire a possedere e mantenere con sé anche nei momenti di maggiore pericolo:

– la Bibbia, ricca di insegnamenti diretti sulla pratica e il valore della preghiera: uno dei Raccontiaggiuntivi (il quinto) suggerisce la lettura delle Sacre Scritture in chiave di ricerca di insegnamenti sulla preghiera, e ne offre numerosi esempi tratti dal Nuovo Testamento;

– la Filocalia, che spiega alcuni dei passi scritturali più oscuri attraverso la pratica e l’esempio dei Santi Padri della Chiesa;

– una corda da preghiera, strumento per segnare il ritmo dell’orazione; e per finire,

– il testo stesso della preghiera, che è anche visto come una professione di fede e un compendio delle Sacre Scritture. È ancora il quinto dei Racconti che spiega il testo della preghiera nella chiave di lettura di una confessione di fede.

In modo provvidenziale, i Racconti situano la crescita spirituale nel contesto umile e sobrio di una sana cultura popolare, cosa che offre un antidoto contro qualsiasi strumentalizzazione della preghiera. Proprio per questo offrono a tutti un genuino contatto con l’Ortodossia, anche se l’orizzonte dei viaggi del loro lettore è molto più piccolo delle distese dell’antico impero russo, e anche se il lettore non ha a disposizione la guida personale di padri saggi ed eruditi.

È altrettanto interessante cercare di rintracciare le influenze spirituali che hanno favorito il particolare clima nel quale ha avuto luogo la vicenda del pellegrino. Possiamo facilmente iniziare il nostro viaggio alle fonti a partire dal testo patristico che ha introdotto il pellegrino nel suo viaggio interiore: la Filocalia.

Influssi spirituali sui Racconti

Il testo che viene messo nelle mani del pellegrino dal suo padre spirituale, e che si rivela nel corso dei suoi viaggi una fonte inesauribile di insegnamento, è una raccolta di opere di Padri della Chiesa orientale vissuti all’incirca nell’arco di un millennio. È bene notare che la Chiesa otodossa non fa una distinzione storica tra una “età dei Padri” (antica) e un periodo posteriore, ma anzi insegna che ogni persona che esprime la vera fede della Chiesa, in qualsiasi età (anche quella presente), può essere annoverata tra i Padri della Chiesa.

Le prime edizioni a stampa della Filocalia sono frutto di sforzi redazionali avvenuti al Monte Athos, benché i luoghi delle edizioni siano più lontani. La Filocalia greca, opera dei santi Nicodemo l’Aghiorita e Macario, Metropolita di Corinto, è stampata a Venezia nel 1793. Nello stesso anno, la tipografia sinodale di Mosca prepara il primo volume della versione in lingua slavonica dellaFilocalia (Dobrotoljubie), frutto dei lavori di traduzione di San Paisio Velickovskij (1722-1794).

Sicuramente è questo volume in lingua slavonica ecclesiastica che il pellegrino russo riceve dal suo padre spirituale (la prima edizione in lingua russa, opera del Santo Vescovo Teofane il Recluso, esce a Mosca nel 1889, quasi un trentennio dopo la pubblicazione dei Racconti). Il lavoro di traduzione di San Paisio Velickovskij (ucraino di nascita, ma athonita di adozione) aveva coinciso con l’opera del suo contemporaneo, San Nicodemo l’Aghiorita. Entrambi i santi sono esponenti di movimenti di risveglio monastico, particolarmente marcato nel caso di San Paisio, la cui influenza spirituale investe in fasi successive la Romania (spostandosi successivamente in Bessarabia nelle sue forme più rigorose), l’Ucraina e la Russia.

Proprio attraverso questo risveglio del monachesimo russo (in ripresa, all’inizio del XIX secolo, dai colpi della secolarizzazione inflitti dallo Tsar Pietro I), arriva insieme al testo della Filocalia tutta la tradizione spirituale athonita. Nascono nuovi centri di irradiazione monastica, primo tra i quali il Deserto di Optina (presso Brjansk). Proprio tra i monaci di Optina (ispiratori delle figure spirituali dei romanzi di Dostoevskij) si ritrovano indizi di conoscenza personale del pellegrino dei Racconti, i cui legami con la spiritualità monastica di origine athonita sembrano quindi fuori di ogni dubbio.

I tratti principali del movimento monastico che dal Monte Athos arriva fino al nostro pellegrino si possono ritrovare, ripettivamente, nella vita e nell’insegnamento di San Paisio e degli anziani di Optina, e nelle regole monastiche da loro complilate e applicate. L’enfasi sulla pratica della continua preghiera di Gesù e sull’obbedienza a un anziano o padre spirituale sono riflessi neiRacconti in un modo che non lascia dubbi sulla loro provenienza.

Abbiamo quindi un quadro preciso, dal punto di vista delle fonti storiche e letterarie, di un influsso spirituale che parte dal Monte Athos per incarnarsi nella vita e nei viaggi del pellegrino russo. In seguito, grazie alla trascrizione dei racconti eseguita al monastero athonita di San Panteleimone, questo influsso sembra quasi voler tornare a fare un tuffo nella propria sorgente, prima di ripresentarsi al mondo sotto forma di uno dei più bei libri di insegnamento spirituale mai apparsi nella storia.

 

La conversazione di un uomo con Dio

Una parabola – la conversazione di un uomo con Dio
Смысл жизни (Smysl zhizni, “Il senso della vita”)
Ho chiesto a Dio di togliermi l’orgoglio, e Dio mi ha risposto: “No! Non posso toglierti io l’orgoglio; devi rinunciarvi tu stesso”.

 

Ho chiesto a Dio di donarmi la pazienza, e Dio ha risposto: “No! Non posso darti così semplicemente la pazienza; ti arriverà sopportando le prove.

 

Ho chiesto a Dio di darmi la felicità, e Dio ha detto: “No! Io posso darti una benedizione; ma sta a te decidere te sei felice o no.

 

Ho chiesto a Dio di risparmiarmi il dolore, e Dio ha detto: “No! La sofferenza ti aiuta a ricordarti di Dio, e ad avvicinarti a lui”.

 

Ho chiesto forza, e allora Dio mi ha mandato prove per rafforzarmi.

 

Ho chiesto sapienza, e allora Dio mi ha mandato problemi; ho imparato come risolverli.

 

Ho chiesto a Dio di insegnarmi ad amare gli altri così come egli mi ama. Dio ha detto, “Ora capisci ciò che devi chiedermi”, e mi ha mandato persone che avevano bisogno del mio aiuto.

 

Anche se non ho ricevuto nulla di quel che volevo, ho avuto tutto ciò di cui avevo bisogno!

Predica sulla “veglia in piedi di santa Maria”

Predica sulla “veglia in piedi di santa Maria”


Come rafforzarci con il Grande Canone

dell’arciprete Andrei Lemeshonok

 

La “veglia in piedi di santa Maria” – così si chiama la funzione alla vigilia della Passione di Cristo. La vita che conduciamo è insipida, senza sale. Sappiamo tutto in anticipo, progettiamo tutto, facciamo calcoli. In questa vita non c’è incontro miracoloso con Dio, non c’è pentimento di quel tipo di cui abbiamo sentito oggi leggendo la vita di Santa Maria Egiziaca. Sembra che tutto ciò sia avvenuto tanto tempo fa… Ma come può accadere questo oggi, nel nostro mondo? Come può accadere a me personalmente, quando io so tutto, capisco tutto e mi sembra che Dio sia in qualche luogo molto lontano? Ma la questione è esattamente questa: Dio è vicino, e siamo noi a essere lontani da lui! Per questo sono così importanti per noi le gocce di rugiada spirituale, che ci offre oggi la Chiesa – la lettura intera del canone penitenziale di sant’Andrea di Creta e della vita di santa Maria Egiziaca. Questa è una funzione meravigliosa, che dovrebbe rafforzarci. Ci siamo abituati a una vita commisurata con la nostra esperienza, e non abbiamo il coraggio di parlare di lotta e di vittoria sul peccato. Eppure vediamo che esiste un Dio e che la grazia dello Spirito Santo, rafforza e ripristina la persona che si pente. Sentiamo le parole di san Simeone il Nuovo Teologo, su come il vero pentimento ripristina la verginità nell’uomo. In effetti, è un miracolo quando una persona rifiuta il peccato e appartiene completamente a Dio! Questo miracolo può avere luogo nella vita di ogni persona. Ma oggi vediamo un quadro completamente diverso: rese di conti, parole dure, insulti, accuse, autocommiserazione – non c’è consapevolezza della nostra colpa davanti a Dio. Quando andiamo alla confessione, noi non vediamo Cristo, ma semplicemente un sacerdote umano, e iniziamo conversazioni umane in cui le nostre parole non hanno la bellezza di pentimento. Dopo tutto, il pentimento è cambiamento, è la nostra trasformazione da parte del Signore.

Vorrei che imparassimo a stare nel tempio, che imparassimo a prendere parte alle funzioni e ai misteri di Cristo, in cui l’anima viene rinnovata. L’anima deve continuamente ricevere un aiuto pieno di grazia per combattere la guerra con il mondo del peccato e della tentazione. Dio voglia che nel tempo che ci rimane prima di Pasqua, non perdiamo lo spirito, di cui c’è ancora una goccia in noi. Lo spirito è molto facile da perdere: una sola parola, un solo pensiero, una sola offesa, un solo giudizio può farci perdere il contatto con Dio. Questa è una condizione terribile. Abbiamo bisogno di essere svegli e attenti – a cosa guardiamo, a come parliamo, a come ci comportiamo – tutto in noi deve essere bello e spirituale. non siamo venuti in chiesa solo per guardare i volti dei santi, e per contemplare la loro bellezza. In tutti i santi splende la luce di Cristo. Ma abbiamo bisogno di diventare noi stessi come loro per avvicinarci a ciò che è santo, per essere in grado di salvaguardare questa santità nel nostro cuore e condividerla con i nostri vicini.

Quanto amore, quanta cura, quanta misericordia di Dio si riversa su tutti noi! Quante volte abbiamo toccato la fonte immortale della vita, il calice di Cristo! E perché siamo così spesso come recipienti che gocciolano, e perdono questa grazia? Affrontiamo passioni, tristezza, disperazione, mormorazione – tutto diventa un muro dietro al quale non possiamo vedere il nostro prossimo o Dio. Dobbiamo abbattere questo muro in ogni tempo. San Serafino di Sarov portava pietre sulla schiena, dicendo: “Tormento ciò che mi tormenta”. Dovremmo sempre ricordare che il nemico è vicino. Non dovremmo aver fiducia in noi stessi, ma cercare l’aiuto di Dio e le sue benedizioni su ogni passo della nostra vita.

La preghiera a casa durante la Quaresima

La preghiera a casa durante la Quaresima
Arciprete Sergej Chetverikov (+1947)

 

Nella situazione contemporanea dei fedeli ortodossi, che spesso sono completamente tagliati fuori dalla chiesa di Dio, che non hanno la possibilità di sperimentare in sé l’influsso benefico delle funzioni della chiesa e tutta l’atmosfera di preghiera della chiesa, è molto importante creare, anche nella propria solitudine, un po’ di somiglianza con l’atmosfera ecclesiastica. Come si può fare?

Prima di tutto, occorre sistemare un posto speciale per la preghiera. Nella vostra casa, magari accanto al letto, sono appese due o tre icone e una lampada da vigilia è accesa davanti a loro… È indispensabile stabilire un ordine permanente di preghiera a casa. Selezionate una regola di preghiera – la sera, la mattina e durante il giorno. Fate in modo che la regola non sia troppo lunga, in modo che non vi stanchi a causa della novità dell’esperienza. La regola deve essere sempre osservata con timore, sforzo e attenzione. Anche in questo caso saranno richiesti alcuni elementi esterni: stare in piedi, fare prosternazioni, stare in ginocchio, fare il segno della croce, la lettura… Più spesso si prega in questo modo, meglio è. È bene abituarsi a una preghiera del genere, in modo che al principio, si accende subito lo spirito di una persona. Bisogna pregare semplicemente: alzandosi per pregare, dire le preghiere con timore e tremore, come all’orecchio di Dio, accompagnando la preghiera con il segno della croce, prosternazioni e inchini. La regola adottata deve essere sempre compiuta, senza eccezioni.

Ci sono diversi gradi di preghiera: il primo grado è la preghiera fisica, che consiste principalmente nella lettura, nello stare in piedi, nel fare prosternazioni; l’attenzione oscilla, il cuore non è sensibile, non vi è alcuna inclinazione verso la preghiera: sono necessarie fatica e pazienza, questa è la preghiera attiva . Il secondo grado è la preghiera attenta: la mente si abitua a concentrarsi nelle ore di preghiera e a pronunciare la preghiera intera senza distrazione. Il terzo grado è la preghiera del sentimento: il cuore si riscalda con il sentimento, e ciò che prima si pensa diventa sentimento. Uno che ha raggiunto questo sentimento prega senza parole, perché Dio è il Dio dei cuori.

Leggete la Parola di Dio, il Nuovo Testamento, e prima di leggere rivolgetevi a Dio in preghiera, perché il Signore vi possa aiutare a capire, accettare e mettere in pratica quello che avete letto. Non fatevi spaventare dall’ascesi, dallo sforzo, dal digiuno, dalla preghiera e dall’astinenza a cui la Chiesa vi chiama. Tutto questo è noioso e pesante solo quando è fatto senza memoria di Cristo, ma quando è fatto in nome di Cristo, con fede e amore, allora il giogo diventa facile e il fardello diventa luce…

Che il Signore ci aiuti a compiere bene il percorso della Grande Quaresima in modo da poter degnamente adorare la gloriosa Risurrezione!

Che cose’è l’ANTIMENSIO

Che cos’è l’ANTIMENSIO
dal blog dello ieromonaco Petru (Pruteanu), 10 dicembre 2009
L’antimensio (αντί – “invece di” e μίνσος – “mensa“, “tavola“) è un pezzo rettangolare di tela di lino o di seta (con lati di 40-60 cm), che si trova al centro della tavola della santa mensa sulla quale si celebra la Divina Liturgia.

Al centro dell’antimensio è stampata la scena della deposizione dalla croce e nella tomba del corpo del Salvatore. Negli angoli sono dipinti i volti dei quattro evangelisti. nella parte inferiore è l’iscrizione con la menzione del patrono della chiesa per la quale è dato l’antimensio, la data e la firma del gerarca che lo ha dato. Sul retro dell’antimensio, in una piccola tasca, è cucito un pezzo delle reliquie di un santo martire.

L’origine degli antimensi è molto complessa ed è legata a due fasi diverse: quella pre-iconoclasta e quella post-iconoclasta.

Si sa che in epoca pre-iconoclasta esisteva l’abitudine (non generalizzata e non vincolante) di mettere particole di reliquie dei martiri nella santa mensa. Questa pratica è radicata nel cristianesimo primitivo, specialmente nei tempi di persecuzione, quando per il luogo della santa erano preferiti i sepolcri dei martiri. Quest’abitudine si riflette oggi nell’officio di consacrazione di una chiesa, in cui si devono mettere nella santa mensa particole di reliquie di martiri. [1]

Un’altro elemento di storia dell’antimensio è legato in particolare alla chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli. Là esisteva l’usanza di comunicarsi ai santi misteri in molti luoghi (a causa del gran numero di cristiani); quindi, in quei luoghi si mettevano alcune tavole di legno consacrate, il cui nome era antiminsos. Il nome dimostra chiaramente il fatto che esse erano destinate a sostituire la santa mensa (centrale). [2] Questa usanza è stata presa in prestito anche da altre chiese.

Non molto tempo dopo, non si consacravano più le rispettive tavole, ma si poneva sopra di loro un velo consacrato, che ha ricevuto lo stesso nome di antimensio. Anche in questi veli si è cominciato a porre particole di reliquie – per mostrare la fede nelle sante reliquie (molto importante soprattutto dopo l’anno 787/843), ma anche questa regola non era obbligatoria, specialmente se nella santa mensa erano già presenti sante reliquie. [3]

La moltiplicazione di chiese costruite da diversi governanti bizantini ha introdotto il concetto di “cappella privata.” In questi casi, non si consacravano più le sante mense “secondo l’ordine completo”, ma vi si ponevano questi veli che avevano anche la firma del gerarca, che dava in tal modo autorità canonica all’antimensio. [4]

Pertanto, agli inizi gli antimensi si utilizzavano solo nelle cappelle private [5] e nelle chiese con una santa mensa non consacrata (senza sante reliquie), ma a partire dal XVII secolo l’uso degli antimensi è stato esteso alle con una santa mensa consacrata, probabilmente più per ragioni pratiche, per raccogliere più facilmente le particole della comunione, ma anche per ragioni canoniche e amministrative, poiché gli antimensi dovevano obbligatoriamente essere firmati dal vescovo del luogo, e il ritiro dell’antimensio significava la sospensione del diritto di servire la Santa Liturgia nella chiesa in questione. [6]

Il santo antimensio è sempre avvolto in un panno rosso, chiamato iliton. L’iliton (dal greco ειλιτόν, che significa “avvolgere”) (ειλιτόν) è leggermente più grande del santo antimensio e serve per avvolgerlo. Attualmente, nella celebrazione della Divina Liturgia, l’iliton e l’antimensio si aprono all’ectenia per i catecumeni, ma nell’antichità si apriva solo l’iliton, poco prima dell’inno cherubico – per gli stessi scopi pratici uguali a quelli di oggi, mentre l’antimensio (fino al XVII) stava sempre parto sotto alla copertura (inditia) della santa mensa, e non in vista come oggi.

Il santo antimensio simboleggia la sindone della sepoltura, e l’iliton – il velo che con cui è stato avvolto il capo del Salvatore.

 

I dieci comandamenti

 

I dieci comandamenti
Fondamento della vita e dell’etica cristiana

(Esodo  20:2-17)

1. Io sono il Signore, tuo Dio: non avrai altri dei di fronte a me.

2. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prosternerai davanti a loro e non li servirai.

3. Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio.

4. Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato – giorno del riposo – in onore del Signore, tuo Dio.

5. Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio.

6. Non uccidere.

7. Non commettere adulterio.

8. Non rubare.

9. Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo.

10. Non desiderare la moglie del tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo.

 

55 massime

 

55 massime
di padre Thomas Hopko
Sii sempre con Cristo.
Prega come puoi, non come vuoi.
Usa una regola di preghiera che puoi mantenere con disciplina.
Cerca di dire il Padre Nostro diverse volte al giorno.
Ripeti costantemente una breve preghiera quando la tua mente non è occupata da altre cose.
Fai qualche prosternazione mentre preghi.
Mangia con moderazione.
Mantieni le regole di preghiera della Chiesa.
Passa qualche tempo in silenzio ogni giorno.
Fai gesti di misericordia in segreto.
Vai regolarmente alle funzioni liturgiche.
Vai regolarmente alla confessione e alla comunione.
Non perderti in pensieri e sentimenti invadenti. Tagliali via appena sorgono.
Rivela tutti i tuoi pensieri e sentimenti a una persona fidata.
Leggi le Scritture regolarmente.
Leggi buoni libri un poco alla volta.
Coltiva un rapporto di comunione con i santi.
Sii una persona ordinaria.
Sii educato con tutti.
Mantieni pulizia e ordine nella tua casa.
Cerca di avere un passatempo sano e costruttivo.
Fai regolarmente esercizio fisico.
Vivi ogni giorno e momento volta per volta.
Sii del tutto onesto, prima di tutto con te stesso.
Sii fedele nelle piccole cose.
Fai il tuo dovere, e poi dimenticatene.
Fai prima le cose più difficili e dolorose.
Affronta la realtà.
Sii grato in tutte le cose.
Sii allegro.
Sii semplice, nascosto, quieto e umile.
Non attirare mai l’attenzione su te stesso.
Ascolta quelli che ti parlano.
Sii sveglio e attento.
Pensa e parla non più di quanto è necessario.
Quando parli, fallo in modo semplice, chiaro, fermo e diretto.
Tieniti lontano dall’immaginazione, dalle analisi, dalle deduzioni.
Fuggi i pensieri carnali e sensuali alla loro prima comparsa.
Non lamentarti, lagnarti, borbottare o mormorare.
Non paragonarti a qualcun altro.
Non cercare o aspettarti lode o commiserazione da chiunque.
Non giudicare alcuno per alcun motivo.
Non cercare di convincere alcuno.
Non difendere o giustificare te stesso.
Lasciati definire e limitare solo da Dio.
Accetta le critiche con gratitudine, ma mettile criticamente alla prova.
Dai consigli agli altri solo quando ti è richiesto o quando sei obbligato.
Non fare per gli altri nulla di ciò che potrebbero e dovrebbero fare da soli.
Fatti una routine di attività giornaliere, evitando velleità e capricci.
Sii misericordioso con te stesso e con gli altri.
Non avere aspettative se non di essere tentato fino al tuo ultimo respiro.
Focalizzati solo su Dio e sulla luce, non sul peccato e sulle tenebre.
Sopporta in pace, serenamente il giudizio su te stesso e le tue colpe e peccati, sapendo che la misericordia di Dio è più grande della tua miseria.
Quando cadi, rialzati immediatamente e ricomincia da capo.
Fatti aiutare quando ne hai bisogno, senza paura e senza vergogna.

Padre Thomas Hopko (nato nel 1939 a Endicott, nello stato di New York, è un arciprete di origine carpato-russa nella Chiesa Ortodossa in America. Ordinato prete nel 1963, ha insegnato teologia dogmatica al St Vladimir’s Orthodox Theological Seminary dal 1968 al 2002, e dal 1992 al 2002 è stato il decano del seminario.

In numerose occasioni, come docente e conferenziere, padre Thomas è stato chiamato a spiegare il punto di vista della Chiesa Ortodossa su diverse questioni teologiche, morali e sociali.