La formazione dell’anima – spirito, anima e corpo

La formazione dell’anima e corpo. Ieromonaco Seraphim (Rose)
La formazione dell’anima – spirito, anima e corpo
Nella foto: padre Seraphim con il vescovo Nektary dopo la sua ordinazione sacerdotale, 11/24 Aprile 1977 

L’anima che viene oggi all’Ortodossia si ritrova spesso in uno stato di svantaggio o addirittura paralizzata. Spesso si sente dire da convertiti, dopo alcuni anni di lotte apparentemente infruttuose, “non sapevo quello in cui stavo entrando quando sono diventato ortodosso”. Alcuni percepiscono queste cose alla loro prima esposizione alla fede ortodossa, e questo può far rinviare il loro incontro con l’Ortodossia o anche farli fuggire del tutto da essa. Una cosa simile accade spesso a quelli che sono stati battezzati nell’infanzia quando raggiungono la maturità e devono scegliere se impegnarsi per la loro fede dell’infanzia.

Da un certo punto di vista, questo è il risultato del profondo impegno richiesto a coloro che prendono sul serio la fede ortodossa – un impegno che è molto diverso in natura da quello di coloro che si limitano a partecipare a una nuova denominazione o setta. Ci sono molte denominazioni con le loro diverse interpretazioni della vita cristiana, ma una sola Chiesa di Cristo, che vive la vera vita in Cristo e l’insegnamento e la pratica immutata degli Apostoli e dei Padri della Chiesa.

Ma da un punto di vista più pratico, il problema sta nella povertà della nostra anima moderna, che non è stata preparata o addestrata a ricevere le profondità della vera esperienza cristiana. Ci sono un aspetto culturale e uno psicologico di questa nostra povertà: l’educazione dei giovani di oggi, soprattutto in America, è notoriamente carente nello sviluppo di una risposta alle migliori espressioni dell’arte, letteratura e musica umana, e a seguito di questa carenza i giovani vengono formati a caso sotto l’influenza della televisione, della musica rock, e si altre manifestazioni della cultura (o meglio, anti-cultura) di oggi e, sia come causa che come risultato di questo – ma soprattutto per l’assenza da parte dei genitori e degli insegnanti di qualsiasi idea consapevole di ciò che è la vita cristiana e di come un giovane dovrebbe essere allevato in essa – l’anima di una persona che è sopravvissuta gli anni della giovinezza è spesso un deserto emotivo, e nella migliore delle ipotesi rivela carenze in quegli atteggiamenti di fondo nei confronti della vita che una volta erano considerati normali e indispensabili.

Pochi sono coloro che oggi possono esprimere chiaramente le loro emozioni e idee e affrontarle in modo maturo, molti non sanno nemmeno cosa sta succedendo dentro di loro. La vita è suddivisa artificialmente in lavoro (e ben pochi ci possono mettere la parte migliore di se stessi, il loro cuore, perché è “solo per i soldi”), gioco (in cui molti vedono il vero significato della loro vita), religione (di solito non più di una o due ore alla settimana), e simili, senza una unità di fondo che dà senso a tutta la propria vita. Molti, trovando la vita quotidiana insoddisfacente, provano a vivere in un mondo fantastico di propria creazione (nel quale provano a far stare anche la religione). E alla base di tutta la cultura moderna c’è il denominatore comune del culto di se stessi e della propria comodità, cosa mortale per qualsiasi idea di vita spirituale.

Ecco qualcosa sullo sfondo, sul “bagaglio culturale”, che una persona porta con sé oggi quando diventa ortodossa. Molti, naturalmente, sopravvivono come ortodossi, nonostante il loro background, alcuni a causa di tale background sperimentano qualche disastro spirituale, ma per un buon numero rimangono storpi o per lo meno spiritualmente sottosviluppati, perché sono semplicemente impreparati e ignari delle reali esigenze della vita spirituale.

Per iniziare a considerare questo problema (e, si spera, per aiutare alcuni di quelli che ne sono turfati), vediamo qui brevemente la dottrina ortodossa sulla natura umana come esposta da un profondo scrittore ortodosso del XIX secolo, un vero Santo Padre di questi ultimi tempi – il vescovo Teofane il Recluso (+1892). Nel suo Libro, La vita spirituale (ristampato a Jordanville nel 1962), egli scrive:

“La vita umana è complessa e multiforme. In essa vi è un lato del corpo, un altro dell’anima, e un altro dello spirito. Ognuno di questi ha le sue facoltà e le sue esigenze, i suoi metodi e il loro esercizio e soddisfazione. Solo quando tutte le nostre facoltà sono in moto e tutti i nostri bisogni sono soddisfatti un uomo vive davvero. Ma quando solo una piccola parte di queste facoltà è in moto e solo una piccola parte dei nostri bisogni è soddisfatta, una vita non è una vita… Un uomo non vive in modo umano se tutto, in lui, non è in moto… Bisogna vivere come Dio ci ha creati, e quando non si vive così si può dire con fiducia che non si vive per niente” (p. 7).

La distinzione fatta qui tra “anima” e “spirito” non vuol dire che si tratta di entità separate all’interno della natura umana, ma piuttosto lo “spirito” è la parte più alta, e l'”anima” la parte inferiore, di una sola parte invisibile dell’uomo (che nel suo insieme è di solito chiamata “l’anima”). All'”anima” in questo senso appartengono quelle idee e sentimenti che non sono occupati direttamente con la vita spirituale, la maggior parte dell’arte umana, della conoscenza e della cultura, mentre allo “spirito” appartengono gli sforzi dell’uomo verso Dio attraverso la preghiera, l’arte sacra, e l’obbedienza alla legge di Dio.

Da queste parole del vescovo Teofane si può già individuare un difetto comune delle persone che oggi sono in cerca di vita spirituale: non tutte le parti della loro natura sono in moto, stanno cercando di soddisfare le esigenze religiose (le esigenze dello spirito) senza aver fatto i conti con alcune delle loro altre esigenze (in particolare, quelle psicologiche ed emotive), o peggio: usano la religione illegittimamente per soddisfare queste esigenze psicologiche. Per tali persone la religione è una cosa artificiale che non ha ancora toccato la loro parte più profonda, e spesso un evento sconvolgente della loro vita, o semplicemente l’attrazione naturale del mondo, è sufficiente a distruggere il loro universo di plastica, allontanandoli dalla religione. A volte queste persone, dopo esperienze amare della vita, ritornano alla religione: ma troppo spesso si perdono, o nel migliore dei cari rimangono paralizzati e senza frutto.

Il vescovo Teofane prosegue nel suo insegnamento: “Un uomo ha tre livelli di vita: dello spirito, dell’anima e del corpo. Ognuno di questi ha la sua somma di bisogni, naturali e appropriati a un uomo. Queste esigenze non sono tutte di uguale valore, ma alcune sono più alte e altre più basse, e la loro soddisfazione equilibrata dà all’uomo la pace. I bisogni spirituali sono i più alti di tutti, e quando sono soddisfatti, allora c’è la pace anche se gli altri non sono soddisfatti, ma quando i bisogni spirituali non sono soddisfatti, allora anche se gli altri sono soddisfatti in abbondanza, non c’è pace. Di conseguenza, la soddisfazione delle esigenze spirituali si chiama la cosa necessaria”.

“Quando i bisogni spirituali sono soddisfatti, essi istruiscono un essere umano a mettere in armonia con loro anche la soddisfazione dei propri altri bisogni, in modo che né ciò che soddisfa l’anima, né ciò che soddisfa il corpo contraddica la vita spirituale, ma l’aiuti, e ci sia quindi una piena armonia in un uomo di tutti i movimenti e le rivelazioni della sua vita, un’armonia di pensieri, sentimenti, desideri, realizzazioni, relazioni, piaceri. E questo è il paradiso! ”

Ai nostri giorni, l’ingrediente principale che manca in questa armonia ideale della vita umana è qualcosa che si potrebbe chiamare lo sviluppo emotivo dell’anima. È qualcosa di non direttamente spirituale, ma che molto spesso ostacola lo sviluppo spirituale. È lo stato di chi, mentre può pensare che ha sete di lotte spirituali e di una vita elevata di preghiera, è scarsamente in grado di rispondere alla normalità dell’amore e dell’amicizia umana, perché se uno dice: Io amo Dio, e odia il suo fratello, è un mentitore, poiché colui che non ama suo fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Giovanni 4:20).

In alcune persone questo difetto esiste in una forma estrema; ma come tendenza è presente in qualche misura in tutti noi che siamo stati cresciuti nel deserto emotivo e spirituale dei nostri tempi.

Stando così le cose, è spesso necessario per noi umiliare i nostri impulsi e sforzi apparentemente spirituali, e mettere alla prova la nostra disponibilità umana ed emotiva. A volte un padre spirituale potrà negare al suo figlio spirituale la lettura di qualche libro spirituale e dargli invece un romanzo di Dostoevskij o di Dickens, o lo incoraggerà a prendere confidenza con un certo tipo di musica classica, non con uno scopo “estetico” in mente, perché si può essere un “esperto” in materia e anche essere “emotivamente ben sviluppati” senza il minimo interesse per la lotta spirituale (e anche questo è uno stato sbilanciato) ma solo per affinare e formare la sua anima e renderla meglio disponibile a capire i genuini testi spirituali.

Il vescovo Teofane, nel suo consiglio a una giovane donna che si stava preparando nel mondo alla vita monastica, le permetteva di leggere (oltre ad altri libri non spirituali) certi romanzi “consigliati da persone ben intenzionate che li hanno letti”: Con questo in mente, la rubrica “Orthodox America” ​​consiglia e introduce alcune opere della letteratura e dell’arte (non escludendo la forma d’arte moderna del film) che possono essere utilizzate nella formazione delle anime, in particolare dei giovani, verso atteggiamenti umani ed emozioni che possono metterli in grado di comprendere e perseguire le mete più alte della vita spirituale.

 

Una parabola – la conversazione di un uomo con Dio
Una parabola – la conversazione di un uomo con Dio
Смысл жизни (Smysl zhizni, “Il senso della vita”)
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Ho chiesto a Dio di togliermi l’orgoglio, e Dio mi ha risposto: “No! Non posso toglierti io l’orgoglio; devi rinunciarvi tu stesso”.

 

Ho chiesto a Dio di donarmi la pazienza, e Dio ha risposto: “No! Non posso darti così semplicemente la pazienza; ti arriverà sopportando le prove.

 

Ho chiesto a Dio di darmi la felicità, e Dio ha detto: “No! Io posso darti una benedizione; ma sta a te decidere te sei felice o no.

 

Ho chiesto a Dio di risparmiarmi il dolore, e Dio ha detto: “No! La sofferenza ti aiuta a ricordarti di Dio, e ad avvicinarti a lui”.

 

Ho chiesto forza, e allora Dio mi ha mandato prove per rafforzarmi.

 

Ho chiesto sapienza, e allora Dio mi ha mandato problemi; ho imparato come risolverli.

 

Ho chiesto a Dio di insegnarmi ad amare gli altri così come egli mi ama. Dio ha detto, “Ora capisci ciò che devi chiedermi”, e mi ha mandato persone che avevano bisogno del mio aiuto.

 

Anche se non ho ricevuto nulla di quel che volevo, ho avuto tutto ciò di cui avevo bisogno!

 

Intervista sul matrimonio

Intervista sul matrimonio a padre Maksim Kozlov
Nella nuova sezione “Famiglia” della nostra rivista, stiamo pubblicando interviste a sacerdoti sul difficile tema delle relazioni familiari. In questo numero, Vinograd intervista il rettore della chiesa di santa Tatiana presso l’Università Statale di Mosca (MGU) e professore all’Accademia teologica di Mosca (MDA), l’arciprete Maksim Kozlov.Padre Maksim ha scritto i libri 400 вопросов и ответов о вере, церкви и христианской жизни(400 Domande e risposte sulla fede, la Chiesa, e la vita cristiana), 200 детских вопросов и недетских ответов о вере, церкви и христианской жизни (200 domande di bambini e risposte ai bambini sulla fede, la Chiesa, e la vita cristiana), Последняя крепость: Беседы о семейной жизни (L’ultima fortezza: conversazioni sulla vita familiare), e Клир и мир: Книга о жизни современного прихода (Il clero e il mondo: un libro sulla vita della parrocchia contemporanea). È autore di oltre 100 articoli e traduzioni (patristica, studi biblici, storia della Chiesa e giornalismo).

 

Aleksandra Vigiljanskaja:

Padre Maksim, purtroppo, oggi, l’attitudine verso il matrimonio sta perdendo il suo significato spirituale e metafisico. Crescono gli appuntamenti online, ci sono tutta una serie di show televisivi come Давай Поженимся (Davaj Pozhenimsja: Sposiamoci). Così, la scelta di un futuro partner è severamente limitata a specifici parametri quali altezza, peso e stato finanziario. La creazione di una famiglia diventa un compito puramente pragmatico, spesso, per raggiungere un certo status sociale, perché si deve compilare la casella dello “stato coniugale”, che completa l’immagine di un prospero uomo moderno “civilizzato”. Perché sta succedendo questo?

 

Padre Maksim Kozlov:

Non c’è da meravigliarsi che queste cose erodano la comprensione della famiglia come l’istituzione fondamentale senza la quale la normale vita sociale è impossibile. Se ritiriamo dalla nostra vita la base della visione religiosa del mondo, il valore del matrimonio esisterà solo per inerzia e solo per un tempo molto breve. Oggi, i processi di cui parla stanno diventando un problema a livello mondiale. Almeno, si tratta di una gran parte della civiltà umana, nei luoghi in cui le basi religiose si sono perdute. Ci sono stati risultati simili nei paesi ex socialisti, in cui lo stato ha mantenuto la religione fuori della società, ma c’è stato un risultato più distruttivo e terribile, molto più rapido, nei cosiddetti paesi occidentali “civili”, in cui la distruzione delle basi religiose ha avuto luogo volontariamente.

In effetti, come si può giustificare la famiglia, se non su principi religiosi? A parte la norma sulla famiglia stabilita da Dio, se non date per scontato che la fedeltà tra i coniugi e l’auto-sacrificio per i propri cari in famiglia hanno una certa priorità per l’eternità, a che pro, davvero, lottare per una famiglia forte e sana? Perché, mentre io sono ancora giovane, non dovrei vivere solo per il piacere, sfruttando l’unica vita che ho per estrarre da esso le massime sensazioni fisiche ed emotive? Perché non dovrei scegliere un “partner” attraverso tentativi ed errori, su una base di “appropriato o non appropriato”: questo ha più soldi, ma questo ha una posizione migliore e il suo futuro sembra più promettente, questo sembra più bello, perché non dovrei cercare qualcuno più giovane e più fresco? E i bambini? Bene, bene, non avere figli forse non è giusto, il prestigio e la posizione sociale ci obbligano a dare alla luce alcuni bambini, ma non dobbiamo caricarci, e se il nostro status sociale lo permette, possiamo affidarli agli operatori sanitari, come si addice a una famiglia “civilizzata”… Questa logica è molto chiara. Non è saggio aspettarsi un altro atteggiamento in una società non religiosa. In questo senso, le richieste di ripristino dei valori della famiglia senza il mantenimento dei fondamenti della ideologia religiosa sono destinate a fallire.

E ‘abbastanza naturale che lo sfondo di questo atteggiamento verso la famiglia attira metodi che facilitano la ricerca di un partner, da un partner per una notte (non sto parlando di servizi per denaro o dei numerosi forum su Internet su cui è possibile trovare facilmente un partner che soddisfa tutti i requisiti) a un partner con cui rimanere per un periodo più lungo. Questa ricerca è ristretta ai suoi elementi di base, i parametri più specifici utilizzati sono l’altezza, il peso, lo status sociale, la ricchezza, il colore degli occhi, l’istruzione, la proprietà di beni immobili… la scelta di un coniuge di oggi è come l’acquisto di un cavallo al mercato o la ricerca di una macchina su internet … non c’è alcuna differenza. Inoltre, lo ripeto, questa applicazione del sentimento dei consumatori alla famiglia non è necessaria. Il problema è come salvare quelle persone che continuano ad aderire ai tradizionali valori spirituali in questo mondo secolare, per dare loro la possibilità di nuotare contro il flusso della marea. Come si fa a sopravvivere in un ambiente ostile, come possiamo proteggere i nostri figli dai suoi effetti dannosi? Non ci sono risposte pronte e chiare a queste domande, ma almeno dovremmo essere consapevoli del fatto che si deve andare contro il flusso generale, che sono richiesti alcuni sforzi spirituali.

 

Aleksandra Vigiljanskaja:

Ci sono situazioni, dopo tutto, che ricordano proverbi popolari come “il cuore non si apre da solo”… Inoltre, per quanto cinici siano i requisiti per la vita futura sui siti di incontri, è chiaro che dovrebbero essere presenti alcune opzioni nella scelta di un coniuge. Sto parlando di quelli che aderiscono ai tradizionali valori spirituali e arrivano al matrimonio in termini cristiani. Quali dovrebbero essere i nostri criteri nella ricerca di un compagno di vita per i credenti? In generale, ci sono modi razionali per intraprendere una tale ricerca?

 

Padre Maksim:

Per fortuna, non ce n’è nessuno. Dico “per fortuna”, perché se potessimo programmarli in modo così preciso, allora saremmo diversi dagli utenti dei siti di incontri solo per i parametri che utilizziamo. Invece di criteri quali “altezza, peso, ricchezza, colore degli occhi”, saremmo interessati a cose come, per esempio, “religione, istruzione, famiglia, tradizione e nazionalità”. È lo stesso tipo di parametri esterni, perché in realtà non conosciamo le qualità che permetteranno anche all’uomo ortodosso più decente, garbato e istruito di diventare un buon marito per una particolare ragazza. Beh, le sue qualità non gli conquisteranno da sole il suo cuore. In questo, esistono leggi molto diverse. Questo non significa che non possiamo impostare in precedenza alcuni segnali interni sulla strada, del genere “strada pericolosa”, “svolta a gomito”, e “strada senza uscita”. È chiaro che ci sono situazioni in cui vi è un pericolo maggiore. Dobbiamo segnalare le più evidenti.

Il matrimonio con le persone di altre fedi è infinitamente rischioso. Direi che un tale matrimonio si può affrontare solo in casi assolutamente eccezionali. È ovvio che la coppia inevitabilmente affronterà non solo il problema delle differenze culturali, ma anche una questione seria, ovvero, in quale religione si educano i figli? Quale delle due? Il primo bambino sarà un cristiano ortodosso, e il secondo un buddista? Oppure la scelta si dovrà basare sul sesso del bambino? Le ragazze saranno cristiane, e i ragazzi musulmani? In alternativa, in generale, si potrebbero allevare al di fuori di ogni tradizione religiosa, con il rischio che i figli crescano atei? Tutte queste minacce saranno presenti sin dal primo istante in un tale matrimonio. Qui, se si dispone di un profondo senso di indiscussa dignità morale e umana, una dignità più forte delle differenze di tradizioni e di fede, sarebbe più saggio, anche prima del matrimonio cercare di trovare un’unità nella fede, se possibile. Se non lo si fa, poi, i rischi sono troppo alti per il futuro di una famiglia del genere. È arrogante di procedere con la presunzione che i sentimenti reciproci col tempo si appianeranno, si riconcilieranno, e tutte le differenze supereranno, perché una tale situazione spesso porta al disastro, soprattutto per i bambini.

Il matrimonio con un non credente è una cosa pericolosa. Non è una minaccia così evidente come il matrimonio con una persona fermamente eterodossa, ma tutti sanno che tali matrimoni sono intrinsecamente rischiosi. Purtroppo, oggi, ci sono molti matrimoni di questo tipo. Anche secondo le statistiche, le donne ortodosse sono una quota sproporzionata dei giovani in chiesa, basta guardare la composizione della congregazione di ogni parrocchia. Per ragioni oggettive, molte ragazze ortodosse sono costrette a sposare uomini molto lontani dalla Chiesa, e non abbiamo il diritto di condannarle, dopo tutto, una famiglia e la maternità sono il desiderio naturale di ogni donna. Cosa possiamo consigliare in questi casi? Se sono uomini onesti, se non sono pronti a professare la fede ortodossa, ma sono pronti a prendere le loro compagne così come sono, se sono a conoscenza delle restrizioni di comportamento insite nel vivere la propria vita secondo i precetti cristiani, allora c’è speranza per il futuro di questo matrimonio. Tuttavia, se c’è qualcosa che li irrita entrambi, che disturba la simpatia reciproca nel loro rapporto, un tale matrimonio è destinato a fallire. Se si riceve un sorriso scontento quando si va alla Veglia al posto della discoteca al sabato sera, se la regola quaresimale che impedisce far visita a un locale diventa un oggetto di scherno o di risentimento, o, se parlare di Dio e della vita spirituale porta a scontri violenti o a esasperazione reciproca, in tal caso aspettatevi che queste differenze persistano durante gli anni della vita di famiglia. Questo è il risultato di irresponsabilità e miopia. Se provate un tale matrimonio, è necessario essere pronti a grandi dolori e prove. Inoltre, dovreste pensarci non sette volte, ma settecento volte sette, prima di creare una famiglia.

Non dobbiamo incoraggiare i non credenti alle cerimonie di matrimonio religioso. Molto sobriamente, sappiamo che le basi della concezione sociale della nostra Chiesa affermano che, nella presente situazione storica, non consideriamo un matrimonio civile come una convivenza lasciva, non è un peccato che impedisce a una persona di ricevere i sacramenti della Chiesa. Naturalmente, non stiamo parlando di unioni non registrate, ma dei “matrimoni civili” e di famiglie riconosciute dalla legge civile che derivano da tali matrimoni. La Chiesa rispetta una tale famiglia. Naturalmente, in un matrimonio in cui uno dei coniugi è credente e l’altro no, è molto più onesto davanti a Dio alla coscienza limitarsi al diritto civile. Anche se il coniuge non credente è pronto a sposarsi in Chiesa per il bene di un altro, non lo si dovrebbe fare. Il matrimonio Chiesa stabilisce una famiglia come una piccola chiesa. Questo richiede un minimo di due persone che desiderano organizzare la loro esistenza successiva per dare le loro vite per Dio, per conformarsi agli ideali di servizio cristiano. È meglio crescere aspettando il momento in cui una famiglia come piccola chiesa diventerà una necessità interna, piuttosto che sposarsi e continuare una vita al di fuori della Chiesa. Vi è un particolare tipo di matrimonio che benedice una coppia che ha vissuto insieme per molti anni.

 

Aleksandra Vigiljanskaja:

Dal momento che stiamo parlando di matrimoni, potrebbe dirci qualcosa di più sul significato di questo sacramento? Che cosa succede esattamente durante la cerimonia di nozze?

 

Padre Maksim:

Ciascuno dei sette sacramenti non è solo una preghiera per qualcosa. Un sacramento è un incontro con Dio, quando Dio con la sua grazia, con la sua azione, entra veramente nella nostra vita. L’unione di due persone che intendono costruire una vita insieme, di amarsi, di aiutarsi a vicenda, rimanere fedeli l’un l’altro, e acquisire tolleranza, dà a un matrimonio una grazia divina. La grazia è sempre qualcosa di più rispetto alle persone, è una forza che ci dà molto più di quanto può dare anche la persona più bella e virtuosa. Nel battesimo, riceviamo ciò che non possiamo ottenere con le nostre forze, il perdono dei peccati da parte di Dio. Nell’Eucaristia, siamo uniti con Dio in un modo impossibile a qualsiasi forza spirituale, speculativa, filosofica o morale. In un matrimonio, il Signore, in un modo misterioso, assimila l’unione a quella tra Cristo e la sua Chiesa; fa della nostra famiglia una parte di un corpo più grande, la Chiesa di Cristo. Ci dà la speranza che quest’unione terrena continuerà in eterno, quindi, possiamo concludere che il matrimonio non è qualcosa di effimero, destinato a durare per circa 10, 20, 50, o 70 anni qui in questa vita terrena, ma vuole essere eterno. Ci rendiamo conto che nessuno può farlo con le proprie forze. La sua grazia è un dono dall’alto. Nel matrimonio, abbiamo un’occasione unica per promuovere il trionfo dell’amore di Dio nelle nostre vite, a dispetto di quelle naturali caratteristiche umane come la crescita reciproca dell’irritazione, del rifiuto, della dipendenza, di sentimenti offuscati, e di perdita di interesse per l’altro.

 

Aleksandra Vigiljanskaja:

I partner devono avere una benedizione per il matrimonio da parte dei genitori o dal loro confessore?

 

Padre Maksim:

Io inizierei con la benedizione dei genitori. La sua importanza è giustificata, ma si presume che ci sia stata una corretta educazione, il che implica una relazione tra genitori e figli che esistevano, per esempio, in una buona famiglia dell’epoca del Domostroj, come la descriveva l’arciprete Silvestr. Da un lato, i bambini devono mostrare volontà di obbedienza, che presuppone una fiducia infinita nei genitori e una piena accettazione della loro volontà. D’altra parte, i genitori devono essere disposti a portare una tale responsabilità per i loro figli. Devono effettuare per il loro bambino scelte che non si basano tanto sulle loro preferenze e priorità, anzi, devono considerare il bene finale dell’anima e la vita terrena dei loro figli. Quante volte vediamo simili relazioni esaltate tra genitori e figli nelle famiglie contemporanee, anche quelle ortodosse? Se siamo onesti, le vediamo raramente. Nell’odierna situazione della vita reale, il ruolo dei genitori è più un ruolo di saggi consigli, suggerimenti, e di correzione del comportamento dei loro figli nella scelta di un compagno di vita, e, a volte, essi cercano di proteggere i loro figli da un passo palesemente sbagliato e disastroso. Ci può essere una grande felicità, se la scelta dei figli coincide con il parere dei genitori, e i bambini ricevono sostegno e approvazione. Già nel 19° secolo, ricordiamo che i genitori non potevano vietare un matrimonio con cui erano in disaccordo. In una decisione, san Filarete disse che l’opposizione dei genitori non è una base per proibire un matrimonio. Pertanto, oggi, avere la benedizione dei genitori per il matrimonio è più un obiettivo e un bene morale, un ideale da raggiungere, ma non è un requisito canonico necessario.

Per quanto riguarda il proprio confessore, la sua partecipazione a una decisione così importante e significativa, ovviamente, tornerà solo a beneficio delle parti coinvolte. Non sto parlando di quei casi eccezionali anziani colmi di spirito, la cui santità è indiscutibile, e che possono guardare nelle nostre vite, nelle nostre anime, e nel nostro destino ben più di quanto può fare la gente comune. Naturalmente, i giovani che intendono sposarsi farebbero bene a cercare consiglio spirituale da un sacerdote, e fare ogni sforzo per far abbinare le proprie decisioni e azioni con i suoi commenti e avvertimenti. Tuttavia, non credo che un prete sarebbe saggio, se, in base alle sue osservazioni, preferenze, gusti, o valutazioni morali, esprimesse un severo divieto per impedire il matrimonio. I suoi consigli o avvertimenti dovrebbero dare un maggiore aiuto spirituale alla coppia. Anche se il sacerdote vede una catastrofe evidente nel matrimonio che viene, la cosa migliore che potrebbe fare sarebbe quella di cercare di ritardare il matrimonio per il tempo più lungo possibile, di allungare il tempo di conoscenza prematrimoniale dei giovani coinvolti. Questo li aiuterà ad adottare una soluzione più sobria, forse per volontà di Dio, come spesso è possibile vedere attraverso le circostanze della vita. Sappiamo quanto tempo distrugga i castelli in aria, e come realizzi il vero bene, a volte, a dispetto di tutta la nostra logica razionale e di tutta l’evidenza empirica.

 

Aleksandra Vigiljanskaja:

Si potrebbe avere un matrimonio prospero e felice senza amore? Per esempio, cosa ne pensa di un’alleanza tra persone che la pensano allo stesso modo, basata sul rispetto reciproco?

 

Padre Maksim:

Che cosa triste sarebbe un matrimonio del genere! Il tuo coniuge… solo un compagno di partito? Un collega? Tali matrimoni spesso si verificano quando una persona ha paura di non avere più tempo per creare una famiglia e ha fretta di trovare almeno qualcuno che le è più o meno vicino, per lo meno, nelle opinioni e credenze. Anche questo, in un certo senso, è un matrimonio di convenienza, l’unico vantaggio reciproco è la prosperità calcolata e gli interessi comuni. Se è così, allora, ci sono pochissime possibilità di una vera felicità. Certo, “i medici sono impotenti di fronte alla grazia di Dio, che offre quello che manca”, e può accadere che da un matrimonio fondato su un amore vuoto basato sulle passioni (страстной) possa germinare un vero amore sacrificale l’uno per l’altro. Quindi, anche da questo campo quasi sterile delle intenzioni cerebrali può crescere qualcosa di buono se costruiscono una vita insieme. Tuttavia, abbiamo bisogno di capire che le condizioni originali e iniziali sono il minimo indispensabile per consentire l’azione della grazia per realizzare un’unione. Una moglie non è solo una compagna di lavoro, e un marito non è solo un amichevole compagno di viaggio, con il quale si fa una piacevole chiacchierata sul treno.

 

Aleksandra Vigiljanskaja:

Alle donne si pensa, in primo luogo, come mogli e madri. È comprensibile che la maggior parte delle ragazze ortodosse desideri formare una famiglia. Allo stesso tempo, nell’ambiente ortodosso, c’è un problema evidente, ci sono nella maggior parte delle nostre parrocchie donne che provano solitudine e si sentono inutili. A causa di ragioni obiettive indipendenti dalla loro volontà, si scopre che queste donne non hanno posto per realizzare il proprio potenziale, per realizzare la loro vocazione alla cura della famiglia e all’educazione dei bambini. Cosa ne pensa, come e in quali settori le donne ortodosse possono mettere a buon frutto il proprio talento? La loro vera vocazione si trova solo nella maternità?

 

Padre Maksim:

Oggi, non direi che “Kinder, Küche und Kirche” (bambini, cucina e chiesa) sia l’unico modo possibile con cui le donne possono trovare compimento nel cristianesimo. Infatti, sappiamo di fatto che non lo è. Molte donne che hanno famiglie forti e crescono i figli con successo sono spesso attive nelle attività pubbliche, nelle arti creative, e anche nel mondo degli affari. Non sono inclini ad abbandonare queste attività, limitandosi solo alle cure domestiche. Si tratta di ben altra cosa, quando la famiglia cessa di essere una priorità importante per le donne. Se fanno una carriera a scapito della educazione dei loro figli e dei valori della famiglia, è chiaro che difficilmente possiamo chiamare questa una scelta cristiana. Fortunatamente, possiamo facilmente evitare tali dure alternative, e, ripeto, ci sono molti esempi in cui una donna è una moglie e madre in alcuni contesti, e in altri settori ha un ruolo professionale e pubblico.

Per quanto riguarda le donne single, che non riescono a creare una famiglia, vi è davvero un grosso problema nel trovare una nicchia che può contenere queste donne. Non tutte le donne sentono una vocazione al monachesimo, e di mandare qualcuno in un monastero con la forza, o fuggivi a causa di fallimenti personali … non è affatto utile. Se una donna non sente una vocazione al monachesimo, se non si impegna in quel tipo di vita, se non sente la chiamata di Dio a essere una sposa di Cristo, che tipo di tipo di monaca sarebbe? Tuttavia, allo stesso tempo, nella moderna pratica ecclesiastica, le donne trovano possibilità limitate di esercitare i propri talenti, e così questo problema non è ancora risolto. Naturalmente, possono realizzarsi nella sfera professionale. Per chi vuole esprimere i suoi sentimenti materni, una donna ontologicamente coerente ha cura dei propri figliocci o aiuta altre famiglie con i loro bambini. Può dare il proprio cuore a un bambino che non ha partorito. In generale, il percorso della singola donna nel cristianesimo è un problema che dobbiamo affrontare a tutti i livelli nella Chiesa. Dobbiamo trovare modi che possano aiutare queste donne a realizzare il loro potenziale; è una necessità. Cosa può offrire la Chiesa a queste donne se non il monachesimo? Potremmo creare nuove istituzioni nelle parrocchie, dove le donne potrebbero trarre beneficio e sentire il calore della cerchia familiare, dove possono sentirsi amate e comprese. Nella vecchia Russia, c’erano bambinaie, donne che assistevano le madri, e anche se non avevano ancora creato la propria famiglia, davano il loro amore e calore in un circolo familiare. A questa domanda non ho una risposta pronta, ma è chiaro che il posto di una donna sola nella Chiesa è un problema che ci sta davanti e richiede una risposta.

Alcuni nozioni essenziali di fede e pratica ortodossa

Alcune nozioni essenziali di fede e pratica ortodossa
Dell’igumeno Andrew (Wade)
Uno dei nostri parroci ortodossi, l’igumeno Andrew (nella foto), ha preparato questo testo introduttivo a uso di una parrocchia multietnica, con una maggioranza di fedeli serbi. Si tratta di un testo significativo dal punto di vista pastorale, perché riesce a creare familiarità tra le usanze tipiche di un determinato popolo ortodosso e le altre tradizioni ortodosse, e allo stesso tempo sa offrire un punto di partenza per la comprensione della vita di fede ortodossa per tutti coloro (ortodossi e non) che non ne sanno abbastanza. Ringraziamo padre Andrew per il cortese permesso di diffondere questo testo.Come entrare in chiesaQuando entriamo in chiesa, facciamo per tre volte il segno della croce con la mano destra, riunendo il pollice, l’indice e il medio allungati, mentre l’anulare e il mignolo sono ripiegati assieme in fondo al palmo. Le tre dita allungate significano la Santa Trinità (il Padre, il Figlio e il santo Spirito). Le altre due dita simbolizzano le due nature di Cristo (perfetto uomo e perfetto Dio). Quindi, veneriamo l’icona in mezzo alla chiesa, l’icona di Cristo a destra e l’icona della Madre di Dio a sinistra. Facciamo ogni volta il segno della croce e ci inchiniamo prima di baciare l’icona.

In seguito acquistiamo dei ceri. Le candele sono le stesse per i vivi e per i morti. Poniamo le candele per i vivi in ogni punto della chiesa, davanti all’icona di nostra scelta, ma quelle per i morti si pongono a sinistra, al tavolo della parastasi (panichìda)

 

 

Come comportarsi in chiesa

Non si deve mai discutere in chiesa: nessuno ha diritto di mettersi tra un’altra persona e Dio! Soprattutto, nessuna discussione politica! Se è inevitabile dire qualcosa, allora bisogna essere molto rapidi e parlare a bassa voce. Bisogna ascoltare attentamente la Liturgia, le preghiere, il Vangelo e l’omelia. Bisogna pure attendere la fine della Liturgia e venire a baciare la Croce nella mano del prete. Dopo la Croce, baciamo la mano del prete, non perché sia migliore della nostra, ma perché attraverso l’ordinazione ha ricevuto la grazia di Dio che ci trasmette. Se ci siamo comunicati, abbiamo cura di ascoltare attentamente le preghiere di ringraziamento che si leggono alla fine della Liturgia. Dunque bisogna assolutamente evitare di cominciare a fare conversazione in chiesa alla fine della Liturgia: per queste cose ci sono il cortile, il giardino, la sala parrocchiale…

Inclinazione del capo: Con questo gesto durante la lettura del Vangelo i fedeli esprimono il loro ascolto attento. La stessa cosa si fa quando i santi dono sono portati dal tavolo della preparazione (proscomidìa) al Santo Altare nel corso del Grande Ingresso, che simbolizza Cristo che va alla sua passione volontaria.

Prosternazioni: Ci mettiamo in ginocchio e abbassiamo il capo fino a terra per esprimere la penitenza. Queste prosternazioni (o grandi metanie) sono previste in tutte le chiese ortodosse nei giorni feriali della Grande Quaresima, alla fine dei vespri dopo la Liturgia della Domenica dei Latticini (alla vigilia della Grande Quaresima) quando chiediamo perdono gli uni agli altri, e alla Domenica della Venerazione della Croce (terza domenica di Quaresima). È sbagliato immaginare che le prosternazioni siano state copiate dall’islam, poiché i cristiani ortodossi le facevano ben prima che l’islam apparisse nel settimo secolo.

Inoltre, quando alla sera della domenica che precede l’inizio della Grande Quaresima tutti i fedeli delle nostre chiese si prosternano fino a terra, possiamo essere sicuri che lo stesso gesto viene fatto contemporaneamente da sua Santità il Patriarca Pavle di Serbia e da tutti i preti ortodossi serbi con i loro fedeli nelle loro chiese e, di certo, anche da tutti i preti e fedeli nel corso degli offici in tutte le chiese ortodosse del mondo intero.

Alcuni dei nostri fedeli si sorprendono quando sentono nel Simbolo di fede in lingua italiana l’espressione seguente: credo nella Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Da dove viene questa parola cattolica quando in lingua serba lo stesso passo è verujem u jednu, svetu,vaseljensku (oppure sabornui apostolsku Crkvu? Qui si tratta semplicemente della traduzione del temine greco katholikì, che vuol dire «universale» nel senso che ogni chiesa locale è è ortodossa se è conforme a tutte le altre chiese ortodosse. Questo è il senso delle due possibili traduzioni serbe vaseljenska o saborna, e questo è il senso della parola italiana cattolica. È dunque perfettamente ortodosso utilizzare il termine cattolica in questo contesto. In ogni caso, non vuol dire che crediamo nella Chiesa cattolica romana o nel Vaticano!

 

La Divina Liturgia

La Liturgia è composta di due parti: la Parola, e l’«Eucaristia» (evharistija). La Parola è composta di preghiere e di letture del Nuovo Testamento e del Vangelo. L’omelia spiega le letture. «Eucaristia» significa «rendimento di grazie». Il pane e il vino preparati prima dell’inizio sono portati all’altare. Si tratta del Grande Ingresso, che simbolizza la deposizione del corpo di Cristo sull’altare (la tomba). Il prete ricorda come Cristo ha dato pane e vino ai suoi discepoli nella notte prima della sua morte, dicendo: « Prendete, mangiate, questo è il mio corpo» ; «Bevetene tutti, questo è il mio sangue», e chiede a Dio Padre di inviare lo Spirito Santo per cambiarli nel vero corpo e sangue di Cristo. Dopo il «Padre Nostro», tutti sono invitati a partecipare.

 

Confessione e Comunione

Noi ci confessiamo e ci comunichiamo almeno quattro volte l’anno. La confessione si fa la sera prima, o prima dell’inizio della Liturgia. Se uno vuole confessarsi, deve dirlo al prete prima dell’inizio della Liturgia. Ecco ciò che possiamo leggere in un opuscolo recentemente pubblicato dalla Chiesa Ortodossa Serba: «Purtroppo, il santo Mistero della confessione è troppo poco praticato nella nostra nazione, e può essere che l’assenza di disciplina penitenziale sia una delle ragioni del nostro declino morale e spirituale. Noi ci confessiamo in chiesa o in un luogo speciale, a fianco del prete. Il fedele confessa tutto ciò che lo tormenta nell’anima e che lo accusa nella coscienza: tutti i suoi peccati, compresi quelli commessi nel pensiero e nel desiderio. La grande importanza della confessione è evidente per quanti la praticano, poiché dopo la confessione essi provano un grande sollievo, come se un grande peso fosse stato sollevato dalla loro anima e dal loro cuore, e tutto il loro essere sembra invaso da una beatitudine ineffabile. Non si deve avere paura di confessarsi, poiché il prete è impegnato solennemente a non rivelare mai un singolo peccato che gli sia stato confessato nel corso della vita.»

L’ideale sarebbe potersi comunicare ogni volta (Cristo ha detto: «Bevetene tutti»), ma ciò non è possibile per tutto il mondo. Per quanto vi sia da lungo tempo il costume nelle chiese serba, greca e russa di non comunicarsi che quattro volte all’anno, e di digiunare per sette giorni prima di ogni comunione, oggi sono sempre più numerosi in queste stesse chiese i fedeli che, con la benedizione del loro padre spirituale, ritornano alla pratica apostolica della comunione in tutte le domeniche, digiunando il mercoledì e il venerdì. In queste cose non dobbiamo avere conflitti o giudicarci gli uni gli altri. Ciascuno deve agire secondo la propria coscienza, in seguito alla benedizione del proprio padre spirituale. Bisogna sottolineare che chi si prepara a comunicarsi deve astenersi da pensieri e azioni malvagie, e riconciliarsi con il proprio prossimo. Non dobbiamo mangiare o bere nulla, né fumare, dalla mezzanotte fino al momento della comunione.

Come ci si comunica? Ci accostiamo umilmente al calice, con le mani incrociate sul petto. Quando ci troviamo davanti al prete dobbiamo dire il nostro nome a voce chiara. Apriamo la bocca perché il prete possa depositarvi la santa comunione, e non la richiudiamo prima che abbia ritirato il cucchiaio. In tal modo evitiamo il rischio che la santa comunione cada per terra. Le donne non devono avere le labbra truccate quando vengono alla comunione. Dopo avere ricevuto la comunione, baciamo il calice. Facciamo il segno della croce prima e dopo la comunione, ma lontano dal calice, per evitare ogni incidente. Dopo che ci siamo comunicati, mangiamo un boccone di pane benedetto (prosfora, anafora) e beviamo un poco di vino misto ad acqua calda per purificarci la bocca. La comunione non si «prende», si riceve.

 

Digiuno e Quaresime

Nei giorni di digiuno non mangiamo cibi di origine animale, quindi niente carne, pesce, uova, latticini (formaggio, latte). Non beviamo vino, e non usiamo olio d’oliva negli alimenti. Vino e olio d’oliva sono sempre permessi al sabato e alla domenica. Il pesce è permesso nelle feste dell’Annunciazione (Blagovesti) e della Domenica delle Palme (Cveti).
I quattro periodi di digiuno sono: La Grande Quaresima – 6 settimane prima di Pasqua La Quaresima dei Santi Apostoli – da 8 giorni dopo Pentecoste fino alla festa degli Apostoli Pietro e Paolo (29 giugno / 12 luglio) La Quaresima della Dormizione – due settimane prima della Dormizione della Madre di Dio (Velika Gospojina) (15 / 28 agosto) La Quaresima del Natale – sei settimane prima della Natività (25 dicembre / 7 gennaio).

Noi digiuniamo tutti i mercoledì e venerdì dell’anno, e in alcuni altri giorni come la vigilia dell’Epifania (Krstovdan). Non c’è digiuno tra Natale e la vigilia dell’Epifania  (Bogojavljenje), né nella Settimana Luminosa (la settimana che segue la Pasqua). I periodi di digiuno più importanti, in cui va fatto il più grande sforzo, sono la prima e l’ultima settimana della Grande Quaresima, e i venerdì di tutto l’anno. Il digiuno non consiste solo nell’astinenza dagli alimenti d’origine animale: come sottolinea sovente sua Santità il Patriarca Pavle di Serbia, si tratta di un tempo particolarmente consacrato alla preghiera intensa, all’astinenza dai pensieri malvagi e alla riconciliazione con tutti.

 

Frequentazione della chiesa

La norma è di andare in chiesa tutte le domeniche e tutte le grandi feste. È considerato un grave peccato lasciare passare un mese senza partecipare alla Liturgia. Vi è dunque un minimo assoluto di una volta al mese, e nelle grandi feste. Gli offici della Grande Settimana prima della Pasqua sono ugualmente molto importanti.

Non dimentichiamoci che essere cristiani ortodossi significa amare e perdonare gli altri. Non si deve giudicare il prossimo, né andare in collera. Si deve discutere con calma ed evitare gli insulti e le espressioni offensive. Non si deve reagire agli insulti. Non si deve desiderare o commettere adulterio.

 

Krsna Slava

La Krsna Slava è una particolarità serba, sconosciuta tra gli altri ortodossi. Quando San Sava ha battezzato il popolo serbo, ha donato loro la krsna slava in onore dei santi del giorno del loro battesimo. Vi sono diversi costumi locali, ma ogni famiglia ortodossa serba deve celebrare la propria slava. Quando il figlio lascia la casa paterna per stabilirsi in un’altra casa, il padre gli «trasmette la slava» (predaje slavu). In seguito, il figlio celebrerà la slava, così come il proprio padre. Per la slava, si portano i colivi (zhito) (un piatto di grano bollito e zuccherato che simbolizza la risurrezione dei morti) per farli benedire in chiesa. In casa, si prepara anche il pane (kolach), il vino, e il cero. Si possono benedire pane e vino e spezzare il pane a casa assieme al prete, ma anche in chiesa – soprattutto nei nostri paesi, dove i fedeli vivono tanto lontano gli uni dagli altri.

 

La casa

Ogni casa nuova deve essere benedetta dal prete. In casa si tengono in posizione d’onore le icone di Cristo, della Madre di Dio, e del santo patrono (quello della slava presso i serbi). In una casa ortodossa, le icone si trovano in ogni stanza salvo i bagni. I cristiani ortodossi devono pregare in casa tutti i giorni, al mattino e alla sera. Queste preghiere comprendono il ringraziamento a Dio per tutto quanto ci ha donato, la richiesta di perdono per le nostre colpe, le preghiere per i vivi e i morti, e la richiesta di aiuto per la nostra vita.

 

Nascita e Battesimo

Quando nasce un bambino, si deve chiamare il prete. Vi sono preghiere per la madre e il neonato al primo giorno, l’imposizione del nome all’ottavo giorno, e le preghiere di purificazione della madre il quarantesimo giorno. In seguito, si può battezzare il bambino, di preferenza entro i primi tre mesi. Noi battezziamo per immersione completa per significare la morte e la risurrezione di Cristo, alle quali partecipiamo. Quindi, l’infante viene unto con il Santo Crisma o Myron (sveti mir) per confermare il dono dello Spirito Santo. I padrini e madrine (kumovi) professano la fede ortodossa a nome dell’infante – ed è per questo che devono obbligatoriamente essere cristiani ortodossi. Presso i serbi, l’istituto di padrino si trasmette di generazione in generazione. Se il padrino (kum) ha problemi ad arrivare (dalla Bosnia o dall’Australia…), può essere rappresentato da altri – se è d’accordo –, rimanendo lo stesso il kum. Non bisogna ritardare per questa ragione i battesimi o i matrimoni. Il terzo Mistero (sveta tajna) dopo il Battesimo e la Cresima (miropomazanje) è la Santa Comunione. È per questo che noi preferiamo battezzare prima della Liturgia. Il battesimo è identico sia per i bambini che per gli adulti.

 

Matrimonio

Si deve preparare con molta serietà, poiché è una scelta per tutta la vita. Quando i due fidanzati sono ortodossi (questo è l’ideale proposto dalla Chiesa), saranno d’accordo per il battesimo e l’educazione dei bambini. Bisogna chiedere il permesso del vescovo per sposarsi in chiesa con un cristiano di un’altra chiesa (protestante o cattolico). Non ci si può sposare in chiesa con un non battezzato, o con un giudeo o musulmano. Se qualcuno prevede un tal matrimonio, è indispensabile consultare il prete. È contrario all’insegnamento della Chiesa che le persone vivano insieme senza essere sposati. Qui bisogna anche ricordare che la Chiesa Ortodossa considera l’aborto come omicidio. Non è sufficiente essere sposati in comune. Un matrimonio in una chiesa cattolica o protestante non ha alcun valore per la Chiesa Ortodossa. Non si celebrano i matrimoni nei giorni di digiuno, né di sabato. Se per una ragione eccezionale ci si vuole sposare di sabato, ci vuole il permesso del vescovo.

 

I malati

Se qualcuno cade gravemente ammalato, bisogna chiamare il prete. Il malato ha bisogno della confessione, della comunione, e dell’unzione dei malati (jelejopomazanje). È una cosa molto grave lasciare morire qualcuno senza questi misteri. Bisogna anche chiamare il prete subito dopo un decesso per il primo officio funebre (parastos) e per organizzare i funerali.

 

Alcuni pregiudizi

Spesso immaginiamo che certe usanze di vita cristiana siano leggi della Chiesa. Il banchetto funebre sulla tomba dopo le esequie (daca na groblju) è tipico della Serbia, ma non tra i serbi di Dalmazia, che appartengono alla stessa chiesa e che organizzano un pasto alla memoria del defunto in casa, dopo i funerali. Qui si tratta di costumi locali, che non significano in alcun modo che gli uni siano più ortodossi degli altri. Un’espressione serba lo dice molto bene: «Cento villaggi – cento costumi». La legge della Chiesa ci richiede solamente di portare i colivi (zhito) che esprimono la nostra fede nella risurrezione, poiché il grano sepolto nella terra porta una nuova vita come il defunto che rivivrà nella risurrezione. Così i colivi sono una legge per tutti gli ortodossi, mentre le altre usanze sono costumi locali.

Talvolta si sente questa domanda: «Uno che non è nato ortodosso ma lo è divenuto più tardi, o che è nato da un matrimonio misto, può divenire prete ortodosso?» Le ultime parole di Cristo prima della sua ascensione al cielo sono: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e del santo Spirito» (Mt 28:19). Il santo Apostolo Paolo dice: «Non vi è giudeo né greco…, ma tutti noi siamo uno in Cristo». È dunque chiaro che Cristo ha fondato la Chiesa universale per tutte le nazioni senza distinzione. Per di più, tutti i vescovi e preti ordinati dagli apostoli erano nati da genitori non cristiani. Di conseguenza, le origini nazionali o religiose non hanno alcuna importanza. Il grande vescovo serbo San Nicola Velimirovic ha detto: «Cristo era anti-nazionalista e anti-imperialista – contro il nazionalismo ebreo e contro l’imperialismo romano». Inoltre, il nazionalismo che pretende che una nazione sia superiore a un’altra è contrario allo spirito dell’Ortodossia ed è stato condannato come eresia al Concilio di Costantinopoli del 1871.

Un’altra domanda motivata da pregiudizi è la seguente: «Le donne possono comunicarsi durante il loro ciclo mestruale?» La risposta è molto semplice: «sì», anche se in molti paesi ortodossi le donne non entrano neppure in chiesa e non venerano le icone nei giorni del loro ciclo. San Gregorio il Grande scrisse nel settimo secolo che questo è un «costume giudaico», poiché i giudei considerano il sangue mestruale come impuro. San Gregorio dice che le donne possono comunicarsi liberamente nei giorni del ciclo, ma che non bisogna forzarle a farlo per rispetto della loro coscienza.

 

Igumeno Andrew (Wade), Belfort, 11.6.2000

La croce ortodossa Russa

Spiegazione della croce russa e del suo simbolismo
LA CROCE ORTODOSSA RUSSAAttraverso la Croce è giunta la nostra salvezza. L’immagine del Signore crocifisso ci ricorda costantemente che Cristo è morto per noi, e che è risorto dai morti. Qui sotto vedrete una spiegazione della Croce nella tradizione ortodossa russa, scoprendo a ogni passo il simbolismo in essa racchiuso.

Sulla Croce è raffigurato il nostro Salvatore, Gesù Cristo. Notate che non porta la corona di spine, e che i suoi piedi sono inchiodati con due chiodi.  Dietro il corpo di Cristo, sui lati, ci sono una lancia (quella che gli trafisse il costato) e una spugna (quella che fu imbevuta di aceto e fiele e fu offerta a Cristo da bere) su un palo fatto di canna. Sul fianco di Cristo sono raffigurati il sangue e l’acqua che escono dal suo costato. Sotto ai piedi di Cristo ci sono quattro lettere dell’alfabeto slavonico che significano: “Il luogo del cranio è diventato il paradiso”. Nascosto in una caverna sotterranea è il ‘cranio di Adamo’. In questo modo ci viene ricordato che Adamo, nostro progenitore, ha perduto il paradiso per mezzo dell’albero del quale ha partecipato ingiustamente; Cristo è il nuovo Adamo, che ci porta la salvezza e il paradiso attraverso l’albero della Croce. La città di Gerusalemme è raffigurata sullo sfondo, dato che egli fu crocifisso al di fuori delle mura della città.

La barra superiore

La barra superiore è la scritta che Pilato ordinò di appendere per scherno al di sopra del capo di Cristo sulla Croce. Su questa tavola era scritto: “Gesù di Nazaret, Re dei Giudei” in ebraico, greco e latino (abbreviato in greco con le iniziali ‘INBI’ o in latino con ‘INRI’ nella tradizione occidentale). Questa è talvolta rimpiazzata dall’iscrizione cristiana: “Il Re della Gloria” – che qui è sotto le ginocchia degli angeli. Sulla tavola qui sono iscritte le iniziali ‘IC XC’, che sono le prime e le ultime lettere del nome di Gesù Cristo in greco. In aggiunta, proprio al di sopra delle braccia di Cristo vediamo l’iscrizione: ‘NIKA’, che in greco significa: “Egli conquista” o “Egli è vittorioso.” Frequentemente, vediamo insieme queste due espressioni: ‘IC XC NI KA’, con il significato: ” Gesù Cristo vince” (cioè, vince la morte e il peccato).

La barra centrale

La barra centrale è quella sulla quale sono state inchiodate le mani del Signore. Sugli angoli superiori vediamo le raffigurazioni del sole (a sinistra) e della luna (a destra), che ci ricordano il verso del profeta Gioele, “Il sole si muterà in tenebra, e la luna in sangue.” (Gl 2:31) L’iscrizione: “Il Figlio di Dio” è posta ai lati del capo di Cristo, e sotto le sue braccia leggiamo l’iscrizione: “Ci prosterniamo davanti alla tua Croce, o Sovrano, e glorifichiamo la tua santa Risurrezione”. Sull’aureola di Cristo sono iscritte le lettere greche che significano “L’Esistente” o “Colui che è”, per ricordarci che Cristo è lo stesso Dio che si è identificato con queste parole a Mosè nell’antica legge.

La barra inferiore

La barra diagonale inferiore è il suppedaneo (piedistallo o supporto per i piedi). Ci sono alcune dispute se ce ne fosse davvero uno sulla Croce di Cristo, ma nella Croce ortodossa è riconosciuto come un attributo necessario della Croce, degno di venerazione, e a cui si fa allusione profetica nelle parole “Adoriamo lo sgabello dei suoi piedi… (Salmo 98:5).

Nelle preghiere dell’Ora Nona, la Chiesa assimila la Croce a una sorta di bilancia della giustizia: ” In mezzo ai due ladroni la tua Croce è stata bilancia di giustizia: per l’uno, che fu spinto all’inferno dal peso della sua bestemmia, ma anche per l’altro, che fu alleggerito delle colpe per la sua conoscenza della teologia; Cristo Dio, gloria a te.” I Padri della Chiesa hanno cercato di rendere tangibile l’idea che il ladrone infedele scende all’inferno a causa della sua bestemmia, attraverso il giusto giudizio di Dio (la punta inferiore della barra), e che il buon ladrone va in paradiso per il suo pentimento e la sua lode a Dio (la punta superiore).

 

La prima visita a una chiesa ortodossa

La prima visita a una chiesa ortodossa
Della presbitera Federica Matthewes-Green
 Le dodici cose che avrei voluto saperedella presbitera Federica Mathewes-Green1. “In piedi per Gesù.”
Nella tradizione ortodossa, i fedeli stanno in piedi praticamente per tutta la funzione. Davvero. In alcune chiese ortodosse, non troverete neppure una sedia, tranne alcune sparpagliate ai bordi della navata a beneficio di qualche ya-ya e papou (come i greci chiamano affettuosamente il nonno e la nonna). Ma aspettatevi ampie varianti nella pratica: alcune chiese, soprattutto quelle che hanno ottenuto il loro edificio da altre denominazioni, avranno banchi ben usati. In ogni caso, se trovate che tutto quello stare in piedi sia troppo per voi, sedetevi pure e riposatevi. Con la pratica, diventa più facile.
2. Come, niente inginocchiatoi?
In generale, non ci inginocchiamo. Talvolta ci prosterniamo. Questa non è come la prosternazione nella tradizione cattolica, dove ci si appiattisce a terra. Per fare una prosternazione ci inginocchiamo, poniamo le mani sul pavimento e tocchiamo la fronte a terra tra le nostre mani. È un po’ come in quelle foto delle preghiere pubbliche musulmane, dove sembra che ci sia un mare di schiene. All’inizio la prosternazione sembra imbarazzante, ma nessun altro si imbarazza, per cui dopo un po’ ci si sente a posto. Talvolta ci prosterniamo e ci rialziamo subito, come durante la preghiera di Sant’Efrem il Siro, che è usata frequentemente durante la Quaresima. Altre volte ci gettiamo a terra e rimaniamo così per un certo tempo, come durante una parte della Preghiera eucaristica. Non tutti si prosternano. Alcuni restano in ginocchio, altri stanno in piedi a capo chino, o siedono incurvando in dorso. Se si sta in piedi con aria imbarazzata, va bene lo stesso. Nessuno noterà se non vi prosternate. Nell’Ortodossia c’è un’accettazione molto più ampia di espressioni individualizzate di pietà, e molta meno sensazione che la gente ti osserva e si offende se fai le cose nel modo sbagliato. Un ex-prete episcopaliano ha detto che vedere la gente prosternarsi è una delle cose che lo ha reso più ansioso di diventare ortodosso. “Così è come dovremmo essere di fronte a Dio.”
3. Occhio ai gesti.
Nelle chiese ortodosse il bacio è un gesto molto usato. Quando entriamo in chiesa, per prima cosa baciamo le icone (idealmente, Gesù sui piedi e gli altri santi sulle mani). Noterete che alcuni baciano il calice, altri baciano il bordo dei paramenti del prete al suo passaggio, gli accoliti baciano la sua mano quando gli danno l’incensiere, e tutti ci mettiamo in fila per baciare la croce al termine della funzione. Ci baciamo reciprocamente prima di ricevere la Comunione. Quando i cattolici e gli anglicani passano il saluto di pace, danno un abbraccio, una stretta di mano o un accenno di bacio sulla guancia; questo è il modo con cui gli occidentali si salutano. Nel mondo ortodosso circolano culture differenti: i greci e gli arabi baciano su due guance, gli slavi tornano indietro per un terzo bacio. Seguite i gesti di chi vi circonda, e fate attenzione a non battere il naso. Il saluto consueto è “Cristo è in mezzo a noi”, e la risposta “Lo è, e lo sarà.” Non preoccupatevi se lo sbagliate. Il saluto non è quello familiare “La pace del Signore sia con te,” e neppure “Salve, che bella chiesa che avete…”
4. In hoc signo.
Dire che facciamo frequentemente il segno della croce vorrebbe dire sottovalutarci. Ci segniamo tutte le volte che la Trinità viene menzionata, e in altre occasioni: ci sono dozzine di opportunità nel corso della liturgia. Non ci si aspetta che la gente le azzecchi tutte. Alcuni (solitamente i greci) si fanno tre volte il segno della croce, e altri concludono il gesto con un movimento circolare della mano verso terra. Ci segniamo con la mano destra da destra a sinistra (spingendo, non tirando), l’opposto dei cattolici e anglicani. Teniamo la mano in un modo prescritto: pollice e prime due dita unite assieme, le altre due dita premute sul palmo. Qui come ovunque, l’impulso ortodosso è quello di fare tutto quello che facciamo per rafforzare la fede. Riuscite a figurarvi il simbolismo?
5. Pane benedetto e pane consacrato.
Solo gli ortodossi possono ricevere la comunione, ma chiunque può avere un pezzo del pane benedetto. Ecco come funziona: il pane rotondo della comunione, cucinato da un parrocchiano, è stampato con un sigillo; prima della liturgia, il prete taglia una sezione del sigillo e la mette da parte; questa è chiamata “Agnello”. Il resto del pane è tagliato e posto in un ampio cestino, e benedetto dal prete. È chiamato “antidoro”. Durante la preghiera eucaristica, l'”Agnello” è consacrato per diventare il Corpo di Cristo, e il vino nel calice è consacrato per diventare il suo Sangue. E qui c’è la parte straordinaria: il prete pone l'”Agnello” nel calice, dove si sfalda. Quando riceviamo la comunione, ci mettiamo in fila davanti al prete, stando in piedi e aprendo la bocca mentre egli ci dà un frammento del pane inzuppato nel vino con un cucchiaio dorato. Egli pronuncia anche per noi una preghiera, chiamandoci con il nostro nome di battesimo (o di cresima, se siamo stati ricevuti in tal modo nella Chiesa). In seguito, un chierichetto ci porge il cesto con i cubetti di pane benedetto. I fedeli ne prendono per sé e per i visitatori e per gli amici non ortodossi. Se qualcuno vi dà un pezzo di antidoro, non fatevi prendere dal panico: non è il Corpo eucaristico. È un segno di fraternità.
6. Dov’è la Confessione generale?
Nella nostra esperienza, non abbiamo alcun peccato generale; sono tutti piuttosto specifici. Non esiste alcuna preghiera completa di confessione nella liturgia. Ci si aspetta che gli ortodossi facciano una regolare e completa confessione al loro prete. Il ruolo del prete è molto più quello di un padre spirituale di quanto lo sia in altre denominazioni. Egli non è chiamato con il solo nome di battesimo, ma ci si rivolge a lui come “Padre Taldeitali.” Anche sua moglie ha un ruolo speciale come madre della parrocchia, e anche lei ha un titolo, che varia da un’area etnica all’altra: “Khouria Taldeitali” (arabo), “Matushka Taldeitali” (russo), o “Presbitera Taldeitali” (greco). Tutti questi non significano altro che “moglie del prete”. Inoltre, non ci inchiniamo né ci genuflettiamo durante il “e si è incarnato” del Credo niceno. Non ci asteniamo dall’uso della parola “Alleluia” durante la Quaresima. Di fatto, durante i Mattutini quaresimali, gli Alleluia sono più abbondanti che mai. Infine, quando nel Credo diciamo che lo Spirito Santo procede dal Padre, se qualcuno per forza di abitudine aggiungerà: “e dal Figlio”, sarà il solo a farlo.
7. Musica, musica, musica.
Circa il 75% della funzione è canto corale. Tradizionalmente, gli ortodossi non usano strumenti, anche se in qualche chiesa si troverà un organo. Di solito un piccolo coro porta i fedeli in un’atmosfera di cappella, con il livello di risposta della congregazione variabile da parrocchia a parrocchia. Questo canto costante dapprima è un po’ travolgente; ci si sente come sul primo scalino di una scala mobile, trascinati via di forza finché non si scende 90 minuti dopo. È stato detto a ragione che la liturgia è un unico canto continuo. Ciò che le impedisce di essere sfiancante è il fatto che il canto è lo stesso ogni settimana. Pochissimi cambi di domenica in domenica; le stesse preghiere e inni cadono allo stesso posto, e prima che sia passato molto tempo li si sa a memoria. Allora ci si ritrova alla presenza di Dio in un modo che non sarebbe possibile stando continuamente a saltare da un messale a un bollettino a un innale.
8. L’incubo degli editori
Esiste un modo conciso di dire qualcosa? Si possono eliminare gli aggettivi superflui? Si può concentrare la prosa più asciutta e più appropriata a un livello ancor più raffinato? Allora questo non è culto ortodosso. Se c’è un modo più lungo di dire qualcosa, gli ortodossi lo troveranno. Come disse una volta un prete anglo-cattolico, “Il Cristo Risorto richiede gioielli!” Nel culto ortodosso, c’è di più e sempre di più, in ogni area inclusa la preghiera. Quando il prete intona, “Completiamo la nostra preghiera al Signore,” aspettatevi di essere ancora lì in piedi 15 minuti dopo. La liturgia originale durava qualcosa di più di 5 ore; quella gente doveva essere infuocata per Dio. La Liturgia di San Basilio accorciò tutto questo a circa 2 ore e mezza, e in seguito (intorno all’anno 400) la Liturgia di San Giovanni Crisostomo lo ridusse ulteriormente a 1 ora e mezza. La maggior parte delle domeniche usiamo la Liturgia di San Giovanni Crisostomo, anche se per alcune ricorrenze (per esempio, le domeniche di Quaresima, o il Natale) interpoliamo alcune delle preghiere più lunghe di San Basilio. Quando arrivate per la Divina Liturgia alla domenica mattina, la funzione sarà già iniziata, e vi sentirete in imbarazzo per essere arrivati in ritardo. Ma non sarete in ritardo, significa solo che il prete e alcuni parrocchiani staranno officiando il Mattutino, che inizia un’ora prima. La Divina Liturgia segue a ruota, e il momento d’inizio fissato sugli avvisi è solo approssimativo. Prima del Mattutino, il prete compie altre funzioni preparatorie; starà all’altare per oltre tre ore alla domenica mattina, “immerso nella fiamma,” come disse un prete ortodosso. L’Ortodossia non è fatta per coloro che trovano la chiesa noiosa.
9. Pazzi per Maria
La amiamo, e si vede. che possiamo dire? È sua Mamma. Non che pensiamo che lei o qualsiasi altro santo abbiano poteri magici o siano semi-dei. Ma, così come chiediamo le preghiere gli uni degli altri, chiediamo anche le loro preghiere. Non sono morti, dopo tutto, ma solo dipartiti all’altra sponda. Le icone ci circondano, in parte, per ricordarci che tutti i santi sono invisibilmente uniti a noi nel nostro culto.
10. Dietro la porta numero tre.
Ogni chiesa ortodossa avrà un’iconostasi davanti al suo altare. “Iconostasi” significa “piedistallo per le icone”, e può essere tanto semplice come una grande immagine della Vergine e del Bambino su un cavalletto a sinistra, e una corrispondente immagine di Cristo sulla destra. In una chiesa più elaborata, l’iconostasi può essere letteralmente una parete, adornata di icone, che blocca la visione dell’altare, tranne quando le porte centrali si aprono. La sistemazione basilare di due grandi icone crea, se usate la vostra immaginazione, tre porte. Quella centrale, che incornicia lo stesso altare, è chiamata “Porta reale,” poiché è da qui che il Re della Gloria esce verso la congregazione nell’Eucaristia. Solo al prete, che porta l’Eucaristia, è permesso usare la Porta reale. Le aperture sugli altri lati delle icone, se c’è una iconostasi completa di porte, avranno figure di angeli; sono chiamate “Porte del diacono”. Le usano i chierichetti e altri che hanno compiti all’altare, anche se nessuno deve andare dietro le porte senza un’appropriata ragione. Il servizio all’altare – preti, diaconi e altri servitori – è ristretto ai maschi. Le femmine sono invitate a prendere parte in ogni altra area della vita della Chiesa, e il loro  contributo è stato onorato in modo uguale a quello dei maschi sin dai tempi dei martiri; non potete guardare un altare ortodosso senza vedere Maria e le altre sante donne. Nelle chiese ortodosse, le donne compiono tutti gli altri compiti che spettano agli uomini: dipingono icone, insegnano nelle classi, leggono l’epistola e servono nel consiglio parrocchiale.
11. Pensare al digiuno.
Quando i neoconvertiti apprendono le discipline ortodosse riguardo al digiuno, la loro prima reazione è “mi stai prendendo in giro.” Noi digiuniamo molto, anche se la parola “digiuno” non significa la totale astensione dal cibo della tradizione cattolica e protestante. Digiuniamo frequentemente dalla carne: quasi tutti i mercoledì e i venerdì, tra il 1 e il 15 agosto, tra il 15 novembre e il 25 dicembre, e in altri periodi; tutti insieme sono all’incirca metà dell’anno. La Quaresima è ancora più rigida. Nella prima settimana non mangiamo carne. Nelle sette rimanenti settimane digiuniamo da tutti i prodotti animali – carne, latticini, uova, etc. – così come dai pesci con lisca, dalle bevande alcoliche, e dall’olio d’oliva. Questo lascia fuori molluschi e crostacei, frutta, ortaggi, cereali, e tutta una gamma di spaghetti al pomodoro (aspettate un po’ per il parmigiano). Nella pratica, questi digiuni sono soggetti a enormi variazioni. I convertiti sono talvolta confusi dalla gamma di consigli e indicazioni che ricevono riguardo ai digiuni. Il punto importante da ricordare è che il digiuno non consiste in regole rigide che si rompono a grave rischio personale, né è una punizione per i peccati. Il digiuno è esercizio per rafforzarci e per superare i nostri limiti, una medicina per la salute dell’anima. Consultandovi con il vostro prete come con un medico spirituale, potrete arrivare a un regime di digiuno che vi terrà in esercizio senza spezzarvi. L’anno successivo potrete fare ancora di più. Noi arriviamo ogni domenica alla Divina Liturgia digiuni da ogni cibo o bevanda. Quando la Liturgia finisce siamo piuttosto affamati, così c’è di solito da mangiare in abbondanza al rinfresco parrocchiale.
12. Qual’è il ruolo degli occidentali?
Girando per i quartieri di una grande città vedrete una varietà di chiese ortodosse con qualche variante di targhetta: greche, romene, carpato-russe, antiochene, e via dicendo. Ma l’Ortodossia è davvero così tribale? Queste divisioni rappresentano scismi o litigi teologici? La migliore analogia si può fare con l’anglicanesimo. Così come la Chiesa d’Inghilterra, la Chiesa d’Uganda, e la Chiesa Episcopaliana sono tutte manifestazioni locali della stessa denominazione, quella anglicana, così pure tutte queste chiese ortodosse sono la stessa Chiesa. La designazione etnica si riferisce a quella che è chiamata “giurisdizione” della parrocchia, e identifica i vescovi che hanno autorità su di essa. Negli Stati uniti, per esempio, ci sono 4 milioni di ortodossi (a paragone di 2 milioni e mezzo di episcopaliani) e 250 milioni nel mondo, la seconda comunione cristiana in ordine di grandezza. La cosa incredibile riguardo a questa molteplicità etnica è la sua unità teologica. Mentre l’Ortodossia ricomincia a risorgere alla fine del ventesimo secolo, udiamo voci dall’Africa del Nord, dal Medio Oriente, dall’Europa dell’Est, dalla Russia e da tutto intorno al mondo: popoli che sono stati privi di comunicazione gli uni con gli altri per lungo tempo, o forse perfino in guerra gli uni con gli altri. Eppure parlano con una singola voce riguardo alla fede. I popoli isolati non hanno introdotto variazioni a proprio arbitrio. Si tratta anche di un’unità morale. Per esempio, il più antico documento che abbiamo che condanna l’aborto è datato circa all’anno 110 dopo Cristo, e questa posizione è rimasta inattaccata attraverso tutto il mondo e tutti i secoli. Noi non abbiamo alcun gruppo come i “Cattolici per una libera scelta” o la “Coalizione religiosa per i diritti dell’aborto” dei protestanti. La Chiesa ha una storia di fedeltà alle sue radici teologiche e morali attraverso i millenni, nella persecuzione o nel potere, e una moda della fine del ventesimo secolo non vi lascerà una grande traccia. Potrete attribuire questa unità a incidenti della storia. Noi la attribuiamo allo Spirito Santo. Perché allora la molteplicità di chiese etniche? Queste designazioni nazionali ovviamente rappresentano realtà geografiche, pertanto in America dovrebbe esserci una chiesa nazionale unificata: una Chiesa Ortodossa Americana. Questo era il piano originale. Poiché i russi che passarono lo Stretto di Bering per giungere in Alaska furono i primi a portare l’Ortodossia sul continente americano, ci si aspettava che continuassero tale missione. Le parrocchie formate in tale processo sono ora note con il nome giurisdizionale di “Chiesa Ortodossa in America”, ovvero “O.C.A.”. Ma la rivoluzione bolscevica del 1917 interruppe tale piano, e mentre gli immigranti continuavano a giungere nella nuova terra, ogni gruppo cercò il culto nella propria lingua nativa. Dovunque si radunavano, fondavano una chiesa a sé. Questa moltiplicazione di giurisdizioni ortodosse è un grande imbarazzo per i credenti di oggi, e molte preghiere e progetti vengono compiuti per smantellare queste muraglie non necessarie. Attualmente le più ampie giurisdizioni in America sono quella greca, la O.C.A. (radici russe), quella antiochena (radici arabe). Le più grandi differenze tra di loro sono le ricette dei pasticcini serviti all’ora del rinfresco parrocchiale. Vorrei che si potesse dire che ogni parrocchia locale è ansiosa di dare il benvenuto a nuovi arrivati, ma alcune sono ancora così legate alla loro esperienza di immigrati, che si chiedono perché degli “stranieri” dovrebbero interessarsene. Visitare diverse parrocchie ortodosse vi aiuterà a imparare dove vi trovate più a vostro agio. Probabilmente ne cercherete una che usi nelle sue funzioni molte parti nella vostra lingua. Alcune parrocchie, con un’alta percentuale di convertiti, avranno funzioni esclusivamente nelle lingue occidentali locali. L’Ortodossia sembra spaventosamente differente a prima vista, ma con il passare delle settimane lo è sempre di meno; per noi convertiti, inizia sempre più a farsi sentire come la nostra casa. Spero che la vostra prima visita a una chiesa ortodossa sia piacevole, e che non sia l’ultima.

Copyright © 1995 Frederica Mathewes-Green

Ringraziamo l’autrice per il cortese permesso di pubblicare su questo sito la traduzione italiana del suo articolo

La Presbitera Frederica Mathewes-Green, scrittrice e giornalista, fa parte della Chiesa Ortodossa della Santa Croce presso Baltimora, negli USA (Arcidiocesi Antiochena Ortodossa d’America), dove suo marito, Padre Gregory Mathewes-Green, è parroco.

La Presbitera Frederica ha scritto saggi di grande profondità umana sul tema del diritto alla vita dei nascituri (che rappresentano una delle voci più autentiche dell’Ortodossia di fronte al drammatico fenomeno dell’aborto), e ha raccontato la storia della sua conversione in numerosi libri, articoli e interviste. Alcuni articoli e la sua biografia si possono trovare sul sito Internet www.frederica.com.

I Racconti di un pellegrino Russo

Itinerari di preghiera tra la Russia e il monte Athos:

Racconti di un pellegrino russo

 Igumeno Ambrogio (Cassinasco) – Chiesa ortodossa russa – Torino

 

Candidi racconti di un pellegrino al suo padre spirituale (titolo originale russo: Otkrovennye rasskazy strannika duchovnomu svoemu otcu) è il titolo di uno dei più diffusi e amati libri sulla preghiera cristiana ortodossa.

L’opera è piuttosto recente: la sua prima edizione in lingua russa è stata stampata a Kazan’ intorno al 1860. Le sue traduzioni in altre lingue, che hanno reso celebri i Racconti di un pellegrino, risalgono agli anni successivi alla prima guerra mondiale.

Nonostante l’età relativamente giovane, e il suo stile narrativo popolare, i Racconti hanno un posto di rilievo tra i più stimati testi spirituali dell’Ortodossia russa. Altrettanto significativa è l’origine del testo. Per quanto immersi nell’atmosfera dell’Impero russo della seconda metà dell’Ottocento, iRacconti provengono dal Monte Athos, e precisamente da un manoscritto anonimo scoperto nel monastero athonita russo di San Panteleimone.

È probabile che il testo sia stato scritto in questo monastero, sotto forma di narrazioni di viaggio, dietro consiglio di uno dei suoi monaci o padri spirituali. Non è da escludere che l’autore (pellegrino per vocazione, e diretto dalla Russia alla Terra Santa) abbia deciso di fermarsi al monastero di San Panteleimone per terminarvi la propria vita come monaco. Lo stesso carattere anonimo del libro è in sintonia con lo stile di riservatezza sui dati personali che caratterizza il monachesimo del Monte Santo.

Una nota storica della terza edizione dei Racconti (1884) spiega come il testo originale sia stato trascritto, presso un monaco di grande abito (skimnik) del Monte Athos, dall’Archimandrita Paisio, del Monastero di San Michele dei Ceremissi presso Kazan’. Ancora nel 1951, lo scrittore russo Sergej Bolshakov ritrovò presso la biblioteca del monastero di San Panteleimone un manoscritto dei Racconti, verosimilmente l’originale, con alcuni passi che furono espunti dalla prima edizione stampata.

Il nucleo originale dell’opera consiste di quattro racconti, che corrispondono al contenuto della prima edizione a stampa. Altri tre racconti, ritrovati tra le carte dello starets Ambrogio di Optina, dal 1930 a oggi sono comunemente aggiunti alle edizioni del libro, anche se probabilmente si tratta di compilazioni di un altro autore. Inoltre, le edizioni attuali sono spesso corredate di una raccolta di testi patristici sul valore della preghiera, menzionati nel testo dei Racconti.

In questo breve saggio ripercorreremo i movimenti del pellegrino, cercando di captare gli indizi che dimostrano gli influssi spirituali del Monte Athos sulla Russia del XIX secolo, e attraverso quest’ultima sul mondo intero.

I viaggi del pellegrino

Durante la lettura in una chiesa della prima lettera ai Tessalonicesi, il passo che dice “pregate incessantemente” (1Ts 5,17) è di stimolo al protagonista dei Racconti per approfondire il proprio rapporto con la preghiera. Incuriosito, e quasi tormentato, dalla prospettiva di riuscire a realizzare uno stato di orazione continua, il protagonista si sforza di trovare una guida che lo introduca all’arte della preghiera.

Vale la pena menzionare un parallelo tra questo episodio della vita del pellegrino e la vocazione all’ascesi monastica di Sant’Antonio il Grande, chiamato alla vita nel deserto egiziano dall’ascolto in chiesa del brano evangelico sulla perfezione del discepolo di Cristo.

Ha inizio a questo punto un cammino che è al tempo stesso viaggio nello spazio dell’Impero russo e nelle profondità dell’anima del protagonista. L’inadeguatezza delle prime spiegazioni mette il pellegrino in uno stato di costante ricerca di un punto di riferimento spirituale, e la ricerca conduce in breve tempo all’incontro con uno starets (letteralmente, un anziano: in questo caso, si tratta di un monaco di un eremo isolato). Questi spiega al pellegrino i primi rudimenti della preghiera mentale continua, gli offre la formula della preghiera da recitare: “Signore Gesù Cristo, abbi misericordia di me” (nell’originale, “Gospodi Iisuse Hriste, pomiluj mja“), e lo guida nei suoi primi sforzi personali. Inoltre, gli dona un libro che gli sarà compagno di viaggio e manuale prezioso nel suo cammino. Si tratta della Filocalia (dal greco, “amore del bello”), la più celebre raccolta di testi patristici sulla preghiera.

Il contatto del pellegrino con il padre spirituale viene bruscamente interrotto dalla morte di quest’ultimo, ma prosegue sotto forma di segni, ispirazioni, visioni nel sogno, mentre il pellegrino vive una serie di eventi e di incontri, tutti letti nella chiave della crescita interiore. Sia gli incontri con saggi e benefattori, sia quelli con malviventi e avversità personali, sono tutti a modo proprio edificanti, e offrono un quadro avvincente della grandezza dell’anima russa.

Il libro, nel suo stile semplice e accattivante, ha un immenso valore di divulgazione della pratica ortodossa della preghiera, e per quanti sono all’oscuro della preghiera mentale, non esiste guida migliore. Una prova è l’accettazione quasi universale del valore di questo libro anche tra i cristiani non ortodossi, oltre che tra varie persone in travagliata ricerca spirituale: quasi un compito profetico di irradiazione di un preciso insegnamento spirituale in un tempo di globalizzazione delle proposte religiose.

Soprattutto, i Racconti valorizzano al meglio la pratica della preghiera nella vita dei laici: tutto il loro messaggio dimostra come si possa percorrere un cammino di ascesi cristiana anche se non si vive sotto una stretta regola monastica.

Gli strumenti nelle mani del pellegrino sono quelli che qualsiasi cristiano può riuscire a possedere e mantenere con sé anche nei momenti di maggiore pericolo:

– la Bibbia, ricca di insegnamenti diretti sulla pratica e il valore della preghiera: uno dei Raccontiaggiuntivi (il quinto) suggerisce la lettura delle Sacre Scritture in chiave di ricerca di insegnamenti sulla preghiera, e ne offre numerosi esempi tratti dal Nuovo Testamento;

– la Filocalia, che spiega alcuni dei passi scritturali più oscuri attraverso la pratica e l’esempio dei Santi Padri della Chiesa;

– una corda da preghiera, strumento per segnare il ritmo dell’orazione; e per finire,

– il testo stesso della preghiera, che è anche visto come una professione di fede e un compendio delle Sacre Scritture. È ancora il quinto dei Racconti che spiega il testo della preghiera nella chiave di lettura di una confessione di fede.

In modo provvidenziale, i Racconti situano la crescita spirituale nel contesto umile e sobrio di una sana cultura popolare, cosa che offre un antidoto contro qualsiasi strumentalizzazione della preghiera. Proprio per questo offrono a tutti un genuino contatto con l’Ortodossia, anche se l’orizzonte dei viaggi del loro lettore è molto più piccolo delle distese dell’antico impero russo, e anche se il lettore non ha a disposizione la guida personale di padri saggi ed eruditi.

È altrettanto interessante cercare di rintracciare le influenze spirituali che hanno favorito il particolare clima nel quale ha avuto luogo la vicenda del pellegrino. Possiamo facilmente iniziare il nostro viaggio alle fonti a partire dal testo patristico che ha introdotto il pellegrino nel suo viaggio interiore: la Filocalia.

Influssi spirituali sui Racconti

Il testo che viene messo nelle mani del pellegrino dal suo padre spirituale, e che si rivela nel corso dei suoi viaggi una fonte inesauribile di insegnamento, è una raccolta di opere di Padri della Chiesa orientale vissuti all’incirca nell’arco di un millennio. È bene notare che la Chiesa otodossa non fa una distinzione storica tra una “età dei Padri” (antica) e un periodo posteriore, ma anzi insegna che ogni persona che esprime la vera fede della Chiesa, in qualsiasi età (anche quella presente), può essere annoverata tra i Padri della Chiesa.

Le prime edizioni a stampa della Filocalia sono frutto di sforzi redazionali avvenuti al Monte Athos, benché i luoghi delle edizioni siano più lontani. La Filocalia greca, opera dei santi Nicodemo l’Aghiorita e Macario, Metropolita di Corinto, è stampata a Venezia nel 1793. Nello stesso anno, la tipografia sinodale di Mosca prepara il primo volume della versione in lingua slavonica dellaFilocalia (Dobrotoljubie), frutto dei lavori di traduzione di San Paisio Velickovskij (1722-1794).

Sicuramente è questo volume in lingua slavonica ecclesiastica che il pellegrino russo riceve dal suo padre spirituale (la prima edizione in lingua russa, opera del Santo Vescovo Teofane il Recluso, esce a Mosca nel 1889, quasi un trentennio dopo la pubblicazione dei Racconti). Il lavoro di traduzione di San Paisio Velickovskij (ucraino di nascita, ma athonita di adozione) aveva coinciso con l’opera del suo contemporaneo, San Nicodemo l’Aghiorita. Entrambi i santi sono esponenti di movimenti di risveglio monastico, particolarmente marcato nel caso di San Paisio, la cui influenza spirituale investe in fasi successive la Romania (spostandosi successivamente in Bessarabia nelle sue forme più rigorose), l’Ucraina e la Russia.

Proprio attraverso questo risveglio del monachesimo russo (in ripresa, all’inizio del XIX secolo, dai colpi della secolarizzazione inflitti dallo Tsar Pietro I), arriva insieme al testo della Filocalia tutta la tradizione spirituale athonita. Nascono nuovi centri di irradiazione monastica, primo tra i quali il Deserto di Optina (presso Brjansk). Proprio tra i monaci di Optina (ispiratori delle figure spirituali dei romanzi di Dostoevskij) si ritrovano indizi di conoscenza personale del pellegrino dei Racconti, i cui legami con la spiritualità monastica di origine athonita sembrano quindi fuori di ogni dubbio.

I tratti principali del movimento monastico che dal Monte Athos arriva fino al nostro pellegrino si possono ritrovare, ripettivamente, nella vita e nell’insegnamento di San Paisio e degli anziani di Optina, e nelle regole monastiche da loro complilate e applicate. L’enfasi sulla pratica della continua preghiera di Gesù e sull’obbedienza a un anziano o padre spirituale sono riflessi neiRacconti in un modo che non lascia dubbi sulla loro provenienza.

Abbiamo quindi un quadro preciso, dal punto di vista delle fonti storiche e letterarie, di un influsso spirituale che parte dal Monte Athos per incarnarsi nella vita e nei viaggi del pellegrino russo. In seguito, grazie alla trascrizione dei racconti eseguita al monastero athonita di San Panteleimone, questo influsso sembra quasi voler tornare a fare un tuffo nella propria sorgente, prima di ripresentarsi al mondo sotto forma di uno dei più bei libri di insegnamento spirituale mai apparsi nella storia.

 

La conversazione di un uomo con Dio

Una parabola – la conversazione di un uomo con Dio
Смысл жизни (Smysl zhizni, “Il senso della vita”)
Ho chiesto a Dio di togliermi l’orgoglio, e Dio mi ha risposto: “No! Non posso toglierti io l’orgoglio; devi rinunciarvi tu stesso”.

 

Ho chiesto a Dio di donarmi la pazienza, e Dio ha risposto: “No! Non posso darti così semplicemente la pazienza; ti arriverà sopportando le prove.

 

Ho chiesto a Dio di darmi la felicità, e Dio ha detto: “No! Io posso darti una benedizione; ma sta a te decidere te sei felice o no.

 

Ho chiesto a Dio di risparmiarmi il dolore, e Dio ha detto: “No! La sofferenza ti aiuta a ricordarti di Dio, e ad avvicinarti a lui”.

 

Ho chiesto forza, e allora Dio mi ha mandato prove per rafforzarmi.

 

Ho chiesto sapienza, e allora Dio mi ha mandato problemi; ho imparato come risolverli.

 

Ho chiesto a Dio di insegnarmi ad amare gli altri così come egli mi ama. Dio ha detto, “Ora capisci ciò che devi chiedermi”, e mi ha mandato persone che avevano bisogno del mio aiuto.

 

Anche se non ho ricevuto nulla di quel che volevo, ho avuto tutto ciò di cui avevo bisogno!

Predica sulla “veglia in piedi di santa Maria”

Predica sulla “veglia in piedi di santa Maria”


Come rafforzarci con il Grande Canone

dell’arciprete Andrei Lemeshonok

 

La “veglia in piedi di santa Maria” – così si chiama la funzione alla vigilia della Passione di Cristo. La vita che conduciamo è insipida, senza sale. Sappiamo tutto in anticipo, progettiamo tutto, facciamo calcoli. In questa vita non c’è incontro miracoloso con Dio, non c’è pentimento di quel tipo di cui abbiamo sentito oggi leggendo la vita di Santa Maria Egiziaca. Sembra che tutto ciò sia avvenuto tanto tempo fa… Ma come può accadere questo oggi, nel nostro mondo? Come può accadere a me personalmente, quando io so tutto, capisco tutto e mi sembra che Dio sia in qualche luogo molto lontano? Ma la questione è esattamente questa: Dio è vicino, e siamo noi a essere lontani da lui! Per questo sono così importanti per noi le gocce di rugiada spirituale, che ci offre oggi la Chiesa – la lettura intera del canone penitenziale di sant’Andrea di Creta e della vita di santa Maria Egiziaca. Questa è una funzione meravigliosa, che dovrebbe rafforzarci. Ci siamo abituati a una vita commisurata con la nostra esperienza, e non abbiamo il coraggio di parlare di lotta e di vittoria sul peccato. Eppure vediamo che esiste un Dio e che la grazia dello Spirito Santo, rafforza e ripristina la persona che si pente. Sentiamo le parole di san Simeone il Nuovo Teologo, su come il vero pentimento ripristina la verginità nell’uomo. In effetti, è un miracolo quando una persona rifiuta il peccato e appartiene completamente a Dio! Questo miracolo può avere luogo nella vita di ogni persona. Ma oggi vediamo un quadro completamente diverso: rese di conti, parole dure, insulti, accuse, autocommiserazione – non c’è consapevolezza della nostra colpa davanti a Dio. Quando andiamo alla confessione, noi non vediamo Cristo, ma semplicemente un sacerdote umano, e iniziamo conversazioni umane in cui le nostre parole non hanno la bellezza di pentimento. Dopo tutto, il pentimento è cambiamento, è la nostra trasformazione da parte del Signore.

Vorrei che imparassimo a stare nel tempio, che imparassimo a prendere parte alle funzioni e ai misteri di Cristo, in cui l’anima viene rinnovata. L’anima deve continuamente ricevere un aiuto pieno di grazia per combattere la guerra con il mondo del peccato e della tentazione. Dio voglia che nel tempo che ci rimane prima di Pasqua, non perdiamo lo spirito, di cui c’è ancora una goccia in noi. Lo spirito è molto facile da perdere: una sola parola, un solo pensiero, una sola offesa, un solo giudizio può farci perdere il contatto con Dio. Questa è una condizione terribile. Abbiamo bisogno di essere svegli e attenti – a cosa guardiamo, a come parliamo, a come ci comportiamo – tutto in noi deve essere bello e spirituale. non siamo venuti in chiesa solo per guardare i volti dei santi, e per contemplare la loro bellezza. In tutti i santi splende la luce di Cristo. Ma abbiamo bisogno di diventare noi stessi come loro per avvicinarci a ciò che è santo, per essere in grado di salvaguardare questa santità nel nostro cuore e condividerla con i nostri vicini.

Quanto amore, quanta cura, quanta misericordia di Dio si riversa su tutti noi! Quante volte abbiamo toccato la fonte immortale della vita, il calice di Cristo! E perché siamo così spesso come recipienti che gocciolano, e perdono questa grazia? Affrontiamo passioni, tristezza, disperazione, mormorazione – tutto diventa un muro dietro al quale non possiamo vedere il nostro prossimo o Dio. Dobbiamo abbattere questo muro in ogni tempo. San Serafino di Sarov portava pietre sulla schiena, dicendo: “Tormento ciò che mi tormenta”. Dovremmo sempre ricordare che il nemico è vicino. Non dovremmo aver fiducia in noi stessi, ma cercare l’aiuto di Dio e le sue benedizioni su ogni passo della nostra vita.