О приходе

Наш приход

История нашего прихода начинается с 2008 года, когда группа православных верующих из города и провинции Александрия выступила с инициативой обратиться к Высокопреосвященнейшему Иннокентию, архиепископу Херсонесскому, управляющему храмами Московского Патриархата в Италии, с просьбой отправить священника в Александрию для совершения богослужения. По благословению Его Высокопреосвященства отец Игуминус Андреа (Вадэ), который в то время был священником прихода Московской Патриархии в Турине, был назначен приходским священником Александрии. Первый праздник Пасхи он отпраздновал в Александрии и долго приезжал к нам, пока не стал основывать православный монастырь Сан-Маманте (мученик Кесарийский, ок. 275 г.) в Тоскане, а также служить православному приходу Пистойи.

В нашем приходе служил и окормлял паству долгие годы отец, священник Виктор Матвеев, который также совершает служение в православном приходе Московского Патриархата в Турине. К сожалению, он мог приезжать к нам только раз в месяц, потому что туринский приход очень многочисленный и все остальное время требует присутствия отца Виктора
Тот факт, что мы не в православной стране, объясняет, почему здесь очень не хватает священников для присмотра за верующими. Поэтому мы очень были рады возможности совершать Литургию, пусть и только раз в месяц.

В ноябре 2018 года по благословению епископа Богородского,Викария Патриаршего экзарха в Западной Европе Амвросия ,в наш приход был поставлен на служение настоятелем, протоиерей Георгий .На тот момент мы находились в одном католическом приходе,где нам разрешали совершать богослужения после католиков. Отец Георгий понимал что нашему приходу нужна своя церковь и пытался договориться с католическим епископатом, чтобы нам предоставили хоть какую-нибудь церквушку,но нам не давали из-за того что наш приход был малочисленным,и потом Божьим промыслом ,батюшке Георгию предложили эту церковь. Она принадлежит итальянской семье Pozzi-Campanella,(с подробной историей этой церковью я опишу в отдельной рубрике “О Храме”). И 2 марта 2019 года мы переехали в эту церковь.3 марта совершили первую Божественную Литургию.,а 9 марта начался локдаун в канун начала Великого поста.Отец Георгий совершал весь пост служение в нашей церкви ему в этом помогали малое количество прихожан ,которые несмотря ни на что приходили и молились в храме . Отец Георгий был вынужден по семейным обстоятельствам вернуться в Молдавию в октябре 2021. И снова нашему приходу Бог послал испытание в вере. Мы попросили благословения у Батюшки совершать служение мирским чином ,и было очень нелегко ,особенно в начале . Но Бог даёт и силы и возможность преодолеть любые испытания,когда мы остались без священника ,это сплотило и обьеденило еще больше нас всех в молитве ,и спустя 3 месяца к нам приехал протоиерей Сергий ,который на данный момент ,и окормляет наш приход.
Слава Богу за все!

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Несколько слов о городе Александрии, где находится наш приход.

Город Алессандрия расположен в Северной Италии, в регионе Пьемонт, на берегу реки Танаро, в 90 км к юго-востоку от Турина и в 90 км к югу от Милана.

Александрия была основана в 1168 году. В 1170 году здесь была построена первая церковь.

Orari di funzioni

 

 

                Divina Liturgia  ogni Domenica 

Orari :le ore terza e sesta -9.00                                          

            Inizio Liturgia-10.00                                                                                                            

       Venerdì:acatisto Pantanassa-14.00

      Sabato:serale -14.00

                     

                              

 

        

Note di viaggio di una coppia italorussa
Febbraio 2015
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La scorsa estate, io e mia moglie abbiamo avuto la fortuna di trascorrere una lunga vacanza nella Russia occidentale. In poco più di due settimane, abbiamo visitato Mosca e gran parte dell’Anello d’Oro, la cerchia di antiche città ad est della capitale che custodisce alcuni fra i monumenti più antichi del Paese. Mia moglie è ortodossa, così il nostro viaggio, a metà fra la scoperta di tesori d’arte ed il pellegrinaggio, ci ha portato vicino al cuore della religiosità russa. Un aspetto poco conosciuto in Occidente, dove sono molto più noti gli stereotipi del periodo comunista e dell’ateismo di stato. Eppure la recente epoca sovietica non è durata che 70 anni, mentre la storia della Russia cristiana affonda sino a dieci secoli fa, ed ha molto da raccontarci. Le righe che seguono non pretendono di essere una guida turistica: chiunque può trovare di molto meglio in qualunque libreria. Si tratta piuttosto di una raccolta delle sensazioni che ci siamo portati a casa dai nostri giorni in Russia, e che speriamo facciano nascere anche in altre persone il desiderio di scoprire questo immenso ed affascinante Paese, ed il suo popolo.

Visitando Mosca, uno dei primi aspetti che ci ha colpito è la difficoltà di trovare le sue chiese nel paesaggio urbano. Ci sono, ma è difficile coglierle con lo sguardo, sentire il suono delle loro campane, perché spesso sono strette fra grattacieli di 20 o 30 piani. È una sensazione strana soprattutto per noi italiani, abituati a vedere, nelle grandi metropoli come nei piccoli centri, le cupole ed i campanili delle chiese svettare più in alto di tutti gli edifici e definire il profilo della città. A Mosca, i giganti di calcestruzzo sono spesso costruiti a pochi metri dagli edifici sacri, in un modo che farebbe rabbrividire qualunque urbanista, ma forse non casuale: forse i pianificatori edilizi sovietici, costruendo questi edifici enormi proprio davanti alle chiese, piccole e raccolte, volevano dimostrare in modo visivo il trionfo dell’uomo “nuovo” sovietico e della sua tecnica sui vecchi culti ereditati dal passato. Eppure a tratti queste chiese dalle cupole sgargianti ci sono sembrate come piccoli organismi, ma vivaci e pulsanti, che sapranno sopravvivere ai secoli meglio dei grigi giganti che le circondano.

Fig. 1: grattacielo costruito dirimpetto ad un’antica chiesa a Mosca, via Novij Arbat.

Ma anche se immerse nella “giungla” urbana di cemento, queste chiese sono state le più fortunate. Visitando il centro storico di Mosca, come delle altre principali città russe, è facile imbattersi in targhe o piccoli monumenti che commemorano altre chiese un tempo edificate in quei luoghi, che oggi non esistono più perché distrutte dal regime comunista. Nella sola zona centrale di Suzdal’, che ha subito meno di altri luoghi la furia demolitrice, nel 1917 esistevano oltre sessanta chiese: solo 45 sono giunte sino a noi. Il piccolo monumento in cui ci siamo imbattuti, mentre ci recavamo a piedi al Cremlino, ricorda una chiesa che si trovava nei pressi dell’attuale stazione Arbatskaja della metropolitana di Mosca.

Fig. 2: una volta, al posto della stazione “Arbatskaja” della Metropolitana di Mosca, esisteva una chiesa.

Molto spesso, quando non sono state completamente demolite, le chiese hanno comunque subito danni gravissimi all’iconostasi, agli affreschi ed alle altre decorazioni interne. Non in pochi casi, i luoghi di culto sono stati profanati con le destinazioni d’uso più disparate, dalle autorimesse ai granai, dai penitenziari ai teatri-cinema, fino ai “musei dell’ateismo”.

La demolizione e la profanazione delle chiese, dalle grandi cattedrali alle piccole parrocchie di campagna, sono state autentiche ferite nel tessuto storico della Russia: come sempre succede quando un potere dispotico cerca di cancellare il passato, considerato “scomodo”, distruggendone i simboli tangibili. Ma i monumenti e la storia che essi raccontano sono una parte fondamentale che le generazioni precedenti lasciano alle successive, un patrimonio che aiuta i popoli ad identificarsi ed a rispondere alla domanda: “Chi siamo”? Così, una volta caduto il regime comunista, la Russia ha iniziato a recuperare i legami col passato pre-rivoluzionario e molte chiese distrutte durante il periodo sovietico siano state ricostruite: a Mosca ne sono esempi eclatanti la Cattedrale di Cristo Salvatore e la Cattedrale dell’icona di Kazan della Madre di Dio, ma la ricostruzione di edifici di culto distrutti o danneggiati ha riguardato quasi ogni città del Paese.

Fig. 3: cattedrale dell’icona di Kazan della Madre di Dio, Mosca, Piazza Rossa.

Nel recupero dei luoghi sacri sopravvissuti al periodo comunista, si è operato in modo che gli affreschi e l’iconostasi somigliassero il più possibile agli antichi originali, andati perduti. Ma anche laddove nuove chiese sono state edificate senza che vi fosse uno specifico edificio preesistente da ripristinare, sono sempre stati fedelmente seguiti modelli architettonici e decorativi tradizionali. In poche parole, è impossibile trovare in Russia una chiesa ortodossa volutamente costruita con uno stile architettonico e decorativo “contemporaneo”, stile che, semplicemente, non esiste. Ciò nonostante, in mille anni di cristianesimo, l’arte di edificare chiese in Russia ha conosciuto tendenze diverse, dai primi edifici vicinissimi al modello bizantino, al barocco, al neoclassico, ed altri ancora: un’ipotesi è che in questi anni il popolo russo stia ancora attraversando una fase di “ricucitura” con la sua storia, dopo lo strappo dei decenni sovietici; le scelte architettoniche “prudenti” nell’edificazione delle chiese, il più possibili simili ai modelli dei secoli passati, potrebbero essere espressione proprio del desiderio di recuperare una tradizione che sembrava persa per sempre.

Rimane comunque la curiosità di vedere, un giorno, scelte architettoniche nuove ed originali nella costruzione dei luoghi di culto: un auspicio che ha recentemente manifestato l’arcivescovo Mark, commentando lo stato di avanzamento del programma di costruzione di nuove chiese nella città di Mosca.

Fig. 4: cattedrale di Cristo Salvatore, Mosca, sulla sponda della Moscova.

Fig. 5: cattedrale della Dormizione della Madre di Dio, Lavra della Trinità di San Sergio, Sergiev Posad.

Un aspetto di notevole fascino è la continua commistione fra i segni della riscoperta tradizione cristiana da un lato, e dall’altro i lasciti del passato comunista. Questi contrasti si possono osservare in qualunque città: a Murom i due principali monasteri, uno maschile ed uno femminile, si trovano all’angolo con la via dedicata a Vladimir Il’ič Ul’janov, più noto come Lenin. Ed in nessuna metropoli, come nei piccoli centri, manca una via o una piazza dedicata al leader della rivoluzione d’Ottobre, così come non mancano le sue statue. Anche appena saliti in aeroplano, falce e martello fanno capolino al centro del simbolo dell’Aeroflot: tutto questo, magari, dopo aver sostato presso la cappella di San Nicola, inaugurata da pochi anni nell’aeroporto di Sheremetyevo. Ed è naturalmente Mosca il luogo in cui tali contrasti si fanno più forti, dove nel giro di un isolato ci si può imbattere in un monastero appena restaurato, e nelle targhe dedicate a Gramsci o ad Ho Chi Min. È notevole veder risorgere i luoghi di culto lungo le vie dedicate agli uomini ed all’ideologia che hanno speso decenni a sradicare la religione, lasciandosi purtroppo alle spalle innumerevoli martiri: se ne ricava una sensazione strana, come se in Italia un monumento ai partigiani fosse  edificato in una piazza dedicata a Mussolini.

Fig. 6: iconostasi nella chiesa del  profeta Elia, Yaroslavl’.

Il rapporto del popolo russo con la religione difficilmente conosce mezze misure: si incontrano fedeli devoti e ferventi, che credono in un modo molto difficile da riscontrare in Europa occidentale; oppure persone che sono indifferenti alla religione, quando non ostili. Questo è molto diverso dalla realtà cui siamo abituati in Italia, dove da un lato (per ora) si può trovare almeno un tenue sentimento religioso in larga parte della popolazione; mentre dall’altro il rapporto con il sacro è generalmente più distaccato e “freddo”.

I fedeli russi vivono la fede in modo incredibilmente forte e partecipano con tutti loro stessi alle preghiere ed alle liturgie; si potrebbe dire che “si abbandonano” a Dio, dimenticano gli orari, i ritmi e gli impegni della vita di tutti i giorni, dedicandosi con tutto il cuore alla preghiera. Ci è capitato di partecipare a funzioni in cui le persone non sapevano quanto sarebbero durate, ma nessuno sembrava preoccuparsene. È un atteggiamento che deve essere visto di persona, e l’ideale è sperimentarlo visitando i luoghi di pellegrinaggio, ad esempio i monasteri.

Ci sono sicuramente molte spiegazioni in merito alla grande forza di attrazione che la Chiesa è tornata ad esercitare sul popolo russo negli ultimi decenni. Si potrebbe dire che la capacità di vivere la propria fede “credendoci” fino in fondo, senza cinismo, senza ipocrisia, sia una caratteristica propria dell’anima russa. Sarebbe anche possibile ricordare che l’anno 0 della storia russa è per molti versi il 988, anno del Battesimo della Rus’: un popolo ed una nazione che sono entrati nella Storia, sono iniziati ad “esistere”, nel momento in cui hanno ricevuto la fede cristiana.

Un ulteriore elemento, che si coglie facilmente visitando il Paese, non va tuttavia trascurato: una serie di circostanze – l’emergenza abitativa provocata dalle immani distruzioni della Seconda Guerra Mondiale, la scarsità di risorse, un clima decisamente non facile – hanno lasciato poco spazio alla fantasia ed al bello fine a sé stesso nella pianificazione urbana. Sono così sorti i grandi palazzi di dieci o venti piani, essenziali, spesso con scarsa manutenzione esteriore, tutti uguali gli uni agli altri, che nell’immaginario occidentale richiamano le città dell’ex blocco comunista. C’è ovviamente un po’ di generalizzazione in questo discorso (ad esempio le città russe, grazie agli ampi spazi disponibili, sono spesso ricche di parchi, giardini e boschi rigogliosi ed estesi che la maggior parte delle città italiane si sognano); ma nell’urgenza di dare un tetto ad ogni famiglia, “l’arredo urbano” è ridotto ai minimi termini, un lusso che solo le città più grandi ed i quartieri più eleganti possono permettersi.

Fig. 7: cappella presso il pozzo del monastero di Tolga, lungo il fiume Volga, presso Yaroslavl’

Rispetto a questo contesto, la Chiesa ed i suoi luoghi sacri rappresentano un contrasto notevole. Nelle grandi città, le parrocchie sono oasi di armonia e di pace, curatissime, quasi sempre circondate da un piccolo giardino con alberi ed aiuole meravigliosamente fiorite. L’effetto è ancora più forte quando si visita un monastero: che si tratti di una Lavra o di una meta di pellegrinaggio meno nota, il pellegrino sarà accolto da costruzioni graziose, giardini, stagni e frutteti curati, vialetti che si snodano sotto l’ombra di grandi alberi, piccole cappelle circondate da fiori. Non ultimo, il pellegrino sarà accolto dalla gentilezza e dal calore di altri fedeli come lui, che hanno scelto di trascorrere parte del loro tempo libero o delle loro vacanze presso il monastero svolgendo le mansioni più disparate, dalla cucina, alla pulizia, alla cura dei giardini. Nel complesso, un contesto armonioso, “a misura d’uomo”, che tocca le corde del cuore dei russi. I fedeli si prendono cura amorevole delle loro parrocchie e dei loro monasteri: in Italia siamo abituati a pensare alla cura delle chiese come alla cura di una delle tante parti del nostro patrimonio storico ed artistico, cui partecipiamo come contribuenti, e di cui per conseguenza si occupa lo Stato, nel rispetto delle norme per la conservazione dei beni architettonici, eccetera eccetera. In Russia la maggior parte degli edifici sacri, fuori dai luoghi più importanti e conosciuti, è stato restituito dallo Stato alla Chiesa meno di trent’anni fa, spesso in condizioni disastrose. Solo la fatica di tanti semplici sacerdoti, monaci e normali fedeli hanno riportato questi luoghi all’antico splendore.

Fig. 8: monastero Pokrovskij, Suzdal’.

Inizialmente, quando leggendo le note di viaggio sono emerse queste considerazioni, non le avevamo prese in considerazione. Ma qualche settimana fa abbiamo ascoltato un’intervista all’Arcivescovo Mark, ancora circa il programma di costruzione di nuove chiese a Mosca: con sorpresa, ha espresso più o meno gli stessi concetti, spiegando quanto era importante per la gente di un quartiere, che ogni giorno vede attorno a sé colossi di cemento tutti uguali che “opprimono l’uomo”, la propria parrocchia, un luogo di preghiera curato ed accogliente. Nei riti religiosi così come nella cura dei luoghi di culto, l’attenzione che i russi riservano al “bello”, alla perfezione formale ci ha molto colpito e dice molto sull’importanza che la fede riveste nelle loro vite.

Vi sono alcuni monumenti, come le cattedrali del Cremlino, che per la loro fama attirano non solo fedeli, ma turisti e appassionati d’arte, più o meno consapevoli, da tutto il mondo. Chi è nato e cresciuto in Italia, è abituato all’idea che una chiesa è sì un edificio sacro, ma anche un bene architettonico, spesso un vero e proprio capolavoro, che come tale è meta di preghiera, ma anche turistica e culturale. Per mia moglie ortodossa, invece, questo “doppio registro” non era affatto scontato: faticavo a suscitare il suo entusiasmo per i meravigliosi affreschi e le iconostasi senza tempo, mentre una miriade di turisti vocianti sciamava attorno alle icone che mia moglie era abituata a venerare in silenzio: per le opere d’arte, in questo caso di arte sacra, ecco il prezzo della “notorietà”. Qualche giorno più tardi, tuttavia, le considerazioni di Padre Arsenij, un sacerdote di Vladimir che ci ha gentilmente accompagnato nella visita delle numerose chiese in quella zona, hanno significativamente cambiato il giudizio sull’utilizzo “turistico” degli edifici sacri: le chiese ed i monasteri che in epoca sovietica sono stati considerati come importante attrattiva turistica sono stati infatti non solo risparmiati dalla distruzione, ma anche oggetto di manutenzione e restauro. Solo grazie a questo oggi li possiamo ancora ammirare in tutto il loro originario splendore.

Fig. 9: interno della cattedrale della Dormizione della Madre di Dio, Cremlino di Mosca. Per la preghiera individuale meglio scegliere destinazioni meno “blasonate”.

Vi sono quindi luoghi che ci ricordano come fino a pochi decenni fa in Russia fosse stato imposto l’ateismo di stato, come l’ex monastero della Trinità a Suzdal (che ora sta rinascendo come convento femminile), o l’ex monastero della Trasfigurazione del Salvatore a Jaroslavl’. Soprattutto dopo aver visitato monasteri pieni di vita e rinascita religiosa, questi luoghi, dentro ai quali può capitare di imbattersi in una palestra o in squallidi venditori automatici di souvenir, mettono davvero nostalgia e ricordano in che stato decenni di persecuzioni avevano ridotto la Chiesa in Russia.

Fig. 10: ex monastero della Trinità, Suzdal’. “Lavori in corso”.

Infine, ci sono gli innumerevoli luoghi di culto fuori dai flussi turistici principali, sparsi in tutto il Paese, ed è qui che si può entrare veramente in contatto con il sentimento religioso dei russi, che vi si manifesta all’improvviso come un fiume carsico, mentre fuori, come in ogni parte del mondo, il traffico e la città sembrano parlare di tutt’altro. Questi luoghi possono essere normali parrocchie di quartiere, spesso recentemente restaurate. Oppure i monasteri, dai più piccoli e raccolti, ai più grandi, dove migliaia di pellegrini accorrono per venerare i santi più importanti della fede ortodossa, spesso trascorrendovi diversi giorni. Diveevo appartiene a quest’ultima categoria, e ci ha lasciato un’impressione molto profonda, un’immersione nella spiritualità russa che non dimenticheremo facilmente; sicuramente anche il modo in cui siamo riusciti a raggiungere questa destinazione così remota ha contribuito a lasciarci un ricordo indelebile.

Fig. 11: parrocchia a Jaroslavl’, lungo il fiume Kotorosl poco prima della confluenza nel Volga.

Persino molti russi non hanno idea di dove sia Diveevo e quali possano essere le buone ragioni per recarvisi: si tratta di un minuscolo villaggio, una manciata di case in mezzo alla sterminata pianura russa, circa 350 km a est di Vladimir. Ma soprattutto è il luogo dove sono conservate le spoglie di San Serafino di Sarov, figura tra le più venerate dell’Ortodossia, soprattutto in Russia. Per raggiungere questo luogo, nelle vicinanze del quale San Serafino ha trascorso la maggior parte della sua vita, i pellegrini percorrono migliaia di chilometri. E noi nel nostro piccolo abbiamo fatto altrettanto.

Trattandosi di un centro così piccolo, non vi sono ferrovie che raggiungono Diveevo direttamente, e la complessità nel mettere insieme coincidenze ferroviarie e collegamenti in autobus ci ha del tutto dissuaso a tentare di raggiungere il santuario con i mezzi pubblici: non restava che noleggiare una macchina. Da Suzdal, la precedente tappa del nostro viaggio, abbiamo quindi raggiunto Vladimir, la città dell’Anello d’Oro più vicina a Diveevo: lì contavamo di noleggiare una piccola automobile, illudendoci che la cosa richiedesse il quarto d’ora scarso cui eravamo abituati in Italia e dintorni.

Fig. 12: cattedrale della Dormizione a Vladimir. Con le sue cupole a forma di elmo, è stilisticamente fra le capostipiti delle cattedrali russe. L’interno conserva alcuni affreschi di Andrej Rublev, ma purtroppo non l’iconostasi, che fu rifatta in stile barocco per ordine di Caterina la Grande. Quando l’abilità politica ed il gusto artistico non vanno a braccetto.

Quest’assunzione si rivelò presto sbagliata: a Vladimir, come nella maggior parte delle città russe all’infuori di Mosca e San Pietroburgo, non operano grandi catene di noleggio auto, ma solo piccoli noleggiatori con un parco veicoli molto limitato, anche solo 3 o 4; comprensibilmente, anche a causa di un quadro normativo ancora poco chiaro in materia, non erano entusiasti di noleggiare una macchina a due stranieri sconosciuti: in un modo o nell’altro, due noleggi su due a cui ci siamo rivolti ci hanno gentilmente consigliato di trovare un altro modo di raggiungere Diveevo. Ma proprio quando il nostro morale era finito sotto i tacchi, mia moglie avanza una proposta che si rivelerà risolutiva: chiedere aiuto al centro pellegrinaggi dell’Eparchia di Vladimir, a poche fermate di filobus da lì.

Sapevamo dell’esistenza del centro pellegrinaggi, anche perché avevamo prenotato una camera proprio presso di loro per fermarci alcuni giorni a visitare Vladimir e dintorni, una volta rientrati da Diveevo: ma non contavamo potesse aiutarci a raggiungere questa destinazione, perché non c’erano pellegrinaggi in programma per quelle settimane. Invece accadde l’impensabile, o forse quello che avremmo sin dal principio dovuto cercare, se non avessimo voluto risolvere tutto da soli: il responsabile del centro pellegrinaggi, un gentile sacerdote parroco della limitrofa chiesa di San Michele Arcangelo, si fa immediatamente in quattro per aiutarci. Prima, con l’aiuto di alcune ragazze che nelle vacanze scolastiche danno una mano ad organizzare i pellegrinaggi, trova un noleggio con un’automobile libera per i prossimi giorni; quindi si attacca alla cornetta con loro, spiegando affabilmente che i due stranieri davanti a lui (che aveva visto per la prima volta in vita sua, 10 minuti prima) altro non erano che due onesti pellegrini, solo non russi ma italiani, desiderosi di raggiungere Diveevo, ma – disdetta! – nessuno voleva noleggiar loro un’auto. I proprietari del noleggio accettano allora di aiutarci, ed il sacerdote chiede ad uno dei suoi collaboratori, il gentilissimo Aleksej, di accompagnarci con la sua auto al noleggio, valige al seguito. Aleksej non solo ci accompagna, ma attende insieme a noi (senza dare il minimo segno di impazienza) per tutte le circa 2 ore e mezza di documenti da fotocopiare, moduli da compilare e fogli da firmare, fino a che non saliamo a bordo del bolide e ci mettiamo in strada verso Diveevo, verso le tre del pomeriggio. Il modo in cui il sacerdote ed i suoi collaboratori ci hanno aiutato sono stati spesso oggetto delle nostre conversazioni nei giorni successivi, si sono messi a nostra disposizione come se non ci fosse urgenza più importante della nostra partenza per Diveevo! Questo episodio racconta molto dell’importanza che ha l’esperienza del pellegrinaggio nella religiosità russa, e nella solidarietà che scatta automatica fra i fedeli verso chi si mette in viaggio verso uno dei luoghi santi di questo sterminato Paese.

Fig. 13: un tratto della strada fra Murom e Diveevo, immersa nei boschi di conifere.

La strada da Vladimir a Diveevo è una bella immersione nel paesaggio russo. Se fossimo stati in Europa, percorrendo gli stessi chilometri avremmo potuto andare dalla Svizzera al Mar Ligure, attraverso Alpi ed Appennini. Qui invece abbiamo guidato per ore in un paesaggio immutabile, campi e boschi leggermente ondulati, punteggiati da piccoli insediamenti agricoli e da poche grandi strutture industriali. Finché, al calar della sera, iniziamo a scorgere in lontananza le grandi cattedrali e l’altissimo campanile di Diveevo che si stagliavano illuminati nella notte, unico elemento verticale in un paesaggio a due dimensioni: eravamo arrivati a destinazione.

Fig. 14: “Ulitsa Sovetskaja”, non proprio l’indirizzo a cui si penserebbe di trovare uno dei più grandi monasteri femminili al mondo.

Fig. 15: il complesso di edifici sacri di Diveevo.

Diveevo è un luogo con molti significati. Meta di pellegrinaggio fra le principali, in Russia, luogo consacrato alla Madonna (che secondo la tradizione lo visita ogni giorno), indissolubilmente legato alla figura del veneratissimo san Serafino di Sarov, ma anche monastero femminile fra i più grandi al mondo. Un luogo su cui si potrebbero scrivere fiumi d’inchiostro, ma con alcuni aspetti speciali che ricorderemo a lungo.

Anzitutto, le reliquie di san Serafino di Sarov: sono ospitate in una delle due grandi cattedrali del complesso sacro. A tutte le ore vengono cantati gli acatisti in onore del santo, e due suore stazionano permanentemente nei pressi dell’urna ove sono conservate le reliquie. Poco lontano da esse, nella stessa cattedrale, sono conservati alcuni degli oggetti di uso quotidiano appartenuti a san Serafino, anch’essi oggetto di estrema attenzione da parte dei fedeli. Per descrivere l’effetto attrattore che la figura di san Serafino esercita sugli ortodossi russi, basti pensare che in un normale giorno infrasettimanale, in questo luogo distante oltre mille chilometri da Mosca, San Pietroburgo ed altre metropoli, la coda per venerare le reliquie durava oltre mezz’ora.

Il secondo aspetto che affascina sono le sorgenti sacre che si trovano nei dintorni di Diveevo, anch’esse legate alla figura di san Serafino ed in particolare al periodo da lui trascorso in solitudine nei boschi. Anche queste sorgenti sono forte oggetto di venerazione, che si esprime in due modi: attingendo alla sorgente litri e litri d’acqua da portare via con sé, a casa (e la strada era disseminata di rivenditori di taniche di plastica di ogni forma e dimensione), ed effettuando ripetute immersioni nei piccoli laghi limitrofi alle sorgenti stesse.

Fig. 16: una delle principali sorgenti sacre nei dintorni di Diveevo.

Il rito dell’immersione in particolare incuriosisce il visitatore straniero, e forse anche qualche russo poco pratico con la vita religiosa ortodossa. Una numerosa folla di fedeli attendeva pacificamente il suo turno per immergersi, malgrado la temperatura dell’acqua non particolarmente invitante (5-7 °C). Gli uomini in costume da bagno, le donne con indosso abiti lunghi. Per i bambini, numerosi ed impazienti che arrivasse il loro turno, erano a disposizione anche un paio di scivoli!

Normalmente le immersioni, complete, sono tre, oppure nove (tre volte tre), ciascuna seguita da un segno della croce. Abbiamo scambiato qualche parola con alcune signore di San Pietroburgo, che si recano presso queste sorgenti ogni anno e tornano a casa come rigenerate.

Il terzo aspetto riguarda infine un percorso, chiamato “Sviataja Kanavka” (Fossato Sacro, in russo) che si trova nelle immediate vicinanze del monastero. All’apparenza, è solo un bel vialetto, pavimentato con ciottoli ed affiancato da curate ringhiere, che cinge ad anello alcuni edifici del monastero femminile, snodandosi su un terrapieno alto un paio di metri fra meravigliosi giardini fioriti, silenziosi gruppi di betulle, orti e frutteti ben tenuti. In realtà, si tratta di uno dei principali luoghi di venerazione della Vergine Maria in tutta la Russa: si racconta infatti che fu San Serafino, ispirato dalla Madre di Dio, a chiedere che questo sentiero fosse costruito. La Vergine avrebbe protetto questo perimetro con la sua grazia (l’anticristo stesso non riuscirebbe ad attraversare il terrapieno). I pellegrini percorrono in modo lento ed ordinato questo sentiero, ripetendo 150 volte una preghiera molto simile alla nostra Ave Maria (“Canto alla Tuttasanta Madre di Dio”): alcuni sgranando i loro rosari, i più piccoli leggendo la preghiera appuntata su un foglietto. L’affollamento non è mai eccessivo, eppure ogni fedele, pur circondato dal molte persone come lui, è solo nella sua preghiera durante quel percorso (noi un po’ meno soli di altri, visto che un micio tutto bianco ci ha fatto compagnia per gli ultimi 50 metri e sembrava determinato a farsi portare a casa a suon di fusa). Ad accrescere il fascino di questo sentiero, il fatto che dall’alba alla piena notte, continuamente si potevano vedere fedeli che lo percorrevano lentamente, in preghiera, a qualsiasi ora. È forse l’aspetto che mi ha maggiormente colpito e coinvolto a Diveevo.

Fig. 17: la “Kanavka” a Diveevo.

Dopo alcuni giorni trascorsi a Diveevo, abbiamo dedicato gli ultimi momenti del nostro viaggio alla visita di Vladimir e delle sue bellissime chiese. Poi, valige al seguito, siamo tornati a Mosca, e da lì in Italia.

Se si lasciano un momento da parte i monumenti, le opere d’arte ed il contesto sicuramente “diverso” da quello cui siamo abituati in Italia, forse non è strettamente necessario fare tutti questi chilometri per vivere un’esperienza spirituale molto diversa da quella cui noi cattolici siamo abituati “a casa”: basta entrare in una delle chiese ortodosse che ormai si trovano in quasi tutte le nostre città, e seguire la Divina Liturgia. In Russia, però, questa esperienza si rende straordinaria proprio perché “normale”: è il normale modo in cui i cristiani di quel Paese si rivolgono a Dio, vivono le celebrazioni, pregano. Da secoli, è il normale modo di credere per un popolo intero. Immergersi in un’esperienza collettiva così diversa dal “conosciuto” porta inevitabilmente a guardare dentro sé stessi ed al proprio rapporto con la fede, con esiti diversi per ciascuno: un viaggio da consigliare, almeno una volta nella vita, a chiunque si dica cristiano.

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Genova: il cammino di padre Giovanni verso l’Ortodo 
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il sacerdote Giovanni La Micela

Genova è un’antica città italiana situata sulle rive del Mar Ligure. la città è conosciuta come il più grande porto d’Italia. I suoi dintorni sono famosi per il loro clima mite e le splendide spiagge; ospita anche uno dei migliori acquari d’Europa.

I genovesi, come gli altri italiani, sono in gran parte cattolici romani. A Genova ci sono chiese ortodosse di tre giurisdizioni: del Patriarcato Ecumenico, di quello di Romania e di quello di Mosca. La più grande chiesa (come quasi ovunque in Italia) è quella romena. Alla chiesa del Patriarcato Ecumenico vanno per lo più greci locali (la chiesa greca di Genova è stata la prima a essere fondata). La chiesa più diversifcata etnicamente e, a quanto pare, più missionaria è quella del Patriarcato di Mosca. Il rettore della chiesa – l’arciprete Giovanni La Micela – è un italiano nativo che è giunto all’Ortodossia per mezzo di una complessa ricerca spirituale.

Padre Giovanni La Micela è nato a Genova. È stato battezzato nel cattolicesimo romano, ma da adolescente si è allontanato dalla chiesa; per qualche tempo ha adottato anche un punto di vista ateo. È entrato nell’Ortodossia nel 1989. Nel 2000 è stato ordinato sacerdote; dallo stesso anno è rettore della chiesa della Trasfigurazione a Genova.

Genova

Sono arrivato a Genova da Torino, dove avevo partecipato a un evento accademico. La mattina ho fatto conoscenza con la città, e la sera sono andato ad incontrare batjushka. Mentre padre Giovanni mi raccontava la sua storia, nella mia mente si profilava un quadro completo di come un genovese è diventato prete ortodosso. Un quadro impressionante – come un uomo nato nel nord Italia in una famiglia cattolica, ha fatto un percorso dalla confessione di fede romana fino a ricevere il sacerdozio nella Chiesa ortodossa.

Vicoli genovesi

Era rimasto disilluso dal cattolicesimo attorno ai 12 anni. Inoltre, nella sua anima ha fatto irruzione il vuoto opprimente dell’ateismo. Gli sembrava che il mondo non avesse senso, ma allo stesso tempo, nella mente del futuro sacerdote si è chiaramente formata un’idea: c’è qualcosa che dà a un essere umano l’entusiasmo; è ciò che lo fa vivere. Giovanni ha iniziato a cercare il significato di quest’idea; si è rivolto a varie dottrine politiche, si è interessato alle religioni orientali. Ha studiato, si è guardato attorno, ma non è andato a fondo, dal momento che ha scoperto che a un certo punto non c’è nient’altro che un vuoto spirituale. Tutto era freddo e non lo riscaldava; tutto sembrava privo di vero significato e di ispirazione. Poi il futuro pastore ha affrontato un testo sulla storia delle religioni, che si occupava anche di cristianesimo. La presentazione del materiale era abbastanza obiettiva.

– In quel libro era scritto che i cristiani ortodossi sono gli unici che hanno mantenuto la tradizione apostolica – dice padre Giovanni. – Quella era la cosa più interessante, che fino a quel momento ignoravo. Dopo la lettura, mi sono reso conto quanto ero andato lontano nella mia ricerca, non sapendo che la verità era molto vicina. Poi ho iniziato a imparare di più sull’Ortodossia, convincendomi della sua verità. E una domenica sono andato a una funzione in una chiesa ortodossa di Genova.

Era la chiesa della Trasfigurazione, nella giurisdizione della Chiesa russa all’Estero. A quel tempo, serviva come sacerdote padre Ambrogio Bozzo, un italiano (oggi padre Ambrogio è missionario nella Repubblica Dominicana, ma, purtroppo, in una giurisdizione non canonica). La funzione mi ha colpito per la sua semplicità: non c’era il coro, molti canti erano recitati; a quel tempo c’era una carenza acuta di libri liturgici. Padre Ambrogio serviva in italiano e in slavonico ecclesiastico, ma la Liturgia risuonava in modo che molti fedeli non notavano il tempo. Tra di loro c’era anche Giovanni.

– Il tempo era scomparso, semplicemente non esisteva – ricorda padre Giovanni. – Io vivevo la Liturgia. Arrivando prima della funzione, attendevo il sacerdote all’ingresso della chiesa. Solo perché avevo paura di perdere l’inizio della funzione, l’inizio di tutto. Le funzioni ortodosse, la vita ortodossa mi sollevavano e mi portavano con loro… Io non chiedevo nulla, ma alla fine il padre Ambrogio stesso mi ha detto che saremmo andati a Bologna a farmi battezzare. E così è accaduto, e sono stato battezzato nella Chiesa ortodossa nel gennaio del 1989.

I parenti più stretti di padre Giovanni hanno reagito alla sua decisione abbastanza tranquillamente. Al lavoro, c’è stato un piccolo miracolo: i colleghi, sapendo della decisione di Giovanni, gli hanno fatto un regalo, e hanno presentato al futuro sacerdote… una talare. Perché – a quel tempo lui non riusciva a capirlo. Soprattutto perché il percorso verso il sacerdozio di Padre Giovanni non era noto in anticipo, e perché la comunità in cui è stato introdotto nell’Ortodossia ha sperimentato molte difficoltà. Fondata nel 1980, ha in seguito cambiato diverse giurisdizioni, e nel 1994 è stata trasferita al non canonico “patriarcato di Kiev”. Uno dei “vescovi” di quel “patriarcato” ha ordinato Giovanni al sacerdozio. Sei anni dopo, la parrocchia della Trasfigurazione del Signore, secondo il desiderio unanime dei credenti, ha lasciato gli scismatici e si è trasferita alla giurisdizione di Mosca. Padre Giovanni ha ricevuto l’ordinazione canonica dall’arcivescovo Innocenzo (Vasiliev) di Korsun. Non poteva essere altrimenti, perché i canoni non consentono di prendere “nel rango esistente” un sacerdote che ha ottenuto il suo rango dagli scismatici.

Genova. Altare con le reliquie di san Giovanni Battista nella cattedrale di san Lorenzo

Già prima di questi eventi il sacerdote Ambrogio Bozzo è  partito per la Repubblica Domenicana (a metà degli anni ’90), così sulle spalle di padre Giovanni è ricaduto tutto il lavoro della vita parrocchiale. Per molti anni, la comunità ha pregato in un piccolo locale sulla Salita della Seta, e solo alla fine del 2012 si è trasferita nella chiesa di san Giorgio, in locali messi a disposizione dai cattolici. Questo è stato fatto per motivi pratici: il numero di parrocchiani ha superato di gran lunga la capacità della vecchia chiesa.

Per molto tempo Genova ha avuto due parrocchie ortodosse: quella russa e quella greca. La chiesa della Trasfigurazione è diventata una patria per ortodossi di nazionalità diverse – russi, bulgari, polacchi, italiani. Vi andavano anche i romeni fino all’apertura nel 2000 della chiesa romena a Genova. Oggi nella parrocchia prevalgono ucraini e moldavi, ci sono anche russi, italiani e altre nazionalità. Secondo padre Giovanni, nonostante il numero impressionante di chiese romene, le parrocchie del Patriarcato di Mosca in Italia stanno assumendo un ruolo missionario sempre più importante.

– A volte si ha la sensazione che la chiesa romena non veda particolarmente la differenza tra Ortodossia e Cattolicesimo romano, e se la vede, non le presta attenzione – dice padre Giovanni. – Noi invece sottolineiamo che la nostra fede è la fede dei nostri padri. E se da noi arriva un italiano, gli permettiamo di partecipare alla funzione, fornendogli libri, opuscoli, dandogli il benvenuto a tornare alla Liturgia seguente. Io stesso sono italiano e ritengo di essere ritornato all’Ortodossia. Qui tutti i santi padri erano ortodossi. Grazie alla Chiesa ortodossa russa nella nostra terra è arrivata ancora una volta la fede dei nostri santi padri.

il sacerdote Marian (Mario) Selvini

Secondo il mio interlocutore, gli italiani continuano a venire all’Ortodossia, e per ragioni molto diverse. Per esempio, un’insegnante – Loretta – è giunta alla vera fede attraverso un suo studente georgiano, che l’ha introdotta all’Ortodossia. Franco, un italiano, ha imparato a conoscere l’Ortodossia dai suoi amici russi. Il sacerdote Marian (Mario) Selvini (ordinato nel dicembre 2013) è venuto a conoscenza dell’Ortodossia come fede apostolica grazie a padre Ambrogio Bozzo. Mario è diventato ortodosso nel 1992, quando aveva 19 anni.

Oggi a capo della parrocchia della Trasfigurazione vi sono italiani autoctoni – i sacerdoti Giovanni e Marian. Ma nelle funzioni, insieme con l’italiano, si sentono anche lo slavonico ecclesiastico e il romeno. Entrambi i preti compiono il loro ministero nel loro tempo libero – fino a quando la comunità potrà mantenere il clero. Ma i sacerdoti italiani zelanti nel servizio collegato all’altruismo e a un genuino  spirito missionario, offrono speranze per un buon futuro della parrocchia – anche a fronte di una crescente secolarismo e un complesso ambiente cattolico.

Patriarca Kirill:il mio cuore con L’Ucraina

Patriarca Kirill: il mio cuore è con l’Ucraina

DICHIARAZIONE DEL PATRIARCA DI MOSCA E DI TUTTA LA RUS’ KIRILL IN SEGUITO ALLE RECRUDESCENZE DEL CONFLITTO CIVILE IN UCRAINA

In Ucraina viene ancora versato sangue. Gli scontri nella regione di Donetsk e i tragici avvenimenti a Odessa hanno causato la morte di decine di persone e l’ulteriore destabilizzazione della situazione del Paese. Molti sono nella disperazione, temono per la propria vita e quella dei cari.

In questo tempo difficilissimo il mio cuore è con l’Ucraina, con ogni suo figlio e figlia che attraversa dolore, sofferenza, turbamento, indignazione, disperazione. Prego per il riposo di quanti sono rimasti vittime dello spargimento di sangue, per la salvezza delle vite in pericolo e la pronta guarigione dei feriti. La mia fervida preghiera si eleva anche per il risanamento del Paese, la rappacificazione delle parti in conflitto, perché cessi ogni spargimento di sangue e la violenza finisca per sempre.

La responsabilità per quanto sta ora accadendo è innanzitutto di quanti fanno ricorso alla violenza anziché al dialogo. Particolare preoccupazione suscita l’uso della tecnica da guerra pesante in un conflitto civile. Spesso l’uso della forza è causato dal radicalismo politico e dalla violazione del diritto dei cittadini di poter esprimere le proprie opinioni.

Nelle condizioni in cui oggi vive l’Ucraina non si può dichiarare come unica possibile e obbligatoria per tutti quella che costituisce solo una delle posizioni politiche. Ciò è fatale per il Paese. Sono convinto che è necessario rinunciare una volta per tutte ai tentativi di imporre il proprio punto di vista con la forza. Esorto tutte le parti ad astenersi dall’uso delle armi e a risolvere tutte le questioni aperte attraverso i negoziati. L’Ucraina necessita a breve tempo, almeno, di un armistizio, a lungo termine di una pace solida e incontrastabile.

L’Ucraina può guarire e incamminarsi sulla strada della creazione di una vita degna per i propri cittadini solo se sarà una casa comune per persone di convinzioni politiche differenti, anche diametralmente opposte. Al dialogo non c’è alternativa. Occorre, finché questa possibilità sussiste ancora, sapersi ascoltare reciprocamente e cercare non soltanto di superare le contraddizioni esistenti, ma di rinnovare la fedeltà ai valori spirituali e morali cristiani che hanno formato il popolo dell’Ucraina e lo hanno arricchito di saggezza e amore per il diritto. Sono certo che proprio questi valori possono aiutare oggi a trovare la via verso la pace e la giustizia, senza le quali è impensabile un avvenire degno per il Paese.

Dio grande e uno: custodisci la Rus’-Ucraina!

+ Kirill,

Patriarca di Mosca e di tutta la Rus’

Messaggio di Natale del Patriarca Kirill

Messaggio di Natale del Patriarca Kirill

Messaggio di Natale di sua Santità il Patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Rus’ agli arcipastori, pastori, monaci e a tutti i fedeli figli della Chiesa Ortodossa Russa.

Amati nel Signore, sacratissimi arcipastori, reverendi presbiteri e diaconi, monaci e monache amati da Dio, cari fratelli e sorelle!

Oggi le nostre chiese si riempiono di persone, venute a glorificare il divino neonato – Cristo il Salvatore, e la sua purissima Madre – la Vergine Maria.

La Natività di Cristo è l’avvenimento centrale di tutta la storia umana. L’uomo ha sempre cercato Dio: eppure in tutta la sua pienezza Dio ha dischiuso se stesso all’uomo solo nell’incarnazione del suo Figlio unigenito. Con la venuta del Figlio di Dio – e Figlio dell’uomo – il mondo ha conosciuto che Dio è amore, e non solo il supremo potere, Dio è misericordia – e non solo il datore della giusta ricompensa, Dio è la fonte della vita e della gioia, e non solo il tremendo giudice; Dio è la santa Trinità, la cui vita per legge interna è lo stesso amore – e non il solitario sovrano del mondo.

Oggi noi celebriamo un avvenimento che ha cambiato in modo radicale tutto il corso della storia umana. Dio entra nella profondità della vita umana, diviene uno di noi, prende su di sé tutto il peso dei nostri peccati, delle incapacità e debolezze umane – e le porta sul Golgota, per liberare gli esseri umani da un fardello insopportabile. Dio da ora non è più in qualche cielo inaccessibile, ma qui, con noi, in mezzo a noi. Ogni volta che durante la celebrazione della Divina Liturgia si pronunciano le parole “Cristo è in mezzo a noi!” – e la risposta “Lo è, e lo sarà”, questa è una viva testimonianza della presenza dello stesso Dio incarnato – Cristo il Salvatore – in mezzo ai suoi fedeli. Ricevendo regolarmente la comunione al suo santo corpo e sangue, sforzandoci di adempiere i suoi comandamenti, noi entriamo in una reale comunicazione con lui, con il nostro Salvatore, e otteniamo la remissione dei peccati.

I credenti in Cristo e i suoi discepoli fedeli sono chiamati a essere testimoni del regno di Dio manifestato in Cristo già nel tempo della vita terrena. Ci è stato affidato un grande onore – di procedere in questo mondo così come ha proceduto il nostro Maestro e Dio, di essere irremovibili, con la potenza di Cristo, nella lotta contro il peccato e il male, di non indebolirci nel compimento zelante di opere buone, di non disperarci nello sforzo quotidiano di trasfigurazione della nostra natura peccatrice nel nuovo uomo di grazia.

Per mezzo di Cristo il Salvatore è stato stabilito un criterio incrollabile, assoluto, di relazione autentica con Dio – il nostro prossimo. Prendendo su di noi le incapacità altrui, condividendo i loro dolori e tristezze, partecipando alla sofferenza di chi è nelle sventure e nelle necessità, adempiamo la legge di Cristo (Gal 6:2) e diveniamo simili al Salvatore, che ha preso su di sé i nostri dolori e ha sopportato le nostre sofferenze (Is 53:4).

È impossibile dimenticarci degli altri in questo giorno pieno di gioia e portatore di luce della Natività di Cristo, quando tutta la creazione viene con meraviglia alla mangiatoia del bimbo divino. Quella grande grazia, che oggi noi riceviamo nelle nostre chiese, deve riversarsi anche su quelli che si trovano fuori dei confini della Chiesa e conducono una vita conforme ai criteri di questo mondo, e non secondo Cristo (Col 2:8) Ma se noi e voi non andiamo loro incontro – questa Buona Novella potrebbe non arrivare a loro; se noi e voi non apriamo il nostro cuore, per condividere la gioia che ci circonda – questa potrebbe non raggiungere mai quelli che non la possiedono, ma che sono pronti a riceverla.

Per mezzo dell’incarnazione del Figlio di Dio la natura umana è innalzata a un livello mai prima raggiunto. Ciascuno di noi non solo è creato “a immagine e somiglianza di Dio”, ma per mezzo di Cristo è pure adottato da Dio: siamo “concittadini dei santi e della famiglia di Dio” (Ef. 2:19). Di questa vicinanza e familiarità con Dio parla anche la preghiera del Signore, in cui ci rivolgiamo al Creatore come al nostro Padre celeste.

Ogni vita umana è senza prezzo: solo per essa è stato pagato il prezzo dell’incarnazione, vita, morte e risurrezione dell’unigenito Figlio di Dio. Tutto ciò ci esorta ancor di più ad avere un’attitudine devota e attenta verso ogni persona, a prescindere da quanto sia diversa da noi. Nel pensiero del santo ierarca Filarete (Drozdov) di Mosca, “L’amore è una partecipazione viva e attiva nella creazione del benessere del prossimo”. A questo amore espresso nei fatti vorrei chiamarvi tutti in questi giorni pieni di gioia della Natività di Cristo: ad amarci, secondo le parole dell’apostolo Paolo, gli uni gli altri di amore fraterno, ad anticipare gli uni gli altri nella stima, a non essere deboli nello zelo, a essere ferventi nello spirito, a servire il Signore! (Rom 12:10-11, Eb 13:16).

Mi congratulo cordialmente con voi nell’occasione della grande festa della Natività di Cristo. Il Dio dell’amore e della pace (2 Cor 13:11) dia al nostro popolo e a ciascuno di noi pace e prosperità nell’anno nuovo.

+ KIRILL, PATRIARCA DI MOSCA E DI TUTTA LA RUS’

Natività di Cristo

Mosca

*Traduzione curata dalla Parrocchia San Massimo di Torino

Moleben di Patriarca Kirill per il nuovo anno

Al Moleben per il nuovo anno, il patriarca Kirill ha pregato per la Russia, per l’Ucraina e per tutta la Rus’ storica

 ElenDorofeeva, TASS, 31 dicembre 2014Il patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Rus’ ha espresso un augurio che “il 2015 sia l’anno della bontà di Dio” per tutta la Rus’ storica. Celebrando il Moleben di Capodanno nella Cattedrale di Cristo Salvatore, alla vigilia del nuovo anno ha esortato tutti i cristiani a pregare per il cammino della propria vita, per la patria e per tutta la Rus’ storica.”Oggi stiamo attraversando una tappa complicata della vita. Preghiamo per la nostra patria e per tutti i popoli. E soprattutto perché nell’intero spazio della Rus’ storica si arrestino le lotte intestine e il flusso di sangue, e perché regni la giustizia, poiché senza giustizia non può esserci la pace, “- ha detto il primate della Chiesa ortodossa russa.

Il patriarca ha sottolineato che “tutta la confusione, tutti i conflitti che causano sofferenza, provengono dalla nostra incapacità di vivere secondo la legge di Dio”. “Il Signore ha chiamato gli esseri umani alla pienezza della vita, a ciò che chiamiamo felicità. In risposta alla nostra fedeltà, il Signore ci accompagna attraverso tutte le prove,” – ha affermato il patriarca.

Il 31 dicembre e il 1 gennaio  si svolgono funzioni religiose di Capodanno in tutte le chiese della Chiesa ortodossa russa. Nella notte di Capodanno in un certo numero di chiese si celebra la Liturgia. A Mosca lo fanno in più di 10 chiese. Ogni anno il loro numero aumenta, e la liturgia notturna di Capodanno è diventata sempre più popolare.

 

DOMANDE E RISPOSTE SUL DIGIUNO DELLA NATIVITA

Domande e risposte sul digiuno della Natività
da Pravmir

 

“Non dobbiamo digiunare in modo ipocrita”

L’arciprete Serafim Gascoigne della Chiesa ortodossa della santa Protezione della Theotokos a Seattle, Washington, e il sacerdote Sergei Sveshnikov, rettore della chiesa russa dei Santi nuovi martiri e confessori a Mulino, di Oregon, rispondono alle domande di Pravmir circa il digiuno e la celebrazione della Natività.

Pravmir: La Chiesa ortodossa prepara i fedeli per la Natività del Signore con un periodo di digiuno di 40 giorni. Il mondo laico ha il proprio spirito di preparazione al Natale: feste, regali, mercatini di Natale, negozi decorati fin da subito… Come non essere coinvolti dalla pre-celebrazione laica del Natale e per mantenere il digiuno non solo nel cibo, ma anche nello spirito?

Padre Sergej Sveshnikov: Prima di tutto, vorrei mettere in guardia contro la costruzione di una partizione troppo alta tra il “mondo cristiano”, e il “mondo laico”. Nel vero senso della parola, non esiste una cosa come un mondo laico; c’è un mondo solo, quello che è stato creato da Dio e corrotto dal peccato. Cercare di “fuggire dal mondo” potrebbe essere davvero una nobile aspirazione, ma nella sua forma più pura ci richiederebbe di abbandonare le nostre occupazioni, famiglie, relazioni, e… oh, probabilmente pure Internet. Eppure è impensabile che la Chiesa vorrebbe che tutti noi diventassimo monaci eremiti – i cristiani scomparirebbero semplicemente nell’arco di una generazione o due!

A differenza della Grande Quaresima, che è un periodo dimesso di preparazione per la Settimana della Passione, il digiuno della Natività è pieno di gioia, mentre ci prepariamo perché Dio stesso possa entrare in questo “mondo laico” caduto nel peccato, e  abitare in mezzo a noi, non solo tra gli esseni, i nazirei e altri abitanti nel deserto – ma anche in mezzo a noi. Come una donna incinta che sa quale sarà il risultato delle sue doglie e sorride in attesa, la Chiesa non può non sapere che gioia ci attende alla fine del digiuno della Natività e gioisce in previsione dell’amore di Dio e della sua grande misericordia. Cristo ci dice di non apparire tristi quando digiuniamo, ma di ungere il nostro capo e di lavarci la faccia (Matteo 6:16-17), vale a dire, di agire nei modi normali che si aspetta da noi la nostra società.

Non c’è nulla di intrinsecamente peccaminoso nelle feste o nei regali. Questo non vuol dire che la gola o la dipendenza dagli acquisti non sono malattie peccaminose – lo sono in tutte le stagioni, sia in Avvento sia in qualsiasi altra; e se riteniamo che non dovremmo proprio fare qualcosa durante l’Avvento, probabilmente non dovrebbero farla neppure prima o dopo il digiuno. Detto questo, certamente mi rendo conto che molte persone sperimentano quella che viene chiamata “pressione del conformismo”, quando i nostri amici, compagni di scuola o colleghi ci invitano alle loro feste di Natale dove si servono cibi non di digiuno e bevande alcoliche nei giorni in cui non possiamo parteciparne.

Fortunatamente, in Occidente è molto accettabile essere diversi. La maggior parte delle persone di fatto capisce e rispetta le preferenze alimentari dei loro amici. A volte, i cristiani ortodossi scusano il  loro desiderio di rompere il digiuno citando una storia della vita di qualche asceta che ha rotto il suo digiuno per non offendere le persone che gli offrivano cibo. Questi cristiani solito dimenticano che un simile asceta conduceva una vita molto rigorosa prima di un tale evento, e che avrebbe digiunato altro quaranta giorni dopo aver mangiato il pollo che gli era stato portato da alcuni poveri che gli avevano donato tutto ciò che avevano. La nostra situazione non ha alcun paragone con quella. Abbiamo un grande controllo su ciò che viene servito ad una festa: possiamo chiedere ai padroni di casa prima del tempo di preparare alcuni piatti di digiuno, possiamo portare alcuni piatti la festa, o possiamo esimerci con rispetto e discrezione e non andare affatto alla festa. Nella maggior parte dei casi, la gente capirà e rispetterà le nostre scelte nello stesso modo in cui noi comprendiamo e rispettiamo le loro.

Cosa consiglierebbe a coloro che affrontano il problema di celebrare due Natività (in un caso in cui uno dei coniugi è un non-ortodosso o  quando i coniugi ortodossi vengono da parrocchie di diverso calendario)?

Se i nostri coniugi celebrano la Natività di Cristo secondo il calendario gregoriano (non affronterò qui il gioco di parole del calendario “giuliano riformato”), dobbiamo dimostrare loro il nostro massimo amore e rispetto e festeggiare con loro. Certo, lo facciamo senza rompere il digiuno; ma una vera festa può essere altrettanto gioiosa anche se non mangiamo un pezzo di anatra o prosciutto. E se mostriamo di accettare i loro costumi, tradizioni e convinzioni, i nostri cari saranno propensi ad accettare i nostri. In ogni caso, ciò che dobbiamo evitare è una divisione in famiglia. “Nessuna casa divisa contro se stessa resterà” (Mt. 12:25), e se vogliamo avere una famiglia forte, dobbiamo imparare a rispettare l’altro, comprese le rispettive scelte di celebrare la Natività.

Come affrontare il problema delle due date della celebrazione della Natività nella Chiesa ortodossa, se uno segue un calendario, ma va alla parrocchia più vicina che ne segue un altro?

Questo è un problema molto difficile e doloroso. Non so se Cristo è nato il 25 dicembre, il 7 gennaio o in qualche altro giorno, ma penso che sia molto importante che la Chiesa sia unita. L’adozione di un nuovo calendario non riconosciuto dalla pienezza della Chiesa ortodossa ha chiaramente causato divisioni e conflitti all’interno della Chiesa. Come membri del Corpo di Cristo, dobbiamo vedere le divisioni e le separazioni come uno dei più grandi mali che possono essere sopportati solo in caso di grande necessità. E non credo che la questione del calendario presenti una tale necessità. Per me, questa affermazione va in entrambe le direzioni: chi ha istigato la riforma del calendario non aveva il diritto di farlo, a meno che tutta la Chiesa fosse d’accordo; ma allo stesso modo, non abbiamo il diritto di separarci dai nostri fratelli e sorelle in Cristo per la questione del calendario.

Liturgicamente, però, un fedele non può celebrare due Natività in un anno più di quanto possa celebrare due Liturgie in un giorno. Possiamo certamente essere presenti a entrambi i servizi (anche se vi consiglierei vivamente di non farlo), ma possiamo partecipare a pieno titolo a uno solo. In altre parole, se scegliamo di partecipare a una parrocchia di calendario diverso, dovremmo celebrare le feste della Chiesa e i digiuni secondo i costumi della parrocchia da noi scelta. Se preghiamo con loro nella stessa chiesa, ci comunichiamo con loro allo stesso calice, chiediamo loro di battezzare i nostri figli, ma pensiamo che la loro Natività non sia “corretta”, perché quella “corretta” è due settimane prima o dopo, non abbiamo fatto altro che mettere una divisione tra noi e la Chiesa e siamo colpevoli di scisma. Possiamo scegliere di rendere le cose molto complicate quando il clero di diverse giurisdizioni concelebra insieme, ma per la maggior parte dei laici, il principio di unità ortodossa dovrebbe essere primario a qualsiasi argomento astronomico, storico, culturale, o di altro tipo presentato da sostenitori e oppositori del Nuovo Calendario.

Risposta di padre Seraphim alle domande di cui sopra:

Credo che le ‘porte del cielo’ siano spalancate durante questa stagione di preparazione alla Natività del nostro Signore Gesù Cristo. Questo periodo dell’anno porta con sé benedizioni speciali, soprattutto se siamo obbedienti alla santa Tradizione della Chiesa. Con il digiuno fisico e spirituale, ci facciamo recettivi alla grazia dello Spirito Santo, in modo che quando si arriva a celebrare il Natale del Signore, questo sarà per noi non solo una commemorazione, ma un evento spirituale in cui usciamo dal tempo ed entriamo nell’Eterno Presente. Anche noi saremo con i pastori di Betlemme.

Il digiuno non è difficile se viviamo in una famiglia ortodossa. Infatti l’atto esterno dell’astensione da prodotti di origine animale non è difficile, perché fa parte della nostra vita liturgica quotidiana. A livello spirituale è più impegnativo, in particolare con le richieste che ci vengono fatte in questo periodo dell’anno. Mi riferisco al nostro ‘obbligo’ di unirci a feste aziendali o socializzare con gli amici non ortodossi. Per quelli di noi la cui famiglia non è ortodossa, questo pone una sfida anche a livello fisico.

Quando lavoravo per una società, ci si aspettava la partecipazione a un pizza-party di gruppo, che aveva sempre luogo di venerdì. A queste feste digiunavo, ma comunque mi univo al divertimento con i miei colleghi. Dopo un po’, per rispetto a me come prete ortodosso, mi è stato in seguito permesso di non partecipare a queste riunioni. La stessa considerazione era applicata ai musulmani, ai vegetariani, ai vegani e a chiunque avesse qualche motivo ‘religioso’ per non andarci.

La sfida che affrontiamo come cristiani ortodossi, è come poter mantenere questo periodo dell’anno santo e puro? Nel corso degli anni, il Natale è diventato sempre più una festa laica. È il momento per riunirsi con la famiglia e gli amici, non necessariamente per celebrare la nascita di Cristo secondo il calendario civile, ma per festeggiare il fatto di stare insieme. Per non allontanarci gli uni dagli altri, ma allo stesso tempo osservare il digiuno, vi consiglio di frequentare le feste di familiari e colleghi, ma mantenendo il digiuno fisico. Se fossi diabetico o avessi una condizione cardiaca che mi impone una dieta, i miei cari non si aspetterebbero che io uccida il mio corpo rompendo la mia dieta. Nessuno si aspetterebbe che mangiassi tacchino se fossi un vegano praticante. C’è sempre bisogno di condividere il nostro amore con gli altri, ma non necessariamente di compromettere la nostra fede. Mi viene in mente in questo momento la defunta contessa Orlova, una dama della corte che era anche una monaca segreta. Alla fine di una giornata di banchetti e ricevimenti, si ritirava nella sua stanza, di toglieva i suoi abiti di seta e i suoi gioielli, indossava i suoi abiti monastici e trascorreva la notte in preghiera. Vi è anche la storia di un padre del deserto che non rifiutava mai l’ospitalità che gli era offerta. Tuttavia quando tornava nella sua cella, digiunava dei giorni in più, a seconda della quantità che aveva mangiato e bevuto. Il suo discepolo spirituale si lamentò con un padrone di casa generoso che il vecchio si sarebbe ucciso con il digiuno e pregò l’ospite di non dargli troppo.

Questo è un meraviglioso tempo dell’anno per fare di una stagione di pace e di buona volontà un’esperienza veramente ortodossa, per noi e per chi ci circonda.

Due punti importanti del conflitto in corso

Due punti importanti del conflitto in corso
dal blog The Vineyard of the Saker, 6 agosto 2014
La situazione militare della Novorossija
Ci sono di fatto due racconti mutuamente esclusivi della situazione. Gli ucraini dicono che
stanno per sconfiggere la resistenza, come dice anche la maggior parte dei media
generalisti; la resistenza sta riportando ingenti perdite ucraine. Un commentatore ha
chiesto come siano possibili tali perdite se la resistenza non recupera alcun territorio. In
realtà, questa contraddizione è solo apparente. Ecco cosa succede:
1) La resistenza è numericamente piccola. Troppo piccola per tenere contemporaneamente
tutto il “fronte”. In un unico luogo, il calderone del sud, è riuscita a mettere gli ucraini con
le spalle al muro, ma solo grazie al fatto che gli ucraini sono a corto di munizioni e che la
resistenza ha abbastanza armi e mine per impedire loro di ritirarsi. Ma anche lì la resistenza
non ha massa militare sufficiente a tentare un assalto. Per la resistenza ogni soldato conta,
non solo per ovvie ragioni di decenza, ma anche perché se perdesse soldati al tasso con cui
li perde la giunta, perderebbe rapidamente tutta la guerra.
2) La resistenza manca di potenza di fuoco e di mezzi corazzati. Questo aspetto sta
migliorando, ma la resistenza non ha ancora quello che serve per tentare un’offensiva o
addirittura per coinvolgere le forze della giunta in campo aperto.
La giunta è pienamente consapevole di questi fatti e sfrutta queste debolezze con le
seguenti tattiche:
i. attaccare sempre su tutti i fronti contemporaneamente
ii. utilizzare grandi formazioni corazzate
iii. utilizzare potenza di fuoco a lungo raggio (artiglieria)
iv. attaccare i civili per terrorizzare e indebolire la determinazione
La resistenza è quindi costretta a effettuare le seguenti operazioni:
i. spostare rapidamente l’artiglieria da una posizione a un’altra
ii. impegnarsi in tattiche di agguato, attacchi sui fianchi, ritirate false
iii. cercare di attirare le forze della giunta in sacche di fuoco incrociato e tagliarle fuori
1iv. usare molte piccole unità di ricognizione
In una certa misura questa potrebbe essere paragonata a una lotta tra un orso e uno sciame
di api, in cui nessuna delle due parti è realmente capace di una netta vittoria contro l’altra.
La giunta ha chiaramente un enorme vantaggio numerico ed è lungi dall’aver esaurito la
maggior parte delle sue risorse teoriche di mezzi o di uomini. Quello che manca è la
combinazione di uomini motivati ​e qualificati in grado di tentare un sofisticato assalto
urbano e di coinvolgere la resistenza sul suo stesso terreno.
Tenete a mente che la quasi totalità della macchina repressiva ucraina (militari, squadre del
terrore degli oligarchi, guardia nazionale, mercenari stranieri) è ora impegnata nel Donbass
e che l’unica ragione per cui questo è possibile è una vergognosa, scioccante mancanza di
resistenza da parte del resto dell’Ucraina. Questa potrebbe cambiare quando le forniture di
base inizieranno a mancare e arriveranno i primi freddi. Scommetto che gli stessi ucraini
che non si preoccupano affatto che i loro concittadini siano assassinati ogni giorno da una
giunta nazista, troveranno in se stessi una totale nuova determinazione a resistere, non
appena cominceranno ad avere fame. Mi dispiace di dovere presentare questa realtà
vergognosa, ma semplicemente non può essere ignorata. Così la resistenza della
Novorossija ha bisogno di accovacciarsi e mantenere le sue fortificazioni quanto meglio può,
fino a quando il resto degli ucraini si renderà conto che la giunta nazista fa schifo anche a
loro.
Il trattamento compassionevole dei soldati ucraini da parte della Russia: una scelta
di civiltà
Devo dire che sono rimasto scioccato dal numero di commenti che condannano il
comportamento russo come stupido, ingenuo o altrimenti fuorviante. Poi ho capito che è
tutta una questione di presentazione. Se diciamo “i russi stanno dando conforto, aiuto e
sostegno ai criminali di guerra nazisti che hanno massacrato la popolazione innocente del
Donbass”, questo sembra davvero pazzesco. Ma questo è un totale errore di
rappresentazione di ciò che è avvenuto. In primo luogo, le forze nel “calderone del sud” sono
di fanteria leggera, paracadutisti e forze speciali. Non sono squadroni della morte nazisti. In
secondo luogo, sono stati inviati dietro ordini, spesso con minacce a loro e /o alle loro
famiglie. In terzo luogo, hanno mostrato una grande quantità di coraggio personale,
rimanendo bloccati senza cibo, munizioni o sostegno per settimane, sotto colpi di artiglieria
quasi continui da tutti i lati, e poca o nessuna speranza di salvataggio. Ma soprattutto, e
questo è ciò che molte persone non capiscono e non per colpa loro, questi ragazzi sono russi
tanto quanto i russi della Russia o i russi della Novorossija. Cercate di comprendere che solo
una piccola minoranza della popolazione ucraina è in realtà composta da psicopatici folli
come Ljashko o da feccia corrotta come Poroshenko. Nella stragrande maggioranza gli
ucraini sono veramente russi culturalmente. Certo, alcuni parlano ucraino e una maggior
parte di loro si sente anche ucraina, ma nello stesso modo in cui un bavarese si sente
bavarese o un californiano si sente californiano: certo non anti-tedesco o anti-americano.
Così, quando i soldati russi li vedono, vedono i loro simili. Questo è molto difficile da
descrivere o spiegare, ma è così. Certo, questi soldati russi pensano “e ora che cosa avete
ottenuto?” e “adesso vi piace la vostra fottuta Ucraina indipendente?”, ma per lo più sono
dispiaciuti per loro e vogliono mostrare loro un volto umano, compassionevole e,
2francamente, fraterno.
Ieri ho visto un video di un gruppo di ucraini che attraversavano il confine per arrendersi
alle guardie di frontiera russe. Qualcuno stava registrando su un telefono e ha chiesto a uno
di loro, un militare professionista con 10 anni di servizio, perché aveva deciso di arrendersi.
Ascoltando questo ufficiale ucraino che parlava, anch’io sentivo che stava parlando era uno
della mia gente, un altro russo finito in una situazione terribile, ma non uno a cui volessi
fare alcun male. Non ho visto un Ljashko o un Poroshenko. Ho visto un fratello confuso.
Tenete a mente che molti dei soldati russi che accoglievano i disertori ucraini sono quegli
stessi che, una notte, per rappresaglia li hanno bombardati a tappeto proprio oltre il (molto
teorico) confine. Quindi non è che la Russia è impazzita e si è messa ad accogliere con fiori
e abbracci coloro che oggettivamente si battono per la giunta. Se resistono, i russi li
uccideranno. E tutti i veri nazisti non hanno alcuna speranza di misericordia da parte dei
russi. Ma i nazisti sono una piccola minoranza degli ucraini. Per la maggior parte sono
semplicemente persone ignoranti, che hanno subito un lavaggio del cervello, forse
zombificati, ma tuttora persone degne di compassione, una volta che hanno deposto le armi.
Basta guardare questa foto:
Io preferirei vedere questo, piuttosto che un carcere umiliante o un’esecuzione sommaria.
Ancora una cosa: l’Ucraina, in particolare quella dominata dalla giunta nazista, che io
chiamo “Banderastan”, si è sempre nutrita di odio. Odio per i cristiani ortodossi, in primo
luogo, ma anche odio per i polacchi, gli ebrei e i tedeschi. Odio per l’Unione Sovietica e poi
per tutto quanto è russo. E oggi, quando ascolto le insane sciocchezze vomitate dalle
principali figure politiche ucraine, sono impressionato da quanto sia stupida e odiosa questa
mentalità russofoba. E guardate il comportamento di questi nazionalisti: dai poliziotti
bruciati, all’utilizzo di cecchini provocatori sul Maidan, al tradimento di ogni promessa o
accordo firmato, ai massacri a Odessa e Mariupol, all’uso di fosforo bianco e missili balistici
contro i civili, in ogni passo dei suoi sei mesi di esistenza questo Banderastan è stato orrido,
vile, patetico, incivile, disonesto, crudele, ipocrita, senza scrupoli e semplicemente maligno.
È fondamentale che la Russia sconfigga questo abominio non solo con la forza delle armi,
ma anche moralmente, ma senza agire come farebbero gli ucroidi. Alla fine, si tratta di una
3scelta di civiltà, un’ideologia materialista piena di odio e di totale amoralità, contro una
civiltà cristiana ortodossa che vuole sostenere qualcosa di più del tasso di scambio del rublo
o di un ingresso senza visto nell’Unione Europea. Ancora una volta, userò due foto per
illustrare il mio punto:
Banderastan
4Novorossija
La lotta contro l’Impero non può essere solo e strettamente limitata al campo di battaglia.
Significa anche rifiutare la modalità imperiale di operare, i suoi valori e il suo
comportamento. Non possiamo resistere a un impero di cui accettiamo le norme e i valori.
Pertanto, è essenziale che ciascuno di noi adotti un codice di condotta antico o ne sviluppi
uno nuovo. Per la Russia, questo significa un ritorno a un codice d’onore cristiano ortodosso
o islamico, che comprende non solo questioni come la pietà e la moralità personale, ma
anche come affrontare un nemico sconfitto o un fratello ingannato e confuso. In termini
cristiani, ciò significa che una fede corretta (ortodossia) deve essere combinata con un
comportamento corretto (ortoprassi) (sono sicuro che anche l’islam ha gli stessi requisiti).
Per un paese che in un passato non troppo lontano ha inflitto qualche trattamento orribile e
disumano ai suoi prigionieri di guerra (i tedeschi dopo la seconda guerra mondiale), è
un’importante vittoria morale aver abbandonato quella cultura della punizione sostituendola
con una cultura della compassione.
Saker

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